Da Lugangeles a Lugashenko
Ticinotoday – 30 maggio 2021
Ottobre ’96 e maggio 2021: mondiali di ciclismo e Giro d’Italia, dall’occupazione dei molini Bernasconi allo sgombero dell’ex Macello (che non è stato occupato, ma concesso ai molinari dalla Città, con il bene placito di tutti). Ora l’autogestione a Lugano vive uno dei suoi momenti più difficili. La Città, dopo fallimenti e scivoloni, campa grazie alla compiacenza dei media. Vedremo ora se lo sgombero e la demolizione dell’ex Macello diventerà un boomerang…
Alla fine, tutto ha inizio con le due ruote. Sabato 29 maggio 2021, in Ticino passava il “Giro d’Italia” e il Macello è stato sgomberato e in parte abbattuto. Forse le esperienze di autogestione a Lugano subiranno una battuta d’arresto (in questo momento è molto difficile fare previsioni). Quello che è certo è che nella venticinquennale esistenza dei molinari, oggi, quest’ultimi vivono uno dei momenti più difficili, se non il più difficile (probabilmente più difficile di quando i Molini Bernasconi furono incendiati o dello sgombero dal Maglio di Canobbio).
Tutto ebbe inizio nel lontano ottobre ’96, quando a Lugano si tenevano i mondiali di ciclismo. Mentre autorità, media e polizia erano tutte concentrate sull’evento delle due ruote, giovani e meno giovani di Realtà Antagonista, Gas (gruppo per l’autogestione socioculturale) e Robin Hood, occupavano lo spazio in disuso a Viganello dei Molini Bernasconi. E fu subito festa (con l’allora sindaco di Viganello, il Plr Sergio Macchi, che si recava sul posto e procurava degli estintori ai giovani autogestiti, già alle prese con l’allestimento di concerti e feste). Fra gli occupanti c’era la convinzione che l’occupazione sarebbe durata poco, il week end, al massimo qualche giorno in più. Invece “le energie” che quell’occupazione “temporanea” liberò diedero molto “carburante” agli occupanti, tanto che il tutto continuò, e il week end successivo agli ex molini Bernasconi si riversarono moltissimi giovani e meno giovani, per vedere e vivere quell’esperimento, tanto teorizzato e rivendicato negli anni precedenti.
Per settimane e mesi, la scena luganese aveva negli ex molini Bernasconi il luogo di aggregazione, divertimento e cultura più frequentato di Lugano (le feste al Molino nei week end erano frequentate da un numero impressionante di persone, tanto da surclassare qualsiasi discoteca, dal Morandi, al Vanilla di Riazzino, che allora si chiamava Alcatraz).
In quell’autunno in Ticino c’era fermento. A Bellinzona i “pastorizzati” avevano occupato “Casa Cinzia”, a Locarno c’era Syamo che voleva un centro autogestito e anche a Mendrisio c’erano giovani sulla stessa frequenza. Ma senza ombra di dubbio, l’esperienza più grande e importante era quella degli ex Molini Bernasconi a Viganello (l’allora comune aveva già avuto un’esperienza importante nell’ambito della cultura alternativa, anche se non autogestita, con gli “Orti”).
L’incendio doloso (la Procura non è mai riuscita a determinare chi potessero essere i responsabili del crimine) del Molino Bernasconi, obbligò i “molinari” a trasferirsi sul piano della Stampa, al Maglio del comune di Canobbio. Poi nell’autunno 2002, mentre la direttrice del Dss, la socialista Patrizia Pesenti, era in corsa per entrare in Consiglio Federale (poi l’Assemblea federale fra lei e la friborghese Lüthi scelse Calmy Rey), i molinari furono sgomberati dal Maglio. Il loro avvocato di allora, Elio Brunetti, fu un po’ impegnato per far tornare a casa quei molinari che erano in stato di fermo.
