Le carte dell’inchiesta sulla demolizione del Centro sociale il Molino, per cui la Procura ha chiesto l’abbandono delle imputazioni al poliziotto

di Francesco Bonsaver (Area del 5 novembre 2021)

Mente la politica o la polizia? Nessuno dei due, ha deciso il procuratore generale Andrea Pagani, proponendo l’abbandono dei capi d’imputazione nei confronti del vicecomandante della Polizia cantonale. Assolvendo così l’uno e l’altra. Nel corso dell’inchiesta, il poliziotto ha sempre sostenuto di aver informato le autorità politiche dell’ipotesi di demolire lo stabile, come puntualmente avvenuto la notte del 29 maggio durante lo sgombero del Centro sociale autogestito il Molino. Davanti al procuratore e all’opinione pubblica, i politici hanno invece ripetutamente negato di esserne stati a conoscenza. La questione di chi abbia mentito tra i politici o il poliziotto, rimarrà una domanda senza risposta sotterrata dall’assoluzione del vicecomandante.

In una precisa fase dell’inchiesta, il procuratore Pagani aveva raggiunto una convinzione tale da poter indicare un possibile colpevole. Il vicecomandante della Polizia cantonale Lorenzo Hutter, responsabile esecutivo dell’operazione “Papi” (nome in codice dato allo sgombero del Molino), a inizio settembre diventava formalmente imputato dei reati di abuso di autorità, infrazione alla legge federale sulla protezione dell’ambiente e dell’arte edilizia. I politici luganesi restavano invece semplici persone informate dei fatti, mentre di quelli cantonali non si è mai vista l’ombra durante l’inchiesta. Le mail del 12 marzo tra i vertici della polizia cittadina e lo Stato Maggiore guidato da Hutter, di cui ha riferito area la scorsa edizione, provano che la polizia avesse previsto la demolizione tre mesi prima dello sgombero. È plausibile che i loro superiori politici comunali e cantonali non fossero stati informati? Su questo punto, le risposte dalla politica e dalla polizia date durante gli interrogatori, sono divergenti.

Poliziotto contro politica
Su insistenza della Polizia, il 6 maggio ha luogo una riunione tra lo Stato Maggiore e l’autorità comunale, nella veste del sindaco Marco Borradori e la municipale Karin Valenzano Rossi, subentrata a Michele Bertini al Dicastero sicurezza dopo le elezioni di aprile. Il poliziotto afferma di aver informato dell’ipotesi della demolizione i due municipali durante quella riunione. Interrogati dalla Procura, i due politici negano. Il sindaco Marco Borradori dirà: «Contesto che durante quella riunione si sia accennato o discusso della possibilità di abbattere lo stabile. Mi sento di dire che Hutter e il secondo poliziotto presente non hanno raccontato il vero».
A sua volta, il controinterrogato Hutter si dirà «estremamente deluso dalle dichiarazioni dei politici», limitandosi a confermare di aver «esplicitamente ipotizzato l’abbattimento dello stabile» ai due politici quel 6 maggio. Il sindaco Borradori, il cui cuore si fermò improvvisamente l’undici agosto, non potrà più raffrontarsi col poliziotto «guardandolo negli occhi», come ebbe a dire nel primo interrogatorio.

Karin Valenzano Rossi verrà invece messa a confronto diretto col poliziotto dal procuratore generale Pagani qualche settimana più tardi. Parola di poliziotto contro parola di politica. Scordatevi però il confronto all’americana dei film polizieschi. Entrambi si limiteranno a confermare le loro posizioni divergenti e l’interrogatorio si concluderà rapidamente.

La demolizione verbalizzata
Della riunione esiste un verbale. La polizia però, forse temendo fughe di notizie, non lo condivide coi due politici. Nel verbale, redatto dal poliziotto della Comunale “in diretta” durante la riunione, si legge: «La rioccupazione è un elemento da considerare e quindi la ditta dovrà essere subito presente per eliminare la struttura». Interrogata sul contenuto del verbale, la municipale Valenzano continua a negare si fosse mai accennato all’abbattimento. «Ribadisco che in quella riunione non abbiamo discusso la demolizione di uno stabile dell’ex Macello, né totale, né parziale. La prima volta che l’ho saputo è stato dopo lo sgombero» afferma Valenzano davanti al procuratore.

