Gladio stragi riforme istituzionali
Atti dell’assemblea tenutasi giovedì 23 maggio 1991
al Centro sociale occupato via Battaglie 61, in Brescia
A cura del centro di iniziativa Luca Rossi – Milano
Interventi di;
Centro sociale occupato, via Battaglie 61 - Brescia
Primo Moroni
Manlio Milani
Centro di iniziativa Luca Rossi - Milano
Cesare Bermani
Sandro Scarso
Michele Gambino
Intervento
di Primo Moroni
La questione dei corpi separati dei servizi segreti, di cui “Gladio” è un aspetto, ha attraversato la storia di questo Paese dal ’45 ad oggi, e non è ancora terminata. Anzi, esiste tuttora, per cui occorrerebbe un discorso molto lungo. Però si possono porre alcune questioni di fondo, che sono in parte basate su elementi documentali e su alcuni modelli di interpretazione di quel che è successo in questo Paese, con alcune forzature interpretative politiche, come avviene a chi fa controinformazione o ricerca di parte.
Ritengo che, comunque, fare storia scandagliando in profondità o, a volte anche, per necessità di difesa della democrazia, o per identità politica dei movimenti di opposizione, significhi anche investire in intuizioni politiche.
Quindi, farò una sintesi, possibilmente non troppo lunga, del lavoro svolto insieme ai compagni di Padova, con Sandro Scarso ed altri, sulla vicenda di “Gladio”, facendo una riflessione sugli anni ’50, sugli anni ’60 e sugli anni ’70, con tutto il contorno tragico di stragi, di manovre oscure nei confronti dello Stato democratico o di provocazioni nei confronti dei movimenti sociali o, complessivamente, della classe operaia.
Siamo partiti da una considerazione: che l’emergere della questione di Gladio, voluta principalmente per necessità, probabilmente, da Andreotti a partire dall’89, e poi lentamente ripresa a più voci dalla commissione parlamentare sulle stragi, fatta propria con orgoglio dal nostro presidente della Repubblica Francesco Cossiga – che si ritiene orgoglioso di avere, nel 1967, riorganizzato la rete “Gladio” mentre era sottosegretario al ministero della Difesa, per proseguire poi nella difesa dell’identità patriottica degli appartenenti alla P2 o, complessivamente, di tutti i gladiatori clandestini –, sia una specie di terminale della storia di questo Paese negli ultimi trent’anni.
Quindi, la nostra riflessione, molto in sintesi, è questa: vi è stato un equivoco, dovuto a necessità politiche nel dopoguerra, portato avanti principalmente dalle forze di sinistra istituzionale – cioè dal Partito comunista, all’epoca alleato con il Partito socialista – nell’interpretare le vicende della Resistenza come un fatto totalmente unitario, senza contraddizioni interne. Vi è stata, cioè, una visione un po’ oleografica della Resistenza, senza con questo nulla voler togliere a questa vittoriosa guerra di liberazione condotta contro il fascismo. È certo che all’interno della Resistenza vi erano componenti diverse, in contraddizione tra loro, che nel dopoguerra si sarebbero ulteriormente divise nei percorsi di adesione o meno all’élite dominante o di opposizione ad essa.
Questo fatto ha inciso pesantemente fino alla fine degli anni ’50, fin quando non è sorta una generazione di storici – che possiamo definire “militanti” – che hanno rivisitato la lotta resistenziale dei partigiani, magari restituendole ancora maggiore identità, con un più rigoroso impianto interpretativo storico. Stasera c’è qui Cesare Bermani, che è uno di quegli storici, autore di libri importanti, in cui viene fatta una lettura più concreta, più corrispondente ai fatti reali della Resistenza. Ricordo alcuni titoli: La battaglia di Novara; Pagine di guerriglia. Garibaldini in Valsesia; L’oro di Pestarena, e molti altri suoi scritti che vennero pubblicati negli anni ’70 e che una tendenza generale dell’editoria italiana degli ultimi anni ha fatto sparire dal commercio, nel contesto di una eliminazione sistematica della storia diversa, dell’“altra storia”, facente parte di un programma generale di distruzione dell’identità dei movimenti. Questo fatto non è irrilevante perché ha permesso una serie di equivoci.
