Prove di golpe e resistenza popolare
L’aprile 2002 ci consegna un altro capitolo della ormai continua saga
”Assalto alla democrazia e all’autodeterminazione dei popoli” in nome
del supremo interesse petrolifero”, causa del massacro di mezzo milione
di vite in Iraq ad inizio anni 90’ e dell’aiuto umanitario in
Afghanistan di fine 2001.
Nel Venezuela governato da Chavez sulla base di una libera e
intensamente voluta scelta popolare è stato portato a compimento
un colpo di stato a doppia matrice confindustriale/militare con
l’assenso fin troppo esplicito del dipartimento di stato Usa (appoggio
volutamente ignorato dai macabri e schiavizzati media occidentali). La
politica di redistribuzione di una ricchezza accentrata nelle mani
della borghesia sudamericana, ha portato il governo Chavez a varare
riforme che, se anche non massimaliste ma tutto al più
riformiste, hanno destabilizzato l’ordine costituito in Venezuela da 50
anni di liberismo, corruzione e ben retribuito colonialismo economico.
In un biennio sono state impostate una riforma agraria tesa alla
restituzione ai coltivatori diretti delle terre non utilizzate dai
latifondisti (sottraendoli dalle dipendenze delle generose mani delle
grandi imprese agricole), una riforma della pesca tesa ad incentivare
le attività dei piccoli pescatori in danno alla pesca ad alto
sfruttamento tipica delle grandi multinazionali del settore, una
riforma urbana comportante l’assegnazione di case popolari sulla base
di reali necessità svincolate da logiche clientelari.
Ma questa opera di riassetto economico e sociale, per quanto mal vista
e osteggiata dalla confindustria locale non è stata determinante
nella decisione di eseguire un golpe.
Chavez si apprestava a varare una riforma dell’intero settore
petrolifero che, nell’attuale momento di spartizione delle risorse
energetiche a livello globale non poteva non provocare una reazione
dell’establishment americano.
La ragione della guerra in Afghanistan è stata l’eliminazione
del regime talebano non più affidabile per il controllo di un
territorio in cui dovranno transitare oleodotti statunitensi costruiti
dalla Unocal della famiglia Bush.
La ragione della guerra al regime iracheno di Saddam Hussein è
stato il controllo delle risorse kuwaitiane. In questi giorni l’Iraq
è stato l’unico paese arabo a sostenere la lotta del popolo
Palestinese tramite una decisione unilaterale di sospensione dei
rifornimenti petroliferi, comportando in occidente un aumento del
prezzo del greggio. Se a ciò vanno aggiunte le stesse
dichiarazioni del presidente statunitense circa l’esaurimento delle
risorse petrolifere interne, possiamo ben comprendere l’importanza data
in nord America agli avvenimenti interni del Venezuela. Va evidenziato
che il Venezuela è il quarto paese al mondo per volume di
greggio esportato (dopo Arabia Saudita, Iran, Iraq) e fra le prime
fonti estere di approvvigionamento per gli Stati Uniti.
Sulla base della riforma Chavez, l’estrazione del greggio e la sua
prima lavorazione dovevano essere gestiti unicamente da società
con una partecipazione statale minima del 51%, le restanti fasi di
lavorazione e distribuzione si sarebbero potute affidare a
società private ma con la previsione di una maggiore tassazione
dei proventi, utilizzando così le risorse economiche ricavate
nello sviluppo di progetti sociali.
E’ bastata una riforma (fra l’altro non comportante una
nazionalizzazione) di stampo progressista a far scattare un golpe
militare.
L’attuale situazione mondiale ha determinato il pieno assenso
alla destituzione coattiva di Chavez, non affidabile per gli Usa
politicamente. Ovviamente facendo accadere il tutto con modalità
meno appariscenti rispetto al passato. L’alleanza fra media corrotti,
confindustria, sindacati venduti al miglior offerente e il beneplacito
statunitense hanno portato non solo ad una temporanea destituzione di
Chavez, ma anche a farla salutare in occidente come avvenimento
obbligato comportante danni nei confronti del solo Chavez, impazzito ex
paracadutista filo-castrista e comunque in favore dell’economia
venezuelana. La presa del potere da parte del presidente della
confindustria locale ha comportato come primo provvedimento lo
scioglimento di un parlamento democraticamente eletto e la
prospettazione di elezioni non prima di un anno, diversamente da quanto
prevede la costituzione venezuelana (entro un mese dallo scioglimento
del parlamento).
Le ragioni del fallito golpe sono da ricercare nel rapporto di forza
creatosi all’interno dello stesso esercito venezuelano, dove brigate di
paracadutisti fedeli a Chavez hanno ammainato la bandiera golpista
forti delle loro basi piene di caccia f-16. Hanno pesato inoltre le
critiche interventute dall’Argentina e dal Brasile,cosi come hanno
influito le proteste di piazze dei filo-Chavisti.
Quel che è preoccupante è la ripresa di una metodologia
dei decenni passati, consistente nel rovesciamento delle statuizioni
popolari tramite frange dell’esercito, poteri forti, aiuti dall’estero.
Ancor più grave è la superficialità e/o la
dolosità con cui le fonti di informazione hanno raccontato una
tragedia che si ripeteva secondo schemi noti.
Non una parola in favore di questa tanto esaltata democrazia cui i
nostri governanti dicono di tenere, ma una sottile soddisfazione per un
altro tassello di annichilimento popolare che si era riusciti ad
ottenere.
Tutto ciò comporta la necessità di una militanza sempre
maggiore anche nel civile occidente, per evitare che l’Argentina, il
Venezuela, la Palestina divengano realtà delle nostre vite.
Nulla viene concesso ai popoli, ogni diritto, ogni avanzamento sociale
è il frutto di lotte che a nessuno possono essere delegate. |