Si passò alla “strategia del disturbo”, ossia, per qualche settimana i molinari, organizzarono sit-in, manifestazioni e quant’altro, fra via Nassa, Piazza Riforma e il Casinò (che aveva appena riaperto i battenti con la nuova licenza A ed era una fonte non indifferente di entrate per la Città di Lugano). Ed ecco che l’uomo forte di allora, Giorgio Giudici, che mai si era degnato di aprire un negoziato con chiunque sulle rive del Ceresio osasse rivendicare qualcosa che avesse a che vedere con l’autogestione, “fulminato sulla via della realpolitik”, cambia linea e decide di trattare con gli autogestiti. Giudici, va precisato, non era mai stato uno che vedeva di buon occhio qualsiasi cosa che avesse a che fare con occupazione e autogestione (non bisogna dimenticarsi che lui, ha combattuto con fermezza qualsiasi “residualità” dell’esperienza dell’ex Civico e di questo aveva fatto, almeno in parte, la sua fortuna politica!). Ma in quell’autunno 2002 Giudici e il suo esecutivo avevano in mente progetti e strategie molto importanti per la città (la stagione delle aggregazioni sarebbe iniziata da lì a poco, come l’aggiudicarsi la facoltà d’informatica, inizialmente prevista a Locarno, il consolidamento e l’implementazione del cardiocentro, ecc), facendo passare i molinari in secondo piano, come una spina nel fianco, che toglieva tempo e risorse inutilmente. Siamo anche ad un anno da Genova e Giudici l’ultima cosa che voleva per la sua città, era un’invasione in via Nassa e/o in Piazza Riforma di black blocs che “ridisegnassero” l’arredo urbano del centro cittadino (altro che “giungla urbana” made Zanini Barzaghi!).
La negoziazione del Municipio di Lugano di allora (fortemente difesa pubblicamente, oltre che da Giudici, dal municipale e leader della Lega Giuliano Bignasca e dal socialista Giovanni Cansani, che dovette rinunciare alla sua piccola “utopia” di realizzare all’ex macello una “cittadella dell’infanzia”) portò alla famosa convenzione fra Comune, Cantone e Alba (Addio Lugano Bella Associazione, che era la persona giuridica che rappresentava i molinari).
Dal 2003 ad oggi i molinari non hanno occupato l’ex Macello (come ancora qualche giornalista molto ignorante o servile continua a dire e scrivere!), ma quello spazio gli è stato concesso dalla città per portare avanti le loro attività. Dunque città e cantone erano d’accordo che i molinari potessero risiedere all’ex macello (e cari giornalisti questo è nero su bianco, visto che c’è una convenzione. Dire o scrivere il resto è costruire una narrazione mistificatrice).
Dal 2003 al 2013 tranne qualche sparuta voce, nessuna forza politica era contraria al risultato della negoziazione fatta dal Municipio di Lugano nel 2002. Chiunque, può cercare in qualsiasi archivio e non troverà una sola dichiarazione pubblica di Giuliano Bignasca o di qualsiasi altro municipale luganese contro l’esperienza dell’ex macello. E questo è un fatto (che si può dimenticare per alteriosclerosi, rimane un fatto). Come è un fatto che fino al 2013 (ovvero fino a quando è vivo il Nano) il municipale Lorenzo Quadri che è entrato nell’esecutivo già nel 2008, non ha mai accennato a qualsiasi ipotesi di sgombero dell’ex Macello, nonostante non avesse mai fatto mistero che lui quell’esperienza non l’amasse (su questo ci sono interviste televisive e dei giornali che lo confermano). Tanto più Foletti, che a metà anni ’90 partecipava assieme a Timbal (non quello della Rsi) alle manifestazioni dei molinari. Stesso discorso per Erasmo Pelli, quanto (dal 2004, anno di suo ingresso in Municipio) per Giovanna Masoni. E il pipidino Brioschi prima e Paolo Beltraminelli poi (anche lui dal 2004) hanno fatto altrettanto.
A rilanciare la questione dei molinari e di un possibile sgombero dell’ex macello ci pensa il buon liberale Michele Bertini che nel 2016, in campagna elettorale, prima di carnevale lancia la sua campagna elettorale buttando il sasso, superando a destra Borradori e la Lega, che dalla presa della maggioranza relativa nel 2013 avevano sostanzialmente lasciato le cose come le avevano negoziate Giudici, Bignasca e Cansani.
E chi poteva aspettarselo nel 2016, che Bertini, che doveva tutta la sua carriera politica a Giudici (e anche al radicale Gendotti), sparigliasse le carte, mettesse in discussione gli equilibri faticosamente raggiunti in passato e si mettesse alla testa di un fronte di destra, sostanzialmente composto dall’Udc, qualche “hooligans liberale” e uno sparuto gruppuscolo leghista per sgomberare i Molini? Evidentemente nessuno (tanto meno noi). Ma intanto il sasso era lanciato e lui poteva incarnare il ruolo di novello “Rudolph Giuliani” delle rive del Ceresio e propagandare il messaggio della tolleranza zero. Il silenzio del Plr di Lugano nel 2016 alla boutade di Bertini, probabilmente è stato interpretato come assenso da quest’ultimo.
