Finché dei lager non restino che macerie
Nuovi muri e centri di detenzione, polizie e volontari alle frontiere, nuovi accordi tra gli stati per deportare forzatamente migranti, retate nelle strade a caccia di persone “irregolari” e militarizzazione dei territori ridisegnano il volto dell’Europa. Un’Europa che continua a trincerarsi dietro i suoi confini escludendo gli indesiderabili mentre, allo stesso tempo, si nasconde dietro la facciata ipocrita dell’accoglienza. Un’integrazione che sfrutta i/le migranti che, sotto il ricatto del permesso di soggiorno, vengono utilizzat* come forza lavoro sottopagata o “volontaria”.
Tra gli strumenti utilizzati dagli stati per controllare e reprimere ci sono i CIE, centri di detenzione per migranti senza documenti in attesa dell’espulsione. Dei 13 centri costruiti in Italia, a seguito delle rivolte dei migranti reclusi, che li hanno distrutti e resi inagibili, ne sono rimasti funzionanti solo 4: Torino, Roma-Ponte Galeria, Brindisi-Restinco, Pian del Lago-Caltanissetta.
Anche in questi centri, nonostante l’inasprimento delle misure repressive, le rivolte non si fermano. Durante il mese di agosto, con il peggiorare delle condizioni di vita all’interno di queste prigioni, non sono mancate le resistenze dei/delle detenuti/e, individuali o collettive.
A Brindisi, l’8 agosto, mentre fuori dal CIE si teneva un presidio solidale, alcuni reclusi danno fuoco a materassi e lenzuola al grido di “Libertà”, rendendo inutilizzabili tre dormitori. A seguito della rivolta, i migranti, costretti a dormire per terra nel cortile o nei corridoi, iniziano uno sciopero della fame.
A Torino, il 4 agosto due migranti si procurano dei tagli per resistere alla deportazione; il 9 agosto, un recluso, dopo aver provato a incendiare la sua cella, viene trasferito nel carcere de Le Vallette. Riportato al CIE pochi giorni dopo, completa l’opera di distruzione. Sempre a Torino, un altro migrante si cuce le labbra per chiedere che sia fissata l’udienza per la richiesta d’asilo, riuscendo a ottenere la data.
Anche nell’hotspot di Lampedusa, dopo la grande rivolta di maggio che aveva portato alla distruzione di una delle tre sezioni, la sera del 24 agosto un altro incendio danneggia l’area in cui sono detenuti i migranti minorenni.
Nel CIE di Roma, la sezione maschile è ancora chiusa dopo la rivolta di dicembre scorso. In quella femminile, l’unica presente in Italia, sono attualmente detenute circa 40 donne, nonostante si arrivi a recludere anche 120-130 persone nei giorni che precedono le deportazioni di massa.
Nel tentativo di spezzare la solidarietà verso le persone migranti, si intensifica anche la repressione nei confronti di chi, all’esterno, prova a sostenere le lotte di chi è reclusa in questi lager. Sappiamo che i continui controlli in stazione e in treno e una sempre più massiccia e aggressiva presenza di forze dell’ordine davanti al CIE, puntano a intimidire i/le solidali.
Il coraggio e la forza dei/delle migranti, che continuano a ribellarsi in queste prigioni per riconquistarsi la libertà, ci spingono a tornare sotto quelle mura per unirci con le nostre voci alla loro lotta.
Per questo, il 17 settembre, andiamo in tanti e tante davanti le mura del CIE di Ponte Galeria per sostenere le donne ancora recluse e dire loro che non sono sole.
Appuntamento alle ore 13 fuori dalla stazione Ostiense per prendere il treno insieme.
(Abbiamo scelto di anticipare l’orario del presidio per permettere la partecipazione di tutte e tutti alla giornata in ricordo di Fabrizio Ceruso, che si terrà a San Basilio alle 17).
nemiche e nemici delle frontiere