Nov 202018
 

Riceviamo e pubblichiamo.

Lunedì 19 novembre si è svolto, presso il tribunale di Torino, il processo di primo grado che vedeva due compas della Cassa AntiRep delle Alpi occidentali imputati per un acceso diverbio avvenuto con carabinieri in borghese nel dicembre 2017.
Il processo si è chiuso con la condanna di entrambi gli imputati a 8 mesi per resistenza e danneggiamento, ma ha anche annullato le misure cautelari a cui erano sottoposti dallo scorso 21 marzo.
Riportiamo qui sotto la dichiarazione letta in aula dagli imputati.
Contro divise, galere, misure e restrizioni!

Se siamo oggi in quest’aula ed abbiamo valutato opportuno intervenire nel processo con una nostra dichiarazione non è per entrare tecnicamente nel merito dei fatti specifici di cui siamo imputati: sappiamo benissimo che di fronte ad una ricostruzione senza testimoni da parte di appartenenti alle forze dell’ordine – per quanto lacunosa, adulterata e contraddittoria questa possa risultare – una nostra versione dei fatti avrebbe ben poco peso.
Prendiamo quindi l’occasione piuttosto, anche oggi, per non avallare con il nostro silenzio il ricorso alle misure cautelari in funzione oggettivamente repressiva e punitiva che è andato consolidandosi come consuetudine, specie – ma non solo – per la Procura di questa città.

Di fatto, obblighi e divieti di dimora, obblighi di firma, avvisi orali e sorveglianze speciali hanno assunto il ruolo di strumenti privilegiati al fine di perseguire persone e ambiti collettivi che esprimono un’alterità critica all’ordine vigente, al di là della rilevanza penale che le condotte a loro imputate possano rivestire. Riteniamo quindi che questi strumenti, al pari di una sempre più invasiva presenza di divise e apparati di controllo disseminati su ogni territorio, siano oggettivamente uno dei tanti segni dell’evolversi in senso sempre più autoritario, discriminante e repressivo della società in cui ci troviamo a vivere.

Ora, senza nulla togliere alla portata repressiva di altri analoghi provvedimenti, prendiamo ad esempio il nostro caso: dal 21 marzo scorso siamo obbligati a firmare tutti i giorni (periodicità che per uno degli imputati è scesa a tre giorni a settimana dall’inizio di novembre) presso una caserma distante 20 km dal nostro domicilio, ovvero quasi 8 mesi di obblighi giornalieri per un diverbio dalle conseguenze oggettivamente di scarsissimo rilievo. Una limitazione della libertà personale, un notevole dispendio di energie e di risorse economiche che di fatto costituiscono una vera e propria pena da scontare in attesa che un tribunale si esprima sulla nostra colpevolezza o meno.
Un astuto meccanismo giudiziario a cui si aggiunge la beffa: in caso di condanna, il periodo di limitazione della libertà a cui si è stati sottoposti non serve neppure, per legge, in termini di pena già scontata.
Siamo convinti che la Legge non sia che una leva tra le tante per piegare la vita delle persone ai dettami di un ordine ingiusto e prevaricatore. Ed è per questo che in tempi così bui di assuefazione ad un ordine di tale natura confidiamo, anche con questa dichiarazione, di dare il nostro contributo ad una più ampia presa di coscienza e di posizione nei confronti dei meccanismi di controllo e coercizione individuale e sociale.

Gli imputati