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CHE COSA ABBIAMO FATTO
Oggi 11/5/2002, il numero 9 di Via di Corte a Ruballa e’ stato occupato, con questo documento rendiamo note le motivazioni e i contenuti materiali ed ideologici della nostra protesta attiva, esponendo chiaramente la nostra volonta’ di lotta per prevenire facili distorsioni da parte dei media. Concepiamo l’ occupazione come del bisogno della casa, ma anche come forma di lotta da portare all’ esterno; siamo convinti di agire nella piena legittimita’ civile in quanto testimoni di un malessere oggettivo ed esteso nella collettivita’.
L’occupazione di questa casa significa per noi:
[] soddisfazione del bisogno fondamentale della casa,
[] ricerca di una socialita’ diversa, alternativa a quella imposta, atomizzante, mercificata e repressiva,
[] liberarci e liberare uno spazio in cui impostare una convivenza sociale, secondo ideali alieni alle logiche capitalistiche e di mercato,
[] denunciare e rallentare la politica liberista dell’ ASL, che si concretizza (a danno di tutti) nella vendita del patrimonio immobiliare pubblico,
[] sostenere in modo concreto la lotta iniziata dalla casa occupata il Pettirosso, sgomberata l’8/05 perche’ facente parte dei lotti del comune di Bagno a Ripoli che saranno messi all’ asta dall’ ASL.

CHI SIAMO:
Studenti,per la maggior parte fuori sede, studenti-lavoratori e lavoratori precari, che si sono scontrati con una realta’ dagli affitti improponibili (dai 250 ai 350 euro per una singola). In questa Firenze bottegaia, l’ universita’ e l’ARDSU garantiscono solo 900 posti letto su 30.000 studenti fuori sede e assegnano le borse di studio con metodi discutibili (solo su una parte delle richieste viene effettuato una reale verifica fiscale).In futuro addirittura la selezione si basera’ su criteri meritocratici...
In questo contesto l’Universita’ svende il patrimonio immobiliare e lascia all’ abbandono numerose proprieta’, preferendo affittare da privati appartamenti o spazi da destinare agli studenti (le facolta’ di filosofia, psicologia e Scienze della formazione sono prese in affitto, le future Case dello studente di Viale Mariti, di via Maragliano, dell’ ex-carcere delle Murate e di S. Salvi saranno costruite o ristrutturate da privati). Inoltre per il ricavato di questa svendita non ci sono progetti con l’ obbiettivo di migliorare i servizi: non e’ che l’ ennesimo tentativo dell’ Universita’ di sanare la voragine di debiti in cui sta sprofondando dopo anni di malagestione, secondo metodi clientelari.
L’ Universita’ si comporta esattamente come un’azienda, svende, investe e concepisce lo studente come un numero, da incasellare secondo la volontà della classe dirigente.
Se da un lato ti svuotano le tasche, con l’aumento continuo delle tasse universitarie, dall’altro ti riempiono di merda, indottrinandoti e rendendoti flessibile a qualsiasi tipo di ricatto lavorativo. Inoltre la nuova riforma, incentrata sulla cultura in pillole ( moduli di trenta ore, certamente insufficenti per l’apprendimento di materie complesse ), imponendo l’obbligo di frequenza e il sostenimento di numerosi esami ogni anno, contribuisce ad accellerare la divisione classista che già la riforma diessina aveva perfettamente delineato, creando due tipi di istruzione: una per lo studente “a tempo pieno” che può permettersi di non lavorare e che andrà a formare la classe dirigente o la borghesia “illuminata” universitaria a pensiero unico, e l’altra per lo studente non mantenuto che divide il proprio tempo tra studio e lavoro a nero o precario e che andrà a formare la classe lavoratrice dell’interinale e della mobilità.
In questo sistema sempre più sfrenatamente liberista, il “mercato” del lavoro ha subito le più marcate e subdole trasformazioni solo a vantaggio dei padroni. Chi non possiede mezzi economici per garantirsi un posto da solo tramite il percorso universitario che sfocia nei costosi masters, è condannato a subire l’imposizione dei cosiddetti contratti atipici, ma in realtà sempre più tipici: lavoro in affitto, tempo determinato, colllaborazioni, flessibilità ...