Poi nella legislatura 2016-2021, a frequenza regolare, Bertini rilancia il tema (le pagine luganesi de La Regione, quanto quelle del Corriere, per 5 anni hanno fatto interviste “in ginocchio” all’allora vicesindaco Bertini) e Borradori, Quadri e Foletti lo devono inseguire (inizialmente un po’ in modo impacciato, poi in modo sempre più convinto). Mica la destra può farsi superare da Bertini!
È Michele Bertini che sposta l’asse politico e insiste a più riprese sull’adottare da parte del Municipio di Lugano la linea dura con i molinari. Lui che è “figlio politico” di chi quella convenzione con i molinari l’ha firmata (Giorgio Giudici e, detto per inciso, non sappiamo se il “Re” potesse tornare indietro sosterrebbe ancora così tanto il buon Michele), lui che da tifoso dell’Ambrì Piotta ha visto in questi anni gli striscioni alla Valascia della Gioventù Bianco Blu a sostegno dei molinari, lui che prima di scendere in campo nel 2015 per il Consiglio di Stato va in una casa radicale a Carì a cercar sostegni, … .
Non è un caso che nella campagna elettorale per il rinnovo dei poteri comunali in questo 2021, proprio Michele Bertini a metà marzo abbia rilanciato il tema dello sgombero (appellandosi alla manifestazione non autorizzata tenutasi l’8 marzo), infiammando la campagna elettorale, tanto per favorire la sua pupilla Valenzano.
A risultati avvenuti per le comunali, i fatti ci dicono che la Lega è il partito che ha perso più voti (loro che con molta decisione negli ultimi mesi hanno sposato la linea bertiniana), che la pupilla Valenzano nonostante le vagonate di franchi spesi per la campagna elettorale non è riuscita a battere il municipale Badaracco (che si era inimicato quella metà del partito fatta di Fulvio Pelli, Cavadini &Co che sul PSE la pensava molto differentemente da Badaracco, ma quest’ultimo in Municipio ha votato contro lo sgombero dei molinari a marzo), che le elezioni sono state vinte dal Ppd (che furbescamente, il buon Pippo, non ha fatto profilare sull’ex macello per lo sgombero, puntando all’acqua bassa. D’altronde le curve poi deve gestirsele lui), dal Mtl (movimento Ticino-lavoro), Più Donne e i Verdi. Nessuno dei vincitori ha impostato la propria campagna elettorale sul braccio di ferro con i molinari. Ma come bene canta Vecchioni, i soldati di Alessandro il Grande, preferivano andare a morire in mezzo al mare, che capire che il proprio condottiero difettava in strategia.
Mai si è visto che dopo una sconfitta politica, i partiti che l’hanno subita, fanno finta di niente e proseguono per quella linea che non gli ha permesso di vincere le elezioni. Neanche la Dc fanfaniana del 50% di voti ragionava così, ma nemmeno in Ticino il Plr, quando era attestato attorno al 38%, ragionava ed operava così (probabilmente l’uomo del Monte si ricorda). Per chi non se lo ricordasse, in questo cantone è bastato che l’ex partitone perdesse in un’elezione il 1.5% di voti e per 20 anni si è messo nel cassetto la tassa sul sacco.
Da noi si crea una dinamica perversa, con i giornalisti del mainstream che “cortesemente” relativizzano e addolciscono la sconfitta e i politici nostrani che si dimenticano che è un atto di gentilezza e un po’ di autocensura e credono veramente che non abbiano perso voti. Ma il Paese reale è un altro!
