Una cascata di biglie colorate
che imprigionano lampi di luce
e mandano raggi colorati
ruzzola dalle scale semibuie.
Fuori il cortile è rovente
e accecato dal sole.
Ha ben ragione il saggio
domestico e borghese
che la via delle usate scelte
è la più sicura.
Ben pochi di quelli che la imboccano
cadono nel baratro della coscienza.
Ma è una via sulla quale
non si aprono finestre
che non siano dipinte.
Otto occhi
fissati agli specchi
otto occhi
sulla pancia
otto occhi
di pesci o di gatti
han tagliato la mia testa.
Gettiamo una rete sulla città
e tiriamo - chissà che raccoglieremo!
Se avrà buchi piccini
forse prenderemo anche
le voci rimaste appese
alle finestre chiuse.
Chi mi accuserà
perché ho paura della tenerezza
se non io stessa?
Mi dispiace, Lei si sbaglia:
questo non è il mio nome
e fortunatamente non ricordo
nemmeno qual è.
Mi dispiace, Lei si inganna:
non parla con me
e non mi vede.
Cerca il volto della persona amata
e trova solo il suo
riflesso in mille segmenti
di emozioni.
Io non ci sono
e Lei nemmeno
Questa notte
Fra muri disidratati
Catturerò con una rete bucata
Le mie follie.
Le astute verità
Di chi costruì queste piazze
Perché come specchi
Impediscano la mia caccia.
Ma prima che le afferrassi
Inseguita da presso dalla paura
La luna - bianca e rotonda -
Rise E m'impietrì
Per la follia e le verità
Che le facevan da nebbia
E la mia rete
Trasformata in stelle.
Che mi restava se non tornare
a dormire?
Piangere avrei pianto
il giorno dopo.
So che non c'è tempo
oltre il tempo
oltre gli istanti
oltre i miei movimenti stanchi.
C'è uno spiritello malvagio
- son io -
nell'angolo buio della mia stanza
che mi spia
e ride.
Ho sognato
di avere
tre paia di ali:
Ad una ad una
si sono staccate
come istanti perduti.
Sono riarsa
Sono un banco di prova
Sono una linea convergente:
Ricado al centro
E ti ripeto:
LO SAI!
Non mi afferro:
mi intuisco.
Non mi spiego:
mi difendo.
Non mi muovo:
mi nascondo.
Pesante come piombo
precipito.
Inaspettata come luce
arrivo.
Resto sconosciuta a me stessa.
Madre, ti ho partorita con dolore.
Chi sei
che io debba cercarti
nelle cose che di me stessa
ancora non conosco
negli occhi di altri
nei luoghi abbandonati
dal baccano
dopo che tutto è già stato fatto
quando è già avvenuto?
Chi sei
che io confonda
i tuoi desideri con i miei?
Tradita dagli altri
e quanto più amaramente
da me stessa - respinta ai margini -
fuggo in angolo:
a sogni-tranquillanti
ad immagini da sostituire
ad immagini per cancellare
e sogni per dimenticare.
Voglio scrivere
per non dire nulla,
voglio camminare
per perdere i miei passi,
voglio piangere
per ascoltare il mio silenzio,
voglio restar sola
per non avere più paura.
Il cuore batte
in ogni angolo del cervello:
se non mi ritrovo al di là del pensiero
sarò persa - terribilmente sola -
in me stessa.
Impara a riconoscere
la propria voce e sogna
che verrà mattino:
è già venuto e lei
non dice dove va.
C'era la musica e c'erano colori in pezzi di vetro
e maschere di cartone e una ragazza che sorrideva.
Il corpo disse: "Ballerò". - Lei non ballò.
Guardò il sorriso e chiese: "Si può?" - L'attimo per sorridere
era già andato.
|
Ah! Io Volteggio
Io Vortico
Un Grido di Luce
Una Luna Furiosa
Ma Io una Girandola
Uno strappo: Si perde un Braccio
Si perde una Mano
I Piedi Le Gambe
La Danza Ride.