Questa tecnica contrattuale resa dilagante, con la compiacenza del gobverno di centro-sinistra, ora vorrebbe essere generalizzata dal centro-destra con la cancellazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. E’ evidente l’attacco ai lavoratori sia in termini di diritti politici che materiali. La volontà delle classi padronali è di ridurre la figura del lavoratore a pura merce interscambiabile, funzionale solo agli oscillanti livelli di produzione e che costi il meno possibile per garantire profitti sempre più alti. In questo sistema, sempre più simile ad una “giungla”, il lavoratore precario non può far fronte alla soddisfazione di bisogni primari come la salute, la casa, l’istruzione e così via, se l’unico modo è quello di rivolgersi al mercato, in quanto esigui salari senza alcuna garanzia di continuità non permettono di sopportarne i prezzi.

LA CASA E’ UN DIRITTO:
La situazione abitativa fiorentina è, come in altre grandi città, complessa: Firenze è meta di migranti, di turismo di massa e sede universitaria (30’000 sono i fuori sede, più gli studenti di università straniere private che, permanedo per brevi periodi e possedendo le cosidette “monete forti”, favoriscono l’aumento degli affitti molto spesso a nero proprio per la permanenza che di solito non supera i sei mesi). La domanda di case è quindi sempre in aumento, mentre l’offerta continua ad essere limitata, i prezzi delle case affittabili salgono così alle stelle. Si innesca così un circolo vizioso “aumento della domanda-limitazione dell’offerta-aumento dei prezzi” che sarebbe facilmente sbloccabile: nel comune di Firenze risultano formalmente sfitti 15’000 appartamenti che, immessi sul mercato, farebbero automaticamente diminuire la domanda e quindi i prezzi.
Ma c’è chi ha interesse a mantenere intatto questo meccanismo,incrementato inoltre dal giochetto perverso della rossa giunta fiorentina che,mentre si pubblicizza città-modello della democrazia,viaggia senza remore a braccetto col capitale privato,favorendo l’aumento dei prezzi degli affitti.In perfetta linea con questa politica si inseriscono le dichiarazioni del “no global” Martini che ,appena tornato da Porto Alegre, valuta positivamente il dato ad una conferenza pubblica sulla situazione abitativa; vede Firenze come una città economicamente sicura, grazie alla sua vocazione turistica e di città universitaria.Lo studente è quindi considerato dal presidente della regione,come dall’università, fonte di rendita, sacchettino di monete da mettere sulla bilancia insieme ai dollarozzi degli annoiati turisti americani.
Martini è il giusto presidente della Toscana che si pone come baluardo di una sinistra “illuminata”,del modello di sviluppo alternativo,di una globalizzazione “a basso impatto” e che invece adotta le stesse pratiche di chi promuove il modello liberista,prostituendo la campagna ad un turismo preconfezionato e pronto da scartare
prendendo il meglio e gettando la cartaccia;scompartizzando la città (il centro storico “cartolina” per turisti,il centro industriale concentrato all’Osmannoro, il quartiere-dormitorio alle Piagge);costruendo centri commerciali coop ovunque (perchè il commercio equo e solidale ed il consumo critico vanno benissimo purchè siano consumo); smembrando la città con una continua cementificazione; costruendo una galleria sotterranea per il Treno ad Alta Velocità (nei cuicantieri la tutela dei lavoratori rasenta lo zero);
svendendo e privatizzando.
Proprio in quest’ambito si inserisce l’imminente aziendalizzazione della gestione dell’edilizia pubblica con la costituzione della Casa s.p.a. Questa ingegnosa trovata stabilisce che gli assegnatari delle case siano ora costretti ad acqistare l’immobile, pena lo sfratto. Viene da chiedersi chi tra gli assegnatari, che si presumono di basso reddito, potrà permettersi di acquistare una di queste case (i cui prezzi sono altissimi) o se non sia in realtà solo una manovra per sgomberare case che verranno poi rimesse sul mercato.
A questa città vengono sottratti sempre più spazi,sia abitativi che sociali: centri sociali sgomberati, piazze blindate, aree verdi spianate per fare posto a centri commerciali che tendono a diventare gli unici luoghi aggregativi. L’alternativa è rinchiudersi in un pub dove paghi il tuo divertimento e dove la musica è talmente alta da impedire qualsiasi tipo di socialità. Oppure il comune potrebbe regalarti uno spazio,c’hai mai pensato? autogesito ma non troppo, presupponendo in questo modo un legame diretto con le istituzioni. Non si può separare il discorso dell’assegnazione dall’argomento del contendere, dal nostro proposito di cambiamento radicale, totale.
Il potere, ora e piu’ che mai, sta in piedi solo grazie alla sua tetra armonia di capitale e autoritarismo; non concede nulla, non opera alcuna apertura, se non ben congegnata nel suo piano strategico di mantenimento o, addirittura per noi, di peggioramento delle attuali condizioni sociali e politiche.