Se un partito che è uscito sconfitto dalle elezioni comunali luganesi (ma vale per qualsiasi altro grande centro del Cantone), alla perdita di percentuali di voto, aggiungesse il dato della partecipazione che è in discesa (in 20 anni un ticinese su 5 ha abbandonato la partecipazione alle elezioni!) e in più tenesse in conto di tutti i favori e piaceri che i media principali fanno per salvare le chiappe ai politici, facendo interviste in ginocchio, evitando di parlare di conflitto d’interessi in alcuni casi specifici, facendo una puntata di Falò sull’aeroporto ad elezioni avvenute, non sollevando il quesito di che diavolo sia la nuova formula di “call of interest” e se a Lugano un concorso pubblico per l’aeroporto lo sappiano fare, che cosa ne sarà dell’ex ospedale italiano di Viganello, perché il Mizar biomedicale si è arenato così velocemente, e così via, bè, allora capirebbe che la crisi politica è profonda, molto profonda. Non voler vedere che Lugano non è più la locomotiva del Cantone di giudiciana memoria, ma che perde un treno dopo l’altro e che oggi bisogna guardare a Bellinzona, a Mendrisio (e addirittura a Locarno), per vedere qualche strategia articolata di sviluppo, invece che Lugano, è da miopi. Nel Magnifico Borgo con molti meno milioni hanno creato una Filanda come centro culturale che ha un impatto sul territorio maggiore del mastodontico Lac (e sarà anche per questo che il primo artefice di quel progetto poi a Mendrisio vince le elezioni, incrementando voti).
Lo sgombero dell’ex macello rientra in questa linea politica e gestionale, fondata su un’approssimazione e improvvisazione che nella frenesia di lanciare più boutade possibili a getto continuo, crea una cortina fumogena che permette di nascondere come ad esempio sull’aeroporto sia bastato un ricorso ben fatto, per far saltare tutto il castello di dichiarazioni da parte dei membri dell’esecutivo e obbligare quest’ultimi a rifare un concorso. Se i molinari avessero accettato l’idea di ricorrere allo sgombero intimato dall’esecutivo, probabilmente si sarebbe arrivati alla stessa situazione. Purtroppo i molinari non hanno nelle loro corde la via ricorsuale.
Detto questo, basta leggere i media questa mattina per capire la grande autoreferenzialità del mainstream dell’informazione cantonticinese. Tutti danno spazio, acriticamente, alle dichiarazioni di sindaco &Co, come se i media dovessero svolgere la funzione di “agit-prop” del Potere e affini, affannandosi a cercare di avallare una narrazione di regime o se si preferisce “ufficiale”.
Intanto a due mesi esatti dall’ultimo Consiglio comunale della scorsa legislatura di Lugano, che si è tenuto il 29 marzo, nonostante come sempre, i giornalisti che contano erano presenti alla seduta del legislativo, sui giornali importanti non è apparsa la notizia data in quel Consiglio comunale dal vicesindaco Bertini, rispondendo ad una domanda di Raoul Ghisletta, che il Cantone, non da ieri, ma bensì dal 2015, finanzia il Comune di Lugano con un “obolo” pari a 50 mila franchi all’anno per il “disturbo” di avere sul proprio territorio gli autogestiti (che per il rudere in cui stavano all’ex macello, un privato non sarebbe stato disposto a pagare neanche 2 mila franchi all’anno!). La Regione, il Corriere, TeleTicino e la Rsi, si sono dimenticati di riportare la notizia. Non solo, la settimana precedente al 29 marzo l’ex consigliere di Stato pipidino Paolo Beltraminelli, già capo del Dss, nel “Forum” del Mattino della Domenica, si esprimeva a favore della linea dura contro i molinari, ovviamente omettendo che la città di Lugano incassa la bellezza di 50 mila franchi all’anno per il disturbo (e nella convenzione del 2002 non c’è nulla che dice che il Cantone dovesse finanziare la città per i molinari!). Non solo, si continua a dire e a ripetere, con la complicità dei giornalisti delle importanti testate, che il Cantone se ne è lavato le mani dell’autogestione. Che cavolo dite? Vi pagano pure e i molinari non prendono un franco di sussidi (a differenza delle associazioni amiche di qualche politico, come quella dietro alla stazione). Ma caspita. Bertini e i leghisti hanno voluto a tutti i costi rinunciare ad un’entrata finanziariaoffertagli dal Cantone, anche se piccola, per una realtà, quella dell’ex macello, che per dichiarazione non nostra ma del vicesindaco Bertini in Consiglio comunale, non generava costi straordinari alla città (c’era un’interpellanza dell’Udc in tal senso a cui il vicesindaco ha risposto). Ma c’è di più. Beltraminelli dichiara al “Forum” del Mattino della Domenica la settimana prima che il Cantone deve avere un ruolo più attivo e si dimentica di precisare che quando lui era in Governo, nel 2015, hanno deciso di “donare” 50 mila franchi all’anno alla città per l’ex Macello? Ci fosse un giornalista che era presente in Consiglio comunale che sia andato dall’ex consigliere di Stato a chiedergli qualche giorno dopo se anche questa posta di bilancio è stata gestita come Argo1 e lui non ne sapeva nulla?!