La riunione tra polizia e autorità cittadina del 6 maggio si tenne una settimana prima che i molinari indicessero la manifestazione del 29 maggio. È la seconda prova d’inchiesta che la demolizione era già stata prevista, perlomeno dalla Polizia, con largo anticipo e non in relazione all’occupazione dell’ex istituto Vanoni. Era nei piani di sgombero, tanto che lo stesso poliziotto incaricato di stilare le cose da fare per lo sgombero, appunterà l’intervento dell’impresa per la demolizione.
Nella riunione del 6 maggio coi due municipali luganesi, i poliziotti avevano illustrato ai politici gli scenari dello sgombero e i rischi di ordine pubblico legati all’operazione, suggerendo loro di spostarla in autunno quando le condizioni climatiche avrebbero “raffreddato” le reazioni post-sgombero. Il sindaco ribadirà di auspicare lo sgombero «subito», mentre Valenzano si disse più possibilista ad arrivare a novembre, «sperando di riuscire a invertire la narrativa».

Va precisato che l’ordine di sgombero fu “congelato” dal Municipio il 18 marzo, una settimana dopo averlo intimato. L’esecutivo si rese conto che per attuarlo fosse necessario seguire la procedura giuridica della disdetta dalla Convenzione con gli autogestiti sull’utilizzo dell’ex Macello, di cui il Comune era firmatario. Procedimento giuridico poi seguito nei mesi successivi nelle sue varie tappe.

Un macello di cena
Chi diede l’ordine di demolire lo stabile? In questo caso, gli interrogati principali concordano, almeno parzialmente. L’autorizzazione ad abbattere lo stabile (o almeno parte di esso) fu data da Valenzano, previa consultazione dei municipali già favorevoli allo sgombero. Già il 27 maggio, l’esecutivo concesse in una risoluzione «il nullaosta allo sgombero se la manifestazione del 29 dovesse degenerare, se la Polizia debba intervenire e se dal profilo tattico strategico sia indicato effettuare lo sgombero». Dal profilo tattico, l’occasione d’oro arrivò col Molino sguarnito mentre i manifestanti erano all’ex istituto Vanoni. Meno limpido il concetto di degenerazione. A che livello si poteva definire tale? «Per intendersi, non un semplice ostacolo alla viabilità, un imbrattamento di un muro, o danneggiamento di un cassonetto o uno spintone a un passante» spiegò il municipale Lorenzo Quadri.

Fu invece considerata una degenerazione l’occupazione temporanea dell’istituto Vanoni, dando il via libera allo sgombero.

Successivamente, alle 21.23, Valenzano a cena da amici autorizzò la demolizione «del tetto e di una parete». Il vicecomandante Hutter lo confermerà, spiegando le ragioni della demolizione. La Polizia temeva una rioccupazione dell’ex Macello degli autogestiti da quel tetto, con rischi all’incolumità delle persone, sia poliziotti che manifestanti. Perché proprio quel tetto e non gli altri tre, non è dato a sapere. La magistratura non ha posto la domanda nei vari interrogatori, così come non ha mai chiesto se qualcuno si fosse preoccupato dei rischi per la salute dovuti all’assenza di perizia sulle sostanze chimiche. Gli inquirenti si sono limitati a chiedere se non avessero riflettuto sull’assenza della licenza di costruzione. Per la cronaca, ognuno ha risposto che dava per scontato che se ne fosse occupato l’altro.

La questione se si dovesse distruggere il solo tetto o tutto l’immobile, appare marginale. Per gli attori presenti sul posto non vi era alcun dubbio. Dal comandante delle operazioni di polizia in loco, all’impresario alla guida della pinzatrice, lo stabile andava distrutto. D’altronde anche politicamente, uno stabile abbattuto o scoperchiato, avrebbe sortito il medesimo effetto. Le migliaia di persone indignate dalla politica della ruspa scese in strada a Lugano il sabato successivo alla demolizione lo attestano.

Sul finale dell’inchiesta, la legale dell’imputato Hutter chiese l’interrogatorio di Michele Bertini, l’ex municipale a capo della polizia cittadina in marzo, quando l’esecutivo decretò lo sgombero del Molino. Nello stesso periodo quando le polizie si scambiavano mail in cui pianificavano la demolizione di parte del centro sociale autogestito.
Quando il procuratore decise di abbandonare le imputazioni nei confronti del poliziotto, la sua legale non sentì più la necessità d’interrogare Bertini, presumibilmente su cosa sapesse della prospettata demolizione.

L’inchiesta del procuratore generale Pagani non ha dunque ravvisato alcun reato penale nel demolire uno stabile nottetempo senza alcuna precauzione e licenza edile, il cui abbattimento era stato previsto tre mesi prima. La politica della ruspa ne esce indenne. Ma per quanto si siano assolti, saranno per sempre coinvolti.
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