fonte: Pagine contro la tortura
Sono passati 14 anni da quando la compagna Nadia è rinchiusa all’interno delle sezioni a regime di 41 bis.
Il 24 novembre a L’Aquila ci sarà la terza udienza che la vede sotto processo per aver osato dimostrare, tramite una battitura, di non essere stata ridotta al totale silenzio dalla vendetta dello stato. Le persone rinchiuse all’interno del circuito del 41bis non hanno la possibilità di far uscire la loro voce, rendendo pubbliche le condizioni vessatorie quotidianamente vissute sui propri corpi e le proprie menti. Questo processo ci racconta di una protesta fatta a seguito dell’applicazione della circolare del DAP del 2011 che impediva, ai detenuti e le detenute in 41bis, di ricevere libri tramite posta e colloqui. Vincola l’acquisto esclusivamente attraverso l’ufficio preposto dal carcere. La suddetta circolare è stata legittimata, dopo diversi iter processuali, dalla sentenza della cassazione e definitivamente sancita dalla Corte Costituzionale l’ 8 febbraio 2017.
Nel 2015 ha avuto inizio la campagna “Pagine contro la tortura” all’interno dei percorsi contro il carcere e dei ragionamenti che ne seguono aprendo ulteriormente una finestra su quello che è il “carcere speciale” come dispositivo punitivo chiaramente in relazione ai cambiamenti sociali.
L’impostazione di questo regime detentivo prevede:
– isolamento per 23 ore al giorno. L’ora d’aria prevede un massimo di 4 detenuti (la scarsa socialità è combinata scientificamente in base ai criteri dalla Direzione guidata dal DAP attraverso DNA, DIGOS, GOM, DIA…);
– colloquio con i soli familiari diretti (un’ora al mese) che impedisce per mezzo di vetri, telecamere e citofoni ogni contatto diretto;
– una telefonata al mese solo nel caso in cui non si sia effettuato il colloquio. Il parente stretto è la sola persona con la quale può entrare in comunicazione. La chiamata può essere effettuata esclusivamente dall’interno di un carcere;
– esclusione a priori dall’accesso ai “benefici” previsti dalla Legge Gozzini;
– impiego dei Gruppi Operativi Mobili (GOM), il gruppo speciale della polizia penitenziaria, tristemente conosciuto per i pestaggi nelle carceri e per i massacri compiuti a Genova nel 2001 [link];
– “processo in videoconferenza”: l’imputato/a detenuto/a segue il processo da solo/a in una cella attrezzata del carcere, tramite un collegamento video gestito a discrezione di giudici, pm, forze dell’ordine, quindi privato/a della possibilità di essere in aula;
– la censura, taglio e selezione nella consegna di posta, stampe, libri.
Con la legge Gozzini dell’86 viene introdotto il 41 bis, per guidare in un primo tempo il sistema punitivo e disciplinare da adottare in ogni carcere. Nell’estate del 1992 a seguito della morte di Falcone e Borsellino all’interno dello scontro tra gli apparati dello stato, il 41bis è diventato la punta di diamante del sistema repressivo carcerario. Dal ‘92 a oggi, questo regime è stato modificato e inasprito, esteso e omogeneizzato e normato come legge. Per esempio, prolungandone l’applicazione, inizialmente prevista nella misura di 3 fino a 6 mesi e con proroghe non automatiche bensì revocabili come rinnovabili, mentre a oggi si applica in prima istanza per 4 anni ed è la persona ristretta a dover dimostrare che non sussistono più motivi per la proroga: dimostrando di essere estraneo ai fatti, o collaborando.
È in questo modo che le leggi e le norme di natura emergenziale permangono e col passare del tempo, si estendono: ogni restrizione adottata nelle sezioni a 41bis prima o poi, con nomi e forme diverse, penetra nelle sezioni di Alta Sicurezza e in quelle “comuni”, e non solo. Un esempio tra tanti è quanto avvenuto ai processi in video conferenza, a oggi estesi anche ad altri circuiti penitenziari e alla trattazione delle commissioni territoriali per le richieste di protezione umanitaria delle persone immigrate.
Inoltre con l’ultima circolare D.A.P del 2 ottobre 2017 si è sancita l’omologazione del trattamento di tutte le persone detenute in regime di 41 bis oltre che rafforzarlo e legittimarlo. Nello specifico la quotidianità dei detenuti in 41 bis viene programmata in modo totalizzante, citiamo solo alcuni stralci tratti dalla circolare:
“assicurare un’attenta attività di osservazione al fine di studiare e analizzare dinamiche dei gruppi e apportare le dovute modifiche con l’obiettivo di impedire tentativi di “avvicinamento” e/o “condivisione” di interessi tra consorterie mafiose espressione di differenti provenienze territoriali, evitando di formare gruppi di socialità “aggregati” e comunque coesi”.
Gli apparati statali repressivi continuano a presentare questo circuito identificando, chi è lì prigioniero, esclusivamente come boss mafioso per ridurre la popolazione carceraria e ricondurla ad un evidente fine di demagogica strumentalizzazione sulla cosiddetta “opinione pubblica”. In realtà, come applicato per la compagna Nadia, il secondo comma della L. 279/2002 estende il regime del cosiddetto “carcere duro” anche ai soggetti imputati o condannati per reati diversi da quelli dell’associazione di stampo mafioso. Tra i reati interessati a questa estensione anche quelli “commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordinamento democratico, mediante il compimento di atti di violenza”.
L’estensione del 41 bis agli altri circuiti è resa evidente per esempio dalla scrupolosa osservazione alla base del dispositivo di isolamento messo in atto all’interno di questi circuiti. Nei circuiti di AS, per esempio, vige questo meccanismo, con la differenza che all’interno vengono rinchiusi soggetti che si ritenga abbiano una stessa matrice politica o…criminologica.
Il prestigio di un carcere è acquisito in maniera sempre più decisa sulla base della sicurezza e non del paravento della “rieducazione”; il fine principe, ripetiamo, è la volontà di ottenere “collaborazione” attraverso la tortura quotidiana.
Il carcere ha plurime funzioni tra cui quella di essere monito per chi decide, per condizione o volontà, di non attenersi ai paradigmi di legalità nonché quella di disciplinare, restituendo alla società esterna soggetti ammansiti e rassegnati.
La strategia del “divide et impera”, attuata con la differenziazione dei circuiti carcerari, è utile a frammentare e prevenire la solidarietà così come avviene nel mondo del lavoro e in quei tanti ambiti della società in cui tale sistema si concretizza nella “guerra tra poveri”.
Alla luce di ciò, riteniamo che il regime 41-bis non sia separato dal resto del carcere né dall’intero progetto politico di ristrutturazione della società.
Per questo lottare contro il 41-bis significa lottare contro tutto il sistema carcerario e non solo.
Il 24 novembre alle ore 9.00 si celebrerà, presso il Tribunale ordinario di L’Aquila in Via XX settembre n. 68, il processo a Nadia Lioce.
Noi quel giorno saremo lì in presidio,
in solidarietà con Nadia e con il suo grido di dignità.
A seguito ci sposteremo davanti al carcere per portare un saluto ai detenuti e alle detenute.
Campagna “Pagine contro la tortura”