Sabato 12 aprile si doveva svolgere l’udienza al Tribunale di Trieste per il processo a Maurizio Alfieri e Valerio Crivello. Il giorno prima si era saputo che l’udienza non si sarebbe svolta perché l’avvocato di Maurizio ne aveva chiesto il rinvio. La prossima udienza si terrà il 9 maggio sempre a Trieste. Nonostante il rinvio si è svolto un presidio al carcere con la presenza di una ventina abbondante di compagni e compagne. Anche questa volta c’è stata una buona attenzione da parte delle detenute.
Sono stati fatti vari interventi tra cui uno ricordando Naseri Mohammad Gul, ragazzo afgano suicidatosi con la pistola rubata ad un poliziotto davanti la Questura di Trieste nel mese di marzo.
Per la prossima udienza vedremo sapere in anticipo se Maurizio sarà presente in aula in modo tale da organizzare una presenza importante al Tribunale.
Alcuni compagni e compagne
SOLIDARIETÁ CON MAURIZIO E VALERIO
E CON TUTTI\E I DETENUTI\E IN LOTTA
Lo scorso 8 febbraio si teneva, presso il tribunale di Trieste, la prima udienza del processo a Maurizio Alfieri e Valerio Crivello, due prigionieri da anni rinchiusi nelle galere dello stato italiano. Sono sotto processo perchè, durante la loro detenzione nel carcere di Tolmezzo, hanno reagito alla provocazione di un “collaboratore di giustizia e della direzione penitenziaria”.
Quel giorno, a Maurizio, è stata vietata la presenza in aula dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per questioni di cosiddetta “sicurezza”, dovute al fatto che di fronte al tribunale ci fosse un presidio solidale. Si è tentato di costringerlo ad accettare la video-conferenza, volendo cioè negargli la presenza in aula, prassi che la legge prevede per i detenuti sottoposti al regime dell’isolamento del 41 bis, ma che oramai DAP e tribunali nei fatti tendono ad allagare a tutti i prigionieri “scomodi” sotto processo. Per quanto riguarda Valerio invece, la legge prevede obbligatoriamente la partecipazione in video-conferenza, essendo accusato di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, sulla base di infamate di “pentiti”, come al solito manovrati a piacimento dalle procure.
Questo processo e la sua gestione da parte di magistrati e DAP si deve al fatto che Maurizio e Valerio denunciano e lottano contro le nefandezze che succedono dentro le galere.
Dopo l’udienza dell’8 febbraio, entrambi sono stati trasferiti in altre carceri, allontanandoli ancora di più dai loro cari, messi ancora in isolamento, peraltro a poche settimane da una nuova mobilitazione che i detenuti nelle carceri italiane hanno lanciato dal 5 al 20 aprile, contro le condizioni disumane di detenzione, la tortura “bianca” dell’isolamento e le violenze e gli arbitrii delle guardie e della direzione dei penitenziari, rivendicando l’amnistia generalizzata e l’abolizione dell’ergastolo.
Per Maurizio, ora detenuto al carcere di Spoleto (PG), è il sesto trasferimento in un anno e mezzo!
Questi due uomini, a dispetto di chi li vuole in silenzio, continuano a lottare ancora a testa alta contro le ingiustizie e le torture che si perpetrano all’interno dell’istituzione penitenziaria, solidarizzando con le lotte sociali al di fuori delle mura, da quella contro il Tav a tutte quelle lotte che si oppongono alla sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.
Alla scorsa udienza, Maurizio ha infatti dichiarato: “Io non voglio difendermi, bensì attaccare il vostro sistema criminale”. E noi, con lui, diciamo: chi sono i veri criminali e assassini, quando ogni giorno almeno un operaio muore sul posto di lavoro, ogni due giorni un detenuto viene ritrovato cadavere nella propria cella, nel Mediterraneo si contano 20 mila morti, negli ultimi vent’anni, fra immigrati e profughi, uccisi dalle leggi sull’immigrazione della “civile” Europa e in fuga dalla fame e dalle guerre condotte e provocate dal “democratico” Occidente. Come Naseri Mohammad Gul, il giovane afghano che più di un mese fa davanti alla Questura di Trieste, durante un rinnovo del permesso di soggiorno, ha rubato la pistola al piantone di turno rivolgendogliela contro, non avendo dimestichezza con l’arma ha mandato i colpi a vuoto, poi disinserita la sicura e allontanandosi dalla Questura si è rivolto contro la pistola sparandosi in testa. Mohammad dopo esser scappato dall’inferno della democrazia esportata dai bombardieri e ucciso dall’oppressione che ha ritrovato qui, tra miseria materiale e morale, “accoglienza” blindata, ipocrisia “umanitaria”, burocrazia e aguzzini in divisa. Caritas, ICS, giornalisti e questurini e gente per “bene” non han fatto altro che dire “è vittima di una disgrazia” come un mantra senza tenere minimamente conto della storia di questo ragazzo e dei reali motivi che avrebbero potuto spingerlo a fare questo gesto. Egli rivolgendo la pistola contro un poliziotto aveva riconosciuto uno degli uomini che indossando la divisa l’opprimevano in quanto irregolare nei documenti, non è riuscito a compiere la sua giustizia personale.
E sempre a proposito di chi sono i veri criminali, va detto che quest’ultimi sì che possono assassinare impunemente, come dimostrano proprio a Trieste, in anni recenti, gli omicidi di stato di Alina Bonar, nel 2012, e di Riccardo Rasman, nel 2006.
Per tutto ciò, contro il carcere e il sistema che lo determina, il 12 aprile siamo di nuovo in strada al fianco di Maurizio e Valerio e di tutti i detenuti/e che lottano!
Compagne e Compagni