Il “Local Team” è una squadra di cameraman che, da qualche anno, sembra essere presente ogni qual volta si verifichino eventi, di diversa natura, caratterizzati da possibili momenti di tensione o fortemente emotivi. Facciamo alcuni esempi: questo team, evidentemente diramato su tutto il territorio nazionale e oltre, documenta in diretta streaming eventi catastrofici (come crolli di edifici, incendi, incidenti, terremoti), avvenimenti di cronaca nera, incidenti automobilistici, conferenze stampa della politica istituzionale e cortei. Tutte situazioni che fanno leva sulla morbosità umana, e sulla “gratificazione” che può dare il “vivere” un momento pur non essendone parte attiva.
Questa nuova generazione di “giornalisti da assalto” si presenta con il seguente testo: “Ogni notizia. Ogni immagine. Ogni prospettiva. Ogni inquadratura. Ogni fotogramma. Ogni dettaglio. Ogni persona. Ogni parola” Lungi dall’essere mero slogan pubblicitario, la presentazione del local team è aderente in modo inquietante al loro reale operato. Ne abbiamo avuta prova rivedendo gli innumerevoli video a loro firma girati durante cortei e presidi degli ultimi mesi (Milano, Torino, Firenze, Napoli, Roma, Bologna, Modena, Pisa, Brennero etc.. ). Giornalisti e telecamere pronte a far bottino durante i citati contesti non ci giungono certo come una novità; né mai abbiamo sentito, come compagnx, che fosse una tutela la presenza di giornalisti e fotografi in momenti di tensione o di scontro con le guardie.
Ci sono però delle evidenti “novità” in questo modo di operare che vanno ulteriormente tenute in considerazione. Innanzitutto l’utilizzo selvaggio dello streaming di cui si nutre la loro modalità narrativa. Questo strumento (relativamente di recente comune utilizzo in contesti “di strada”) permette di condividere in tempo reale qualsiasi tipo di azione o avvenimento; proprio la condivisione attraverso le piattaforme social ( elemento ormai organico della vita quasi di chiunque ) rende questi video IMMEDIATAMENTE fruibili anche dalle “amate” questure, che ormai potrebbero quasi non scomodarsi neanche più a venire nelle piazze e nelle situazioni di conflitto e di lotta a sporcarsi le mani, tanta è la facilità con cui possono spiare… Lo streaming inoltre ha un grande potenziale illusorio, in quanto all’occhio di chi segue “da casa” regala una falsa percezione di realtà oggettiva: basta infatti un’inquadratura da un’angolazione piuttosto che da un’altra per distorcere completamente le dinamiche dei fatti. Di esempi su quanto poco oggettivo possa essere un obbiettivo fotografico o video ne abbiamo a decine, (ricordiamoci la famosa foto in cui Carlo Giuliani poco prima di essere ucciso da un carabiniere sembrava essere praticamente dentro la camionetta in cui era alloggiato l’infame, foto che poi si rivelò del tutto falsata a livello di prospettiva grazie ad altre decine di riprese video e foto). Dietro quelle telecamere ci sono dei soggetti, che elaborano la realtà in modo personale: di oggettivo quindi c’è ben poco.
Un altro elemento che va tenuto in considerazione, se si vuole fare un bilancio sulla pericolosità di questi soggetti, è la loro scarsa riconoscibilità. Sono dotati di attrezzatura tecnologica caratterizzata dalle ridotte dimensioni e dalla discrezione, non hanno pettorine né tesserini; probabilmente durante un corteo potremmo tranquillamente non accorgerci di averceli accanto, e questo è dimostrato dal fatto che alcunx compagnx si sono ritrovati nei video senza aver percepito minimamente la presenza di una telecamera, e dal fatto che molti dei loro video diffusi in rete sono girati “dall’interno” anche in momenti in cui di solito le telecamere non sono propriamente ben accette. Vorrà dire che oltre ad aver imparato a guardarci le spalle da digos mal celata e giornalisti con pettorine ben in mostra, impareremo a individuare anche questi appassionati della tensione in sordina.
Nel bilancio sulla pericolosità di realtà come il local team, non vogliamo dimenticare l’uso (e abuso) che negli anni nei tribunali si è fatto delle riprese video o immagini fotografiche per costruire e avvalorare accuse pesantissime (vedi il reato di devastazione e saccheggio o resistenza).
Se anche viviamo un tempo in cui l’essere ripresi da un obbiettivo in maniera praticamente costante si vada via via normalizzando (spesso siamo noi stessx a riprenderci accattivati dalla ludicità del momento), è bene tenere sempre a mente quanto invece sia necessario proteggersi dai rischi che questo comporta. Chi partecipa a una manifestazione, a un momento di lotta, può, per diversi e legittimi motivi, non apprezzare o addirittura considerare pericoloso che la sua faccia finisca on line, che la sua immagine sia data in pasto a chiunque, che sia su Local Team o su chissà quale altra testata giornalistica padronale. Vogliamo essere riconosciutx sempre? Vogliamo che tuttx possano sapere che eravamo lì quel giorno a quell’ora? Pensiamo che ogni manifestante debba poter partecipare a una lotta senza finire nella rete del controllo mediatico, a meno che non acconsenta autonomamente a esporsi a giornalisti, fotografi e videomaker vari.
Ci interessa infine anche notare come lo stesso linguaggio che Local Team propone delle manifestazioni non differisca in alcun modo da quello di un pennivendolo qualsiasi. Si parla quindi di black bloc, scontri, minacce ai giornalisti, assalti, tensioni… narrazioni che criminalizzano ulteriormente chi protesta, e di cui si fornisce anche prontamente l’identikit.
Se, come compagne e compagni, pensiamo che il materiale fotografico e video possa in qualche modo essere usato a nostro favore durante i processi, lo stesso deve però essere autogestito, quindi a tutela di tuttx. (consigliamo a riguardo la lettura di pagina 8 di questo opuscolo).
Perché quindi continuare a delegare l’informazione delle nostre lotte fornendo così alla polizia le prove con cui potrebbe incastrarci?
“Saranno nelle strade a cercare un futuro migliore
La rivoluzione non la faranno vedere in televisione”
The Revolution Will Not Be Televised – Gil Scott-Heron
Ostili alle telecamere