Lug 012014
 

videoRiceviamo e diffondiamo l’opuscolo “Sui processi in videoconferenza” che potete scaricare, impaginato per la stampa, qui.

Introduzione
“Non bisogna aver paura del progresso e della tecnologia […] c’è il problema della sicurezza”

Ancora una volta lo stesso mantra: progresso e sicurezza. Progresso oggi è sinonimo di una ricerca di strumenti e metodi volti esclusivamente a consolidare i privilegi dei propri padroni e quindi a reprimere gli esclusi. Di conseguenza la nostra sicurezza risiede esclusivamente nelle nostre mani e nella capacità di costruire legami di solidarietà e complicità forti tra esclusi, ossia in un luogo diametralmente opposto alle loro strade piene di divise e telecamere, alle loro stanze dei monitor.

Che lo strumento migliore per governare sia il terrore, coloro che siedono ai piani alti sembra lo sappiano a perfezione. Enfatizzando tramite i media ogni singolo episodio di cronaca, creano dei temibili mostri. Riescono ad infondere talmente tanta paura nella popolazione, che la richiesta di protezione conseguente permette loro di creare leggi d’emergenza che minano qualsiasi libertà individuale. Nascondendo quindi ogni strumento repressivo dietro il sipario della sicurezza, queste leggi d’emergenza divengono norma nel più totale silenzio.
Ad esempio, sfruttando l’emergenza mafia, la stagione delle stragi, il mostro mafioso, è stato possibile applicare a furor di popolo a chi viene tacciato di associazione mafiosa un regime detentivo come il 41 bis, un sistema di isolamento totale, una tortura degna delle più spietate dittature.
Sfruttando l’emergenza terrorismo, le torri gemelle, il mostro islamico, è stato possibile devastare e saccheggiare l’Afghanistan e l’Iraq, palesare l’inutilità del Diritto Internazionale calpestandolo con la creazione e l’amministrazione delle varie Guantanamo in giro per il mondo.
Sfruttando l’emergenza economica, il mostro della crisi, è possibile accentrare ulteriormente il potere nelle mani dei signori delle banche, svelare con decreti legge e manganelli la faziosità dello stato di diritto. Grazie allo spauracchio della crisi, è addirittura possibile ragionare su questioni di “giustizia” in termini di economicità, senza che si indigni neanche il più garantista degli intellettuali.

Matteo Renzi, all’indomani dell’assalto al furgone della penitenziaria che stava trasferendo il detenuto Domenico Cutrì ad un processo, dice di essere stato colpito da alcune parole pronunciate dal procuratore Gratteri: “Con la videoconferenza avremmo evitato assalto, morti, evasione”.
Perché Renzi ha riflettuto esclusivamente su quelle parole? Perché danno la chiave di lettura dell’accaduto necessaria a permettere di espandere una norma liberticida, come quella che obbliga i detenuti in 41 bis a presenziare ai propri processi in videoconferenza da una cella del carcere in cui sono rinchiusi, a tutti quei detenuti ritenuti pericolosi e quindi rinchiusi nei regimi di Alta Sorveglianza o in 14 bis.
Perché evocando uno scenario fatto di assalti ai blindati della penitenziaria, di morti ed evasioni, avvenimenti che negli ultimi 15 anni non si sono mai verificati, si crea un’emergenza che permette di imporre impunemente ad un settore più ampio della popolazione detenuta la videoconferenza.

Una manovra utile a lor signori per vari motivi. Il primo è sicuramente quello punitivo, far abbassare la testa ai detenuti e alle detenute ribelli. Quindi, oltre all’isolamento imposto all’interno del carcere, privarli anche della possibilità di provare quel minimo calore umano che nasce quando il proprio sguardo, in una gelida aula di tribunale, incrocia finalmente quello dei propri amici, parenti, compagni o compagne.
Come se non bastasse la videoconferenza impedisce il lavoro dell’avvocato difensore (che, di fatto, non può consultare in privato il proprio assistito) e rende impossibile agli imputati rivendicare in aula le ragioni della propria lotta. Inoltre, giudici o giurie popolari non sono più chiamati a pronunciarsi su una persona in carne ed ossa, ma su una figura virtuale, distante e già marchiata come pericolosa, con tutto quello che ciò comporta.
Il secondo è quello economico, fare a meno dei trasferimenti, delle scorte e del diesel per spostare i blindati, significa risparmiare almeno il 60%.
Ed eccoci al risultato dell’equazione paradigmatica del tempo che siamo costretti a vivere: nel loro mondo del Diritto, vale più qualche litro di diesel della vita di un detenuto sotto processo classificato come pericoloso dall’amministrazione penitenziaria.
Dunque, per riuscire a neutralizzare le sirene che tentano di incantarci tessendo le lodi del progresso e inculcandoci false necessità come smartphone, tablet o navigatori GPS, è necessario andare oltre le dichiarazioni dei politici e le menzogne della stampa, impegnandoci nella ricerca di informazioni reali che possano fornirci un quadro lucido della situazione contro la quale siamo costretti a fare i conti.

Ecco le ragioni di questa breve raccolta di testimonianze dirette sulla videoconferenza.