La luna è rimasta là,
in alto,
appesa al suo filo invisibile:
Io non l'ho reciso
e tu nemmeno.
Cessano
le contraddizioni e l'impotenza
di atterrirmi,
e mi diverto - folate multicolori -
a guardarle.
Credono di aver tracciato
una linea obliqua
che taglia la vita.
Da tempo non mangio più
pane: fette briciole crostini.
Ma sono famelica - mi nutro di sorrisi
di tutti quelli che non faccio più.
I sorrisi mi perseguitano
fra le pareti della camera.
I sorrisi splendono
nel buio della notte.
Nella stanza: i sorrisi che non vedo più.
Come il giorno che passa
e ti lascia dimentica.
Come chi vuole afferrare
e rimane attonito.
Come la comprensione
aguzzina del mio sentimento.
Oggi il mondo ha colori stupendi.
Oggi la sera ha folate di vento.
Gli alberi ondeggiano: sagome scure.
I gesti si ripetono.
Dentro e fuori
si sono persi
i confini.
Metterò in fila tutti i granelli di sabbia.
Mi sembra impossibile
che tutto quello che provo
per te debba traboccare
e riversarsi per strade
bagnare ponti
e rendermi estraneo
ogni palazzo e tutte
tutte le luci
sull'Arno la sera.
Vorrei poter inghiottire
tutto lo spazio e tutto il tempo
per non concedermi più sosta
e restituirmi finalmente a me.
Ma io
io non ho voce parole musica.
Dove mi innalzerò?
Non posso dirti niente.
E lambisce l'anima con i suoi stracci
questo dolore
che si traveste
per dare sempre un nuovo
volto allo stupore.
È così quieta questa luce ai miei occhi
È così silenziosa questa camera
Così triste e sereno
questo giorno che finisce
da stringere l'animo e le vene.
Oggi
ho portato ben diritte le mie spalle
Son passata in queste ore
con la mia schiena diritta
per vedere quel che guardavo
per dividere l'aria
nelle strade, nelle stanze, nella mia vita
per farlo in modo giusto:
- nel mio modo -
Avevo gli occhi aperti; mi sono chiesta
cosa vedevano.
Corpo di acqua.
Corpo guardato, osservato, giudicato.
Corpo di legno
e di dolore.
Hanno arrotato
i nostri corpi e
sono passati
sulla nostra vita
con i carri.
- Han trovato - inventato -
un nuovo riciclatore:
mettendo
sotto i denti della Rabbia
rifiuti che servon loro
tritati.
Qualcosa penzola fuori dal bordo e l'orlo delle nuvole non è come me l'hanno descritto senza creare strumenti per guardarlo. Senza senso, roteando, ho paura, paura, paura.
Che debba sempre
essere la stessa ripetuta esperienza
- ormai codificata, giudicata
narrata -; conosciuta, con
viscerale, divino
Senso di Orrore:
nascita - morte
sangue - putredine,
elegia della naturalità;
banalità
che diventa legge.
La luce Rotola: Cadendo
si è infangata - ed ha smarrito
gli altri suoi colori -
Ad uno sguardo intorno
che non comprende - e vede cose, a cui
non può dare un Nome, avendo visto:
Sopra un ponte,
al luccichio dell'Arno, al chiarore
di un lampione, nella sagoma di un
albero, sopra una pietra
in un giardino,
muoversi fantasmi, vestiti
di tutti gli altri suoi colori
ed ha giocato con loro, che immaginava
senza risposte
e si addentrava - dove il buio è più scuro
dove si chiudono gli occhi
per non vedere. Ed ora
che il mondo - divenuto
incomprensibile - la invade,
sopra un ponte e nel giardino,
|
presso l'Arno guardando un lampione
con la sagoma di un albero,
la pietra e la panca
ha paura
e ha saputo di essere sola.
Ho i postumi di una sbornia. E non c'è
niente di male
a non esser vivi di primo mattino.