Secondo. Il Municipio di Lugano ha detto che lo sgombero nasceva dal fatto che si era detto a chiare lettere che non si sarebbero più tollerati atti di violenza da parte dei molinari. Bene. Poi, dopo la manifestazione dell’8 marzo, l’esecutivo ha detto che la misura era colma e dopo questa ulteriore prova del comportamento violento dei molinari si procedeva allo sgombero.
Ma c’è un giornalista che ha chiesto quale inchiesta penale sui fatti dell’8 marzo la Procura del Cantone sta conducendo? E sì. Perché la violenza la persegue e la sanziona il Potere giudiziario, non quello legislativo o esecutivo (a tal proposito si vada da Siccardi, che tanto ama la Civica a scuola e se lo si faccia spiegare!).
Il Municipio, amplificato e supportato nella diffusione del proprio messaggio dai principali media, da mesi dice che non saranno più tollerati atti di violenza da parte dei molinari. Bene. Ma quali sono questi atti di violenza, quante inchieste la Procura ha svolto negli ultimi anni nei confronti dei molinari, quanti decreti d’accusa sono stati emessi e quali verdetti ci sono stati? A noi risulta che la Procura è intervenuta sulla famosa vicenda della “testata” data a una giornalista da parte di una manifestante. La Procura ha indentificato il soggetto e ha proceduto con un atto d’accusa. Ma su tutto il resto che si narra come atti di violenza, si può avere qualche dato chiaro da parte della Procura? Sui fatti della stazione dell’8 marzo c’è un’inchiesta in corso? Sono stati emanati dei decreti di accusa? Su altri fatti? Boh…
Inoltre, uno Stato di diritto (gli avvocati presenti in Municipio dovrebbero averlo studiato all’università) i reati sono perseguibili individualmente: uno commette un reato e ne paga le conseguenze. Ma non possono essere collettivizzati i reati (se non c’è una corresponsabilità o una complicità). La collettivizzazione in questo ambito è tipica di un regime della prima metà del ‘900 (e anche alcuni giornalisti de La Regione che dopo l’episodio dell’aggressione della loro collega, hanno messo sul banco degli imputati l’intero collettivo dei molinari, dovrebbero saperlo che non è un atteggiamento di chi difende uno Stato di diritto. La riprova è che la Procura ha individuato la responsabile del gesto censurabile e ne pagherà, individualmente, le conseguenze). Capiamo l’emotività di vedere una propria collega vittima di un’aggressione, ma un po’ di lucidità va mantenuta.
Quali altri atti di violenza e reati da parte dei molinari sono stati commessi? Le spraiate sui muri? Certo, la legge non lo consente e lo sanziona, ma anche in quel caso devono essere perseguite le responsabilità individuali. E poi qualche media si è preoccupato di andare a verificare se ogni cartellone per la campagna elettorale che è stato retto (su terreni privati, ma visibili dalle strade) aveva le adeguate autorizzazioni da parte dell’ente pubblico? Qualche media vuole indagare se in questo Cantone la trasparenza sui finanziamenti elettorali è applicata o meno? È legale fare un concorso sull’aeroporto che poi bisogna annullare per colpa di un ricorso che arrischia di farsi bacchettare in malo modo da un Tribunale (ma forse già prima dal Consiglio di Stato)? Era legale la famosa “spiaggetta” di Caprino? E la banchina? E l’uso del logo della Città di Lugano a fini propagandistici elettorali, era legale? Parliamone.