Con questo non vogliamo considerare a priori l’assegnazione come una svendita delle nostre istanze (se ci assegnassero la casa sarebbe una vittoria) , ma ci risulta difficile immaginare la giunta comunale,il prefetto o i giornali che affidano un posto a quei ‘bravi ragazzi’,a quei “no global” senza volere nulla in cambio.

PERCHE’ OCCUPIAMO UNA PROPRIETA’ DELL’ ASL?
La risposta diretta, per risolvere alcune problematiche determinate dalla nostra situazione di vita e di ruolo in questà società capitalista, parte dall’occupazione di una casa facente parte del patrimonio pubblico, rivendicandone la sua funzione sociale. Questa casa rientra nel pacchetto immobiliare di Corte a Ruballa, patrimonio gestito con inefficenza dall’Asl. Per diversi anni l’immobile in questione è stato abbandonato all’incuranza e di fatto inutilizzato, quindi sottratto all’effettivo godimento della collettività. Per troppo tempo è stato lì davanti ai nostri occhi, lasciato marcire, dimenticato da un ente pubblico che, acquisito nel frattempo il fiuto del profitto (ne è la prova la svendita del patrimonio pubblico), solo adesso se ne ricorda. Attualmente l’Asl intende vendere questa e altre proprietà a privati, per colmare buchi di bilancio coprendo la malamministrazione con la scusa di dover reperire liquidità per acquistare costosi macchinari. Ma quale reale controllo potremo avere sulla destinazione del ricavato della vendita patrimoniale e come mai la quota di spesa pubblica nazionale per la sanità viene progressivamente ridotta mentre la parte di bilancio destinata alla difesa aumenta? Noi denunciamo la pratica di svendita da parte dell’Asl, ente istituzionale che sembra essersi incarnato a prototipo-simbolo della nuova realtà aziendalizzata dei servizi rinnegati o lasciati in mano ai privati, macabra imposizione ricordataci dal ministro Sirchia che “non tutto è per tutti”.
Il settore della sanità, tanto vituperato e denigrato durante gli anni ’80 e ’90, andava riformato: questo era di dominio pubblico e ampiamente rivendicato. Ma il potere politico, connivente con il capitale, (invece di razionalizzare il servizio e introdurre forme di controllo dal basso contro gli sprechi e la malagestione), cerca di convincere l’opinione pubblica che l’unica soluzione sia privatizzare. Ha propinato l’illusione che dando più agibilità politica e gestionale alle Regioni e agli Enti locali tramite la “devolution” e la “deregulation” si sarebbe garantito l’avvicinamento della cosa pubblica alla gente e il miglioramento dei servizi. In realtà il sistema cambia poco dal punto di vista politico e peggiora sotto l’aspetto dell’assistenza garantita.Entrambi i principi tendono a smantellare lo stato sociale, a negare dei diritti acquisiti a costo di dure lotte, a depotenziare la possibilità di creare un fronte popolare critico capace di fare pressioni sull’amministrazione e determinarne le linee programmatiche.
Con la devolution interi settori pubblici passano dallo Stato centrale alle Regioni e agli Enti locali; in questo modo si frammenta la gestione politico-amministrativa sul territorio nazionale dando vita a diversi modelli a seconda delle capacità, degli umori e delle tendenze politiche degli amministratori locali rinnegando il principio universalistico dei servizi essenziali.
Con la deregulation si disconosce l’esclusività dello Stato nella gestione dei servizi stessi aprendoli al mercato e permettendo, quindi, ai privati di lucrare su di essi con logiche di profitto e non certamente di garanzia generale.
Entrando nello specifico della Sanità, lo Stato, dopo aver decurtato le risorse ad esso destinate, ha devoluto alle Regioni la responsabilità di far quadrare i conti con qualsiasi mezzo anche con l’introduzione di tickets, con il passaggio di gestione ai privati o con la vendita di patrimonio immobiliare. Inoltre ha introdotto i cosidetti LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) che garantiranno un livello minimo di assistenza oltre il quale i cittadini dovranno affidarsi a assicurazioni private, secondo il modello statunitense. E il gioco è fatto!
La salute non è più un diritto generale, ma pura merce: può garantirsela solo chi è abbastanza ricco.
Questi provvedimenti politici portati a compimento dall’attuale governo di destra scaturiscono da programmi già avviati dal precedente governo di centro-sinistra con la riforma Bindi e il decreto Visco, dimostrazione del fatto che tra loro non vi è alcuna differenza se non nei metodi, ma il fine è identico: la cancellazione dello stato sociale a vantaggio esclusivo del mercato, dell’imprenditoria e del capitale.