Abbiamo ripercorso, con un breve flash di riflessione, la vicenda della ristrutturazione dello Stato italiano del dopoguerra, accettando tesi di storici anche ufficiali, i quali hanno sempre sostenuto che vi è stata una sostanziale continuità nei livelli medio-alti delle burocrazie statali tra lo Stato fascista e lo Stato post-resistenziale. L’epurazione non c’è stata, non c’è stato un cambiamento dei quadri alti dello Stato ma, invece, in molti casi, una continuità effettiva in leve di comando. C’è stata, in compenso, una epurazione violenta delle forze provenienti dalla Resistenza che, nell’immediato dopoguerra, erano entrate negli organi di polizia, nelle prefetture o in altre strutture dell’apparato repressivo dello Stato. La questione della continuità è particolarmente rilevante. Sembra di leggere una specie di intelligenza – che possiamo definire democristiana, in questo caso – nel suddividere, nel controllare gli apparati repressivi: polizia e carabinieri.
Attori rilevanti di questa ristrutturazione nella continuità con elementi fedeli al precedente regime fascista sono principalmente i due capi della polizia che si susseguono dal 1951 fino a tutto il 1973: il primo si chiamava Carcaterra, il secondo Vicari. Carcaterra proveniva addirittura dalla segreteria personale di Mussolini nella Repubblica di Salò; Vicari era più o meno da quelle parti. Ciò vuol dire che, soprattutto sotto la direzione di Scelba, ministro degli Interni al tempo del dominio democristiano degli anni ’50, le forze di polizia furono riorganizzate secondo un modello di fedeltà e di recupero della precedente struttura legata al regime fascista. Questo non solo nei livelli alti – abbiamo citato i due capi della polizia dal ’51 al ’73 – ma anche ai livelli bassi, con l’eliminazione di quegli elementi provenienti dalla Resistenza. Riporto qui un’intervista rilasciata da Scelba nel 1985 e messa in evidenza da Cesare Bermani nel libro realizzato dal Centro d’iniziativa Luca Rossi di Milano: «Allontanai, con buonuscite o con trasferimenti nelle isole, per tutto il 1947, gli 8.000 comunisti infiltratisi nella polizia e assunsi 18.000 agenti fidatissimi. […] Si diceva che i comunisti avessero un piano insurrezionale, il famoso piano “K”, che sarebbe scattato nell’autunno del ’47 dopo la partenza degli anglo-americani. Io, che a quel piano non ho mai creduto, mi comportai come se effettivamente ci fosse, perciò adottai le mie contromisure, sulle quali ritengo di dover ancora mantenere il riserbo» – l’intervista è dell’85: l’onorevole Scelba è molto riservato! – «[…] Posso aggiungere che non mi limitai a reclutare forze di polizia affidabili, ma creai una serie di poteri per l’emergenza, una rete parallela a quella ufficiale, ma ad essa superiore, che avrebbe assunto automaticamente ogni potere in caso di insurrezione, lasciando che questa si dirigesse contro i poteri formali».
Questa rete si poteva dirigere, quindi, contro i poteri formali dello Stato, ed era organizzata dal ministro degli Interni dello Stato formale, istituzionale. Pare che anche Scelba, come del resto Cossiga, sia molto orgoglioso di avere fatto questo tipo di scelta negli anni ’50. Quindi, la giovane democrazia italiana parte subito con il piede sbagliato, se ha un ministro degli Interni che crea subito una rete clandestina, oltre a epurare 8.000 agenti di polizia comunisti, da lui considerati infiltrati benché il Partito comunista fosse un partito costituzionale. Quindi, dai livelli più bassi delle forze di polizia ai livelli dirigenziali più alti, vi è una scelta di gestione a carattere repressivo, reclutando gli agenti nelle vecchie file della disciolta polizia fascista e nominando capi della polizia Carcaterra e Vicari per vent’anni.
Da questo primo schema di riorganizzazione rimangono apparentemente tagliati fuori negli anni ’50 i carabinieri, perché vi sono sospetti nei loro confronti di essere filo-monarchici o quant’altro. Nell’immediato dopoguerra, i primi due generali a capo dell’Arma dei carabinieri sono due personaggi compromessi pesantemente col passato regime fascista. Ma negli anni ’50, apparentemente, i carabinieri vengono ridimensionati. In realtà, hanno una riserva strategica della propria identità che si sarebbe rivelata importante negli anni successivi, perché all’Arma dei carabinieri viene assegnato il compito di organizzazione, controllo e appoggio dei servizi segreti, a quel tempo Sifar. Il servizio segreto italiano ha cambiato più volte nome, perché più volte è stato riformato a causa delle frequenti “deviazioni”, quindi si è chiamato Sifar, poi Sid, infine Sismi. Ogni volta si eliminavano un po’ di persone perché erano “devianti” o deviavano dalla legge – ma, evidentemente, erano autorizzati a farlo – e si cambiava nome al servizio però, sostanzialmente, gli uomini rimanevano, per la gran parte, gli stessi.
Nella riorganizzazione del Sifar, negli anni ’50, vi è una prima fase un po’ oscura, che però la relazione Gualtieri, pubblicata da “Avvenimenti”, ci dice oggi non essere poi così oscura, nel senso che i servizi segreti americani avevano mantenuto e reso operativa, in collaborazione con alti gradi dell’esercito italiano e con l’Arma dei carabinieri, la divisione “Osoppo”, clandestinizzandola. La “Osoppo” era una divisione di militari posta ai confini italiani del Nord-Est, cioè in Friuli, che avrebbe poi preso il nome di “Stella alpina”. Quest’ultima è una struttura segreta, clandestina ma conosciuta sia dai servizi segreti sia dall’Arma dei carabinieri, che operava in funzione anticomunista.
Nel 1956 viene nominato a capo del Sifar il generale de Lorenzo, che diventerà famoso perché legato al tentativo del colpo di Stato del ’64. Il generale de Lorenzo è un militare che proviene dalla Resistenza. Aveva partecipato alla campagna di Russia ma, rientrando in Italia, si era schierato con le formazioni partigiane in Romagna e quindi, in quell’equivoco interpretativo storico-politico di cui parlavo prima, godeva di fiducia da parte del Pci. In realtà, il generale de Lorenzo era legato fortemente ad ambienti americani ed era rigorosamente anticomunista.
Avvengono due fatti contemporaneamente: Giovanni Gronchi viene nominato presidente della Repubblica, e de Lorenzo capo del Sifar. Gronchi non era molto ben visto dagli Americani, che lo consideravano un democristiano di sinistra, con qualche simpatia per la sinistra, essendo stato eletto nel collegio di Massa Carrara, ove avevano agito formazioni partigiane democristiane. Gli Americani, perciò, danno incarico al generale de Lorenzo di controllarlo strettamente e, quello che è più im portante, gli fanno firmare un accordo che sostanzialmente inventa “Gladio”.
Perché dico che gli Americani gli fanno firmare questo accordo, e lo dico con tanta sicurezza? Perché in Italia, nel casino della fine degli anni ’70, venne pubblicato un libro che non è stato più ristampato ed è dai più dimenticato: si intitola Il Malaffare. Dall’America di Kennedy all’Italia, a Cuba, al Vietnam. L’autore è Roberto Faenza. Ma, in realtà, egli ha scritto molto poco in questo libro, che è per lo più composto da documenti ufficiali americani. Io assegno a Il Malaffare un’importanza notevole, nonostante che esso sia poco conosciuto, da un lato perché venne edito nel ’78, a cavallo del caso Moro, ragion per cui non gli fu prestata molta attenzione, e dall’altro perché ne fu ostacolata la pubblicazione.
C’è un piccolo episodio al riguardo: il libro era da tempo depositato presso la Mondadori e non veniva pubblicato. Carlo Rossella, che, al tempo, era capo-redattore di “Panorama”, pubblicò sulle pagine del settimanale un capitolo de Il Malaffare, costringendo così la casa editrice a farlo uscire. Venne pubblicato in una collana ultra-minore, la “Arcobaleno”, pressoché sconosciuta, in poche copie, sparì dal commercio nel giro di due mesi e, poi, non se ne seppe più nulla. Perché è importante questo libro?
Con un colpo di intelligenza Roberto Faenza, che apparteneva al circuito della controinformazione, intuì che dietro al caso Watergate potessero esserci materiali riguardanti la questione italiana. Il caso Watergate determinò l’impeachment del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon per un problema di spionaggio ai danni del Partito democratico nelle elezioni presidenziali; contemporaneamente venne riformata la Cia, cioè, ne venne defenestrato il capo storico, William Colby.
William Colby era stato capo stazione Cia in Italia per tutti gli anni ’50, al tempo in cui nascevano queste formazioni clandestine ad uso interno o esterno, sulle quali mi soffermerò rapidamente dopo. Secondo una prassi imperiale vigente negli Usa, ogni volta che viene fatto questo tipo di operazione di riforma dei servizi segreti ne vengono resi pubblici gli archivi o, perlomeno, una parte di essi. Questo, perché si ritiene, secondo una concezione politica dei confini tipicamente statunitense, che tutto ciò che avviene nei Paesi alleati riguardi la sicurezza nazionale degli