fonte: Macerie
Le impressioni di Lorenzo dall’altra parte di muri e sbarre sul saluto fuori dal carcere del 10 febbraio:
Torino, lunedì 11 febbraio
La cena della domenica può essere speciale.
Speciale quando il porta-vitto passa a consegnarti la solita razione di brodaglia fredda e una manciata di patate lesse ripassate in padella per distinguerle da quelle mangiate a pranzo. Meno speciale, quasi ordinaria, quando nessuno passa a riempirti il piatto e non ti rimane che una salutare merendina e un po’ di frutta accumulata nei giorni precedenti. La cena della domenica può essere speciale quando, finito di mangiare, inizi a interrogarti su come passerai le ore successive scegliendo tra i libri che non ti hanno bloccato in matricola, scrivendo a qualcuno in attesa di recuperare un francobollo prima della spesa del martedì, scambiando due chiacchiere con i compagni di sezione dallo spioncino del blindo almeno fin quando qualche secondino non comincia a invocare il silenzio perché sta iniziando la partita o più semplicemente perché gli gira così…
No, aspettate, sto facendo confusione… scusate, ricomincio.
La cena della domenica può essere speciale quando finito di mangiare inizi a interrogarti su come passerai le ore successive ma vieni subito interrotto da un boato in lontananza. Fischi e grida che si fanno sempre più vicini. Un secondo boato. E tutto il carcere in un attimo si risveglia. Si prova ad accompagnare i cori, spesso con scarsi risultati, e allora se ne inventano di nuovi o si urla e basta, si colpiscono le sbarre con tutto ciò che si trova a portata di mano perché ogni occasione è buona nella speranza remota che vengano giù. I volti di chi si trova da questa parte delle sbarre non nascondono lo stupore data la marea di gente che sembra essersi riversata nel pratone di fronte al carcere. Qualcuno si lancia in stime approssimative: “Oh, ma quanti sono? Cinquecento?!”.
Parte anche qualche fischio quando i celerini, fino a quel momento nascosti dal muro di cinta, si avvicinano ai manifestanti. La sezione femminile, troppo distante per riuscire ad ascoltare gli interventi al megafono o i cori, viene comunque raggiunta dalla risposta dei blocchi del maschile, ma soprattutto dai petardi, ai quali immancabilmente seguono continue ovazioni.
Lo spettacolo pirotecnico finale sancisce come di consueto il termine del saluto.
Ma i commenti a quanto accaduto poco prima perdurano ancora quando nuove grida, questa volta partite dall’interno delle Vallette, danno inizio alla seconda parte della serata: “al fuoco, al fuoco!”. Per molti non è ancora chiaro cosa stia succedendo ma nuovamente la risposta non può che essere un’immane battitura che coinvolge presto tutti. I secondini sfrecciano da una parte all’altra delle sezioni mentre le fiamme lambiscono il secondo piano della struttura in un clima di incredulità, panico e risate. Tre esplosioni in rapida successione illuminano a giorno i passeggi e qualcuno non può non iniziare a sperare: “tutti liberanti!”.
All’orizzonte iniziano ad affacciarsi i lampeggianti. Luci blu. Come buona prassi prevede, sono sempre gli sbirri a fiondarsi per la qualunque e soprattutto i primi ad arrivare. E senza gli idranti (veneziani?), che avevano percorso nei giorni scorsi le vie di Aurora e di tutta Torino a tenere a distanza chiunque volesse avvicinarsi all’Asilo di via Alessandria sprovvisto di uniformi e distintivi di sorta. E chissà che qualcuno dei vigili “finalmente” sopraggiunto non si fosse proprio attardato in Aurora dopo aver sfondato portoni e barricate, gonfiato inutili materassini, accecato per tutta la notte chi continuava a resistere sui tetti.
Le fiamme vengono domate, il fumo entra dagli infissi e dalle finestre di plexiglass attaccate con lo sputo. Chi lamenta problemi respiratori viene ignorato o minacciato. Le celle rimarranno chiuse per tutto il tempo. ma si fosse trattato di una situazione di reale pericolo probabilmente qualche secondino avrebbe semplicemente lasciato scivolare le chiavi lungo il corridoio della sezione prima di darsela a gambe, come già successo in altre occasioni.
Arrivano anche le ruspe – senza Salvini – a raccogliere i resti di quel che è bruciato… solo macerie!
(Anche se per il momento siamo ancora qui).
Nel corso della mattinata successiva si parlerà di bengala, di corticircuito e di molotov, di rifiuti accatastati alla buona, di bombole del gas in condizioni di insicurezza e di laboratori di pasticceria. Ma siamo già a lunedì e qui dentro oggi non c’è più niente di speciale.
Fuori come sempre ci siete voi.
Grazie.
Tutti liberi, tutte libere.
Larry
Lorenzo, come Nicco, Beppe e Antonio non si trovano più al carcere delle Vallette, sono stati trasferiti nella sezione di Alta Sorveglianza del carcere di Ferrara.
Per scrivere loro: Lorenzo Salvato, Niccolò Blasi, Giuseppe De Salvatore, Antonio Rizzo, C.C. via Arginone 327 , 44122 Ferrara.
Per scrivere alle compagne rimaste nel carcere torinese, Silvia Ruggeri, Giada Volpacchio, indirizzate le missive a C.C. Lo Russo e Cutugno, via M.A. Aglietta 35, 10151 Torino.
Per i compagni trentini arrestati qualche giorno fa: Bottamedi Roberto, casa circondariale di Brescia Canton Mombello, via Spalto San Marco 20, 25121 Brescia; Trentin Agnese casa circondariale di Brescia Verziano, via Flero 157, 25125 Brescia; Nicola Briganti, casa circondariale di Verona Montorio, via San Michele 15, 37131 Verona; Andrea Parolaro, casa circondariale via Basilio della scuola 150, 36100 Vicenza; Giulio Berdusco, casa circondariale via Paluzza 77, 33028 Tolmezzo (UD); Luca Dolce, casa circondariale via Paluzza 77, 33028 Tolmezzo (UD).
Da Torino a Trento, sangue del nostro sangue, nostri compagni, nostre battaglie.