Studiai. E dentro gli occhi mi cadevano parole
aghi di dolore e di piacere
stringendo i muscoli per restare,
per relegare nel fondo - senza vincerla -
la paura che fosse meglio non esserci
per non esporsi a possibili colpi.
Di un luogo dove abitare
- si ha pur bisogno -
Di un lavoro retribuito
ho necessità: come potrei
altrimenti - ingrassare?
Ma in fondo alle montagne
ho gettato i miei semi
- aspettando che fioriscano
sotto i prati e i boschi degli Appennini,
al vento senza parole ho affidato
la mia anima bambina. Dei venditori
ho preso i nome
e si sa - non ho compiuto un atto di coraggio.
Ne segue che se mi trovo
dove l'ho abbandonata
so cosa ho perso
e ho fretta di partire.
Ma anche lei ormai
si fa viva raramente
ed io mi guardo dal salutarla
ma giro gli occhi
come avessi chissà cosa
che mi attende d'importante.
Ed è questa la mia stupidità:
perché non posso certo credere
di ingannarla
fingendo di non morire.
e gli uomini costruiscono ancora case
- ci puoi scommettere -
che non verranno abitate da chi ne ha bisogno
ed intonacano di bianco le pareti:
quattro pareti una stanza.
Stanno aspettando ancora
che qualcuno li chiami
- non sono peggio degli altri
quelli che non aspettano più
- o non l'hanno mai fatto -
pensando sia il loro turno
di guidare in pieno diritto,
con tutte le carte in regola.
Il mondo giustifica
- per un medesimo fine -
il Buono e il Cattivo.
Per quanto riguarda me
avrei l'ingenua pretesa
di non aver a che fare
né con gli uni - né con gli altri.
Chiarito ciò che viene dopo
- l'ho sempre sospettato io -
vennero relegati ai margini
e richiusi gli spiragli aperti
risate e scritte cancellati.
Sei come un banco di nebbia
che si sottrae alle mie parole.
Sei come un lucido iceberg
su cui scivolano le mie domande
E rispondi "sì, sì" alle frasi più diverse.
Antiche scritte trovate
intagliate
su un banco di legno:
geroglifici di ore perse ad imparare
come volare via, anche quando
la soluzione è chiara
intagliata
nella mente.
Ti costruirò intorno
una gabbia di ferro
che ti difenda
dalle tue paure.
Ti appoggerai alle sbarre
come a fidi compagni
e non temerai l'ignoto
e la tenebra che ti circonda.
Quando udirai pianti e strepiti
ti ergerai sicura e la tua voce
sferzerà gli incerti
deriderà gli erranti.
Per chi sbaglia avrai parole
di saggezza, sarai forte
con i deboli
e non temerai il dolore.
Perché costruirò per te un mondo d'oro
nel quale rifugiarti
quando non sopporterai
di essere debole
di avere torto
di essere tanti
di essere sola
di essere forte
di crescere
di essere una
bambina
di non sapere il tuo nome
di volere la tua vita
di non essere capita
di non conoscere la risposta
di continuare
di essere stanca
di avere ancora parole
di avere mani forti
e una bella bocca.
Mondo giovane ogni giorno, sottile e ironico ma facile da interpretare: sfilacciature nei cieli che oggi non guardiamo, invisibile cappa plumbea sui nostri movimenti, improvvisa costruzione di aperture che getta luce sulle nostre sfumature ed individua chiaro ogni colore.
Un Dio che è sceso dagli alberi
e non taglia i suoi respiri.
Un dio che cuce destini
fra le pieghe dei morti.
A piene mani attinge alla Storia:
è un dio che non vede altri
da altri non visto
(conosce la parola, di scritture è maestro
mentre polveri si posano.
È il Dio che parla ai bambini
mentre teste si piegano).
Roccia viva sul mio capo.
Un giorno anche il tempo sparirà
il tempo che permea le cose
stabile fra il tavolo della cucina e il muro
presenza costante negli sbagli e nelle ragioni.