Nella “rossa” e scaltra Toscana probabilmente non verranno adottati i tickets, nè introdotte nuove tasse sulla salute, ma di certo intanto, oltre a fare tagli alle spese, si vende il patrimonio immobiliare ai privati. Patrimonio pubblico, quindi ricchezza dell’intera collettività, che in quanto tale dovrebbe essere destinato al benessere di tutti e in primo luogo di chi versa in condizione di bisogno e non ai discutibili affari di qualche miliardario.
Il Comune di Bagno a Ripoli ( anch’esso “rosso” di facciata ma dovrebbe esserlo di vergogna) non fa molto per impedire queste pratiche manageriali sul suo territorio.
Lo sgombero della casa occupata “Il Pettirosso” avvenuto l ‘8 maggio è un chiaro esempio che l’apparente volontà del Comune di aprirsi al dialogo nasconde invece accondiscendenza a dinamiche neo-liberiste.La giunta comunale si era impegnata, votando un ordine del giorno in consiglio, a risolvere il problema abitativo degli occupanti, ma l’unico motivo che ha portato all’apertura della trattativa e’ stata la situazione di rischio determinata dalla resistenza degli abitanti della casa allo sgombero che avrebbe potuto infangare il “buon nome” del Comune. Abbiamo cosi’ assistito ad una triste parata di politici e assessori, che facevano da spoletta tra gli occupanti sul tetto, il presidio in solidarieta’ e le forze del (dis)ordine, cercando di mediare alla meno peggio. Una questione indubbiamente di ordine sociale,come la necessita’ della casa, e’ stata gestita invece come un problema di ordine pubblico, visto l’enorme impiego di forze ARMATE (circa cento unita’ tra poliziotti e carabinieri in assetto anti-sommossa per otto persone). La trattativa avviata da Comune-regione-asl , anche se venisse conclusa in modo vantaggioso per gli occupanti, non andrebbe a risolvere un problema generale e complesso come quello della casa, intesa non solo in termini abitativi ma anche sociali ( tra l’altro la stessa mattina dello sgombero una donna con figli minori e’ stata sfrattata nello stesso comune) .L’occupazione di questa casa e’ quindi anche una risposta allo sgombero del Pettirosso.
Ribadiamo che queste dinamiche vanno bloccate con la lotta dal basso e nel nostro caso con la legittima occupazione di uno spazio pubblico, per sottrarlo all’ennesima speculazione ed aprirlo alla collettività attraverso progetti politico-sociali.

Occupare questa casa per noi significa, oltre che soddisfazione del bisogno materiale della casa, riappropriazione di salario e di tempo sottratto al lavoro (non pagando l’affitto), e di uno spazio (da non dover cercare fuori di casa) dove fare attivita’ creative come un laboratorio fotografico e uno di serigrafia.
Ridare vita ad una casa con le proprie mani e con i materiali scartati dalla societa’ del consumo-a-tutti-i-costi, dimostrando che la possibilita’ di utilizzo di un oggetto va ben oltre alla durata di una moda e sottraendosi’ cosi’ alla logica dell’usa-e-getta ed ai condizionamenti pubblicitari.
Come crescita collettiva, come condivisione di esperienze, che partono da un progetto comune e dalla sua evoluzione quotidiana; come possibilita’ di non dover separare l’ambiente di confronto e lotta politica da quello della vita di tutti i giorni.
Come luogo di una socialita’ diversa, non conforme a quella imposta dalla societa’.
Questa socialita’ non vuole essere limitata ai soli occupanti, ma vuole aprirsi alla realta’ di Bagno a Ripoli, diventando, un reale luogo aggregativo. Vorremmo realizzare queste aspettative attraverso cene sociali, cineforum, mettendo a disposizione i laboratori (fotografico e di serigrafia) e una biblioteca. ..sappiamo che ci vorra’ tempo e che saranno necessarie un sacco di energie per riuscire ed e’ proprio per questo che se qualcuno vorra’ partecipare anche alla costruzione e non solo usufruirne, il contributo sara’ senza dubbio ben accetto. Ci interessa in particolar modo portare avanti un progetto che coinvolga i bambini di Bagno a Ripoli attraverso letture collettive di libri la realizzazione di un teatrino di burattini, progettato e costruito manualmente insieme ai bambini, oganizzazione di pomeriggi con merenda e giochi (palla avvelenata, bomba libera tutti, guardie e ladri, caccia al tesoro,..).

bombaliberatutti

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