Quello che è certo è che il primo ruolo della stampa è denunciare le manchevolezze, inefficienze e addirittura le illegalità dell’Autorità (infatti il quarto Potere dovrebbe essere il guardiano del primo, secondo e terzo Potere) e non relativizzare (e avvolte giustificare) tutti gli “scivoloni” che fa l’Autorità. I molinari sono un collettivo, dunque per molti versi simili ad un’associazione (privata, come tutte le associazioni). Certo che possibili loro reati e violenze possono e devono essere denunciate dai media. Ma poi bisognerebbe essere più specifici quando si parla e si scrive delle violenze commesse dai molinari, in modo da dare alle lettrici e ai lettori la possibilità di contestualizzare di quali reati stiamo parlando e di quali gravità. Se no è buttare fumo negli occhi, forse anche per nascondere altre vicende che compie l’autorità (a proposito, la redazione di Lugano de La Regione sa come è andata a finire l’inchiesta del PG sulla spiaggetta? E il fallimento della Darwin Airlines, in cui giustamente il Municipio si era costituito parte civile?).
Ma guardiamo quello che è successo in queste ultime ore. Borradori dichiara ai media del nostrano Emilio Fede, alias Dacol, che se i molinari non avessero occupato l’edificio Vanoni, non ci sarebbe stato lo sgombero dell’ex macello. E noi dobbiamo credere a queste barzellette? La polizia romanda era presente in gita? Alle precedenti due manifestazioni dei molinari, quella alla Foce e quella al Lac c’era la polizia romanda a Lugano? Le ruspe per abbattere parte dell’edificio del macello in azione alle 02,00 di notte, sono state chiamate dopo l’occupazione del Vanoni (avvenuta dopo le 18,30)? Di sabato, si chiama qualcuno all’orario di cena che ti fornisca delle ruspe, e voilà, le ruspe spianano il centro sociale qualche ora dopo? Evidentemente sì (almeno stando alle dichiarazioni di Borradori che Sacha Dacol ha riportato nei suoi media).
Quali permessi, licenze edilizie o altro bisogna avere per abbattere un edificio? Se l’abbattimento non era programmato, ma è stata una misura di ritorsione per l’occupazione del Vanoni, quando il Municipio si sarebbe riunito? Sabato dopo le 18.30 per deliberare? E c’erano tutti i municipali o solo una parte (Zanini Barzaghi se ci sei batti un colpo)? E la riunione del Municipio si è tenuta dove, al Palazzo Civico o al Sasscafè dove sostavano due municipali, Karin Valenzano e Filippo Lombardi, durante la manifestazione dei molinari? Mah!
Quale denuncia, segnalazione o quant’altro è stata inoltrata dai proprietari dell’edificio Vanoni? Con le persone che sono state trattenute contro la loro volontà dal cordone di polizia nei pressi del Vanoni, si è rasentato il sequestro di persona? Se no, in un’ottica di proporzionalità, come si giustifica per ragioni di sicurezza e polizia un’azione di questo tipo? È indice di serietà e autorevolezza che alle 23.00 arrivi nei pressi del Vanoni il sindaco Borradori, solo per farsi intervistare dai fidati media, che mostrano un sindaco sul territorio, mentre ha appena posteggiato la sua smart davanti al Canvetto? Certo che sì. È così che si costruisce l’immagine del politico.
L’ex macello è stato sgomberato. Ora si vedrà l’evolversi della situazione. Ma non è escluso che questa mossa, che mostra un Municipio con il pugno di ferro, possa ritorcersi contro. Passeremo un’estate con più poliziotti romandi e svizzero tedeschi sulle rive del Ceresio che turisti?
I dati sono questi. Lugano incassava 50 mila franchi all’anno dal Cantone per “ospitare” i molinari. I molinari “imbrattavano” qualche muro durante le loro (poche) manifestazioni (negli ultimi 10 anni quante manifestazioni i molinari hanno fatto? Tutto sommato poche).
L’ex macello, a differenza di tantissime altre associazioni, non percepiva nessun sussidio dal Comune. Dunque non costavano. Aggregavano e organizzavano attività per il loro pubblico (tanto o poco che fosse) a costo zero per la collettività (a differenza della miriade di associazioni che beneficiano di piccoli, medi e grandi sussidi pubblici). Utilizzavano uno spazio, che allo stato in cui era non era affittabile per nessuna somma a nessuno.
Mentre il Municipio in quello spazio vuol fare uno spazio fra il culturale e il coworking, che sarà quasi sicuramente un flop, costerà milioni per edificarlo e milioni a gestirlo (togliendo risorse al progetto del Campo Marzio, che è l’unico che a corto termine il Municipio doveva realizzare, se vuole un rilancio economico e turistico della città e che a questo punto fra nuovo macello culturalcoworking e un PSE, probabilmente non si farà più).
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