Continuità fra gli alberi della piazza
questa sera e tutte le altre sere
di cui mi ricordo.
Ho le fauci di un cane che morde, dentro la testa.
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Tentano così di esorcizzarmi
perché non muoio mai - son morta già
perché sono il vento e la pioggia
il fango del respiro
il campo concimato e la roccia
del deserto
l'illusione e il sogno a cui
non puoi mai dare nome.
Sono l'ottavo giorno
che aspetto sempre.
Conoscenza: Non sopporto
la tua solitudine
accanto a me.
Accanto alla mia.
È un elemento - incognita -
impaziente attesa -
la paura della morte.
Vennero avanti
tre buffoni, tre giocolieri
o fabbri strani
vestito ciascuno del suo esatto
contrario.
Metà detenuto, metà carceriere
un altro prostituta, metà
Santa Madre.
Ma il terzo - che rimane nell'ombra -
non l'ho ancora visto.
Sarà un gioco della fantasia
se ho intravisto
il mio viso?
Non diamo facili interpretazioni, oggi.
Lasciamo la porta aperta al sole.
Facciamo il vuoto dentro di noi
per dare voce al silenzio,
per riempirci di immagini
dove cresca l'erba e torni
il vento.
Dio Cristo
suonava le sue trombe
proteso dal cielo
e l'acqua
cadeva a catinelle.
Chi ti dice che sia vero, che sia così?
Lontano da chi volta le spalle, e
lontano da chi mente
per legare.
Del resto chi ti dice che sia oggi e
che sia proprio così?
Tu mi uccidi - o mi rimandi
a me.
Ma perché
non dirlo?
Forse me ne andrò - il necessario per l'anima -
il contenuto di una valigia: ricordi
per alimentare la nostalgia,
coscienza degli errori fatti per
credere di non cambiare mai,
desiderio di tornare, di cercare e
ritrovare - per poter andare
sempre avanti.
Forse sto già partendo - il tempo
di tagliare il pane in piedi, di risciacquare
i piatti o sottolineare una poesia.
Assassinio dalla parte sbagliata.
Da bambina mi furon raccontate fiabe
ben più amare di quelle delle fate.
Quanto tempo sto impiegando
per imparare a vivere
senza raccontarmele.
Non ho un corpo solido. Sono
una forma che l'aria penetra.
Benvenuta! Ti porto
il saluto della Compagnia
dei Cattivi Pensieri
(quelli che: "il diavolo li fa,
ma senza i coperchi"),
quelli che ti spaventano la notte,
ti spiano con occhi rossi
dalle pareti della stanza,
quelli che ti inseguono
negli incubi, sotto forma di
"un grosso cane nero".
Per oggi ti portiamo
i cattivi consigli che fanno
male al cuore; e rimorsi
inutili per errori passati e futuri;
e nostalgie degli irreali aspetti
del tuo passato.
Ma se non ci fossimo, non rideresti mai
di te, dei tuoi dolori ed
ingenuità. Chi saresti,
se noi non ci fossimo?
Ho imparato i gesti
della sopravvivenza
- creme, pulizie e ragnatele
di cibo, sonno e vestiti -
e li eseguo abilmente,
quasi divertita.
Come pago cara
la mia solitudine.
Il prezzo è stato fissato
sulla mia misura
che vada a colpire,
che faccia crollare
ogni certezza.
Come pago cara
Per guardare il mondo
migliaia di occhi,
ma se perdi i tuoi
sarà cieco
il mondo per te.
La sragione di vita
Non c'è
una ragione di vita
che sia chiara, banale,
certa. Che si possa
accettare o rifiutare,
ma che sia.
Sarebbe molto più semplice:
su uno scaffale del supermercato,
scontata, disidratata:
"riscaldarla a fuoco lento".
Nulla di certo, di oggettivo,
di programmabile, di raggiungibile.
Mille piccole "sragioni" però,
e si accetta o si rifiuta; ma
sempre si lotta
per ritrovarsi nelle cose,
per inventarsi attraverso di loro
.continua...>>
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