Quando migrazione fa rima con detenzione ed espulsione
Fonte: renverse.co
A Ginevra, una cinquantina di persone sono attualmente in detenzione amministrativa, per l’unica ragione che gli è stato negato un permesso di soggiorno nel territorio svizzero. E’ il caso di R, tunisino, respinto, arrestato in ottobre mentre usciva dall’Ufficio cantonale della popolazione e della migrazione (OCPM), dove si era recato per rinnovare la sua carta bianca che gli permette di ottenere «l’aiuto d’urgenza«. Attirato dal mito di un’Europa dei “diritti umani” e della prosperità per tutti/-e, R si è trovato, invece, di fronte a una politica migratoria che considera gli esseri umani come dei numeri da gestire, selezionare, rinviare…
Mentre ci si commuove per le tragiche morti dei/delle migranti sparse lungo le vie dell’esilio, è necessario rammentare i miliardi investiti, non nell’accoglienza, ma nella repressione e nella costruzione di una fortezza infrangibile alle frontiere?
Dell’accoglienza tra detenzione amministrativa e rinvio
L’esempio del percorso di R, che cercava asilo in Svizzera.
R è un uomo tunisino che vive in Europa da più di dieci anni e che nel 2015 si è impegnato nella lotta contro la sistemazione dei richiedenti l’asilo in un rifugio della Protezione Civile (Pci) a Ginevra. Oggi è incarcerato, condannato a tre mesi di detenzione amministrativa in attesa della sua espulsione. E’ stato arrestato lo scorso ottobre mentre usciva dall’Ufficio cantonale della popolazione e della migrazione (OCPM), dove, come tutti i 15 giorni, stava rinnovando il foglio bianco che gli permette di ottenere «l’aiuto d’urgenza».
L’incarcerazione amministrativa può durare fino a 18 mesi e si conclude regolarmente con un’espulsione, spesso corredata di volo speciale. A Ginevra, una cinquantina di persone sono attualmente imprigionate nei centri della Favra e di Frambois – e 168 posti sono previsti sul sito di Champ-Dollon – per l’unica ragione di essere stato loro negato il permesso di soggiorno nel territorio svizzero. La detenzione amministrativa le punisce per ciò che sono, ossia delle persone in esilio che cercano rifugio e un migliore avvenire in Svizzera.
Delle collusioni indecenti tra l’Hospice e la polizia
Dato che la sua richiesta d’asilo era stata respinta, R riceveva l’aiuto d’urgenza, 300.- mensili, che includono il divieto di lavoro, rendendo impossibile la vita in Svizzera.
L’aiuto d’urgenza, come l’aiuto sociale, si attiene alla competenza dell’Hospice général. Per ottenerlo, le persone in esilio sono costrette a presentarsi regolarmente all’OCPM. Si assiste in modo ricorrente a degli arresti all’uscita di questo ufficio o sul tragitto di ritorno, su denuncia degli impiegati. Per una tale collusione tra sociale e polizia, l’aiuto sociale diviene un vero e proprio mezzo di controllo e coercizione. L’OCPM è al contempo il passaggio obbligato per ottenere ciò di cui sopravvivere e il luogo scelto per la repressione.
R ha alloggiato da troppo tempo in condizioni inaccettabili. Per avere accesso a delle condizioni di vita decenti e un minimo di intimità – come, per esempio, dormire una notte in una stanza individuale con una finestra, fare una doccia calda in tutta tranquillità o cucinare con dei/delle amici/-che – R dorme di tanto in tanto da dei parenti. Ma, se non ci si presenta nell’arco di 72 ore presso l’alloggio assegnato dall’Hospice, si viene dichiarato/-a «scomparso/-a» alle autorità cantonali e si perdono gli esigui diritti concessi dal sistema d’asilo. Quest’altra forma di controllo ricorda che, se degli arresti avvengono durante il passaggio obbligato all’OCPM, si effettuano in egual modo durante il sonno, nei letti dell’Hospice général. Questa istituzione “di azione sociale” costruisce dei dispositivi coercitivi in collaborazione con le politiche repressive dello stato. Questo contribuisce a rompere irrimediabilmente ogni legame di confidenza, spingendo così le persone in esilio a rientrare in clandestinità.
Il sistema migratorio svizzero:una macchina che distrugge le vite
R è stato attirato dal mito dell’Europa dei diritti umani e della prosperità per tutti/e. Proveniente da un paese “a rischio migratorio elevato”, non ha potuto viaggiare e raggiungere l’Europa legalmente. Come molti altri, ha dovuto attraversare il mare clandestinamente, a rischio della sua vita. Cercava solo un avvenire migliore. Che ce ne può importare se stava scappando da una guerra, una dittatura, un paese devastato dall’estrazione di materie prime, dalla miseria o da problemi personali? Tutti sanno cosa costa lasciare il proprio ambiente, i propri parenti, i propri punti di riferimento per andare in un paese di cui non si conosce nulla.
Arrivato in Svizzera, R non ha potuto raccontare la sua vera storia né mostrare i suoi documenti, poiché ciò gli sarebbe valso il rinvio immediato. Non ha potuto toccare una briciola di questa prosperità, né ottenere l’ombra dei diritti umani. Al contrario, si è ritrovato di fronte al divieto di lavoro, ad alloggi fatiscenti, a freddi volti dell’amministrazione (SEM, OCPM, Ospizio generale, polizia) e a volte anche del corpo medico. E’ stato obbligato a vivere nel sottosuolo dei bunker, in 30 per dormitorio, senz’aria né luce del giorno, sottomesso alle perquisizioni, ai controlli e alle perenni vessazioni. Davanti a queste condizioni di vita e al disprezzo mostrato dall’Hopsice général da cui dipende, R non si è mai sentito considerato come un essere umano.
Questa politica migratoria considera gli esseri umani come dei numeri da gestire, selezionare e rinviare. Questa politica migratoria produce e causa la loro messa a morte.
Lo statuto di rifugiato: un trofeo riservato a una minoranza
La prima preoccupazione delle autorità a una domanda d’asilo è di provare che il o la richiedente sia passato/-a per un altro paese d’Europa, per rinviarlo/a con il pretesto degli accordi di Dublino. La seconda tappa consiste nel dimostrare che la sua domanda non è giustificata o che la persona in questione proviene da un paese in cui non si rischiano delle vere persecuzioni. La miseria, creata da pratiche coloniali, non è stata evidentemente mai presa in considerazione. E ciò sapendo che il diritto d’asilo varia a seconda della volontà delle relazioni diplomatiche ed economiche, che permettono, ad esempio, di apporre o rimuovere il termine guerra a proposito di tale conflitto o il qualificativo di dittatura a proposito di tale regime; considerazioni che talvolta mutano dall’oggi al domani.
Vero o falso, come stare al gioco dei discorsi xenofobi
Mentre ci si commuove di fronte alle morti tragiche delle/dei migranti sulle rotte dell’esilio, c’è forse bisogno di ricordare i miliardi investiti non nell’accoglienza, ma nella costruzione di una fortezza dalle frontiere invalicabili1? Dai luoghi dove passano e ripassano le merci e chi possiede un passaporto in regola – per delle vacanze, dei soggiorni di affari o degli studi universitari – degli esseri umani in possesso dello status socio-economico “sbagliato” e della nazionalità “sbagliata” si scontrano contro dei muri o spariscono nel nulla. Si difende qualche “vera” persona rifugiata che viene messa in opposizione ai “finti rifugiati” che verrebbero per delle “ragioni economiche”, fingendo di dimenticarsi della responsabilità di questa stessa Europa che saccheggia e sfrutta le risorse dei loro paesi e che spesso si ritrova legata da vicino o da lontano alle cause dei conflitti in corso. Come se i “motivi economici” non fossero politici né una violenza inflitta da dei privilegiati. Diffidade dalle divisioni artificiali su chi avrebbe la legittimità di soggiornare sul continente europeo.
Basta con le collusioni tra sociale e polizia.
Basta con gli arresti all’OCPM e nei centri di accoglienza.
Basta con i bunker, con le carceri e le espulsioni.
Libertà per R e tutte le persone incarcerate.
Collectif Sans Retour
10 November 2017
1Nel 2012 la svizzera ha firmato un partenariato con la Tunisia, “che prevede la riammissione dei richiedenti d’asilo respinti in cambio di una serie di misure di aiuti allo sviluppo socio-economico del paese”. Asile.ch
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