Ott 282020
 

Riceviamo e pubblichiamo

E’ il tempo che è trascorso dal mio arrivo a Piacenza, tempo pieno di
vuoto, tempo speso ad addomesticare tutti i propri sensi, nella
sperimentazione di un’autodisciplina che permetta di trasformare
alchemicamente lo spreco di una vita in esperienza formativa. Non ho mai
cercato il conflitto, nonostante la quotidianità, qui, sia la
riproposizione costante di occasioni di scontro; ove abbia opposto le
mie ragioni a questo sistema di neutralizzazione dell’individuo, ho
cercato di farlo con “educazione”, nel forzato rispetto dei ruoli,
tentando di fare mie, o se non altro mie armi, quelle stesse illogiche
dinamiche che i carcerieri issano a propria bandiera: regole, diritti,
doveri, protocolli. E non lo dico certo per farmene un vanto,
tutt’altro: ma l’esperienza umana, in galera, è talmente distante da un
qualsivoglia buon senso, senso comune, o semplicemente senso qualsiasi,
che bisogna giocare la partita anche sapendo bene che è truccata. E ciò
nonostante è stato inevitabile, con il solo riaffermare e preservare la
mia dignità, il crearsi di un rapporto di manifesta inimicizia con
alcuni graduati e dirigenti di questa prigione, senza stupore e senza
sforzo, per gli stessi ruoli assegnatici dalla natura e i posti a sedere
assegnatici dalla vita e dalle scelte personali. E dunque la solerzia di
alcune guardie particolarmente comprese nel proprio ruolo, calorosamente
spalleggiate dalla comandante dell’istituto, ha fatto sì che i contenuti
della mia corrispondenza privata, anche scaduto il primo provvedimento
di censura nel dicembre 2019, privati non fossero mai, in barba a ciò
che dice il codice penale. Particolare dispetto suscitavano immagini
iconiche e A cerchiate, a riprova della profondità d’analisi che
caratterizza il loro operato sempre, per non parlare delle esplicite
manifestazioni di solidarietà. Ben fragili e miseri devono essere
“l’ordine e la sicurezza dell’istituto” (questa la motivazione in calce
ai trattenimenti) se una cartolina o la foto di una scritta su un muro
li possono mettere in pericolo. E’ stato dunque su sollecito del carcere
di Piacenza, se non dietro sua esplicita richiesta (questo non lo posso
sapere) che il 16/09/2020 mi viene notificato un secondo provvedimento
di censura della durata di sei mesi firmato dal GIP. Ho scelto di
ricorrervi tramite avvocato, ed ancora una volta fare buon viso a
cattivo gioco, e attendere pazientemente che fissino una data per il
ricorso, e tutta la trafila. Nel frattempo però, ai miei carcerieri
sembra passata la voglia di fare il loro lavoro, e così l’ufficio
comando, che si occupa della mia posta, se si fa vedere lo fa una volta
a settimana, o anche più raramente. La posta in uscita non esce, quella
in entrata si accumula sulle loro scrivanie. Perfettamente in linea con
lo spirito da statali pressapochisti con cui dirigono l’intero carcere,
e ad ulteriore conferma (se mai ce ne fosse bisogno) del carattere
punitivo e ritorsivo del provvedimento, visto che quello che
scrivo/ricevo in fondo non interessa neanche. Ben altro ci vuole per
fiaccare il mio morale, ma è particolarmente irritante il fatto che nel
non-luogo teoricamente deputato ad insegnarci a viva forza il rispetto
della legge, i loro codici valgano quanto la carta straccia, ed è a mio
avviso sbagliato tacere l’arbitrarietà ignorante con cui fanno il loro
brutto mestiere.

Per questo motivo, e visto che le circostanze non lasciano intravedere
un cambiamento di rotta, ho deciso che inizierò uno sciopero della fame
a partire da sabato 24 ottobre e per il tempo che mi sembrerà opportuno.
E’ una battaglia personale, che forse lascerà il tempo che trova, che
forse denoterà una mancanza di fantasia da parte mia, ma che mi sembra
doverosa. Chi ha voglia, nel frattempo, di continuare a intasare
l’ufficio comando di comunicazioni più o meno futili, basta che mi
scriva, è il benvenuto, che non si dica che non si guadagnano il loro
stipendio zuppo di sangue.

Mi mancate tutti.

Salud y anarquìa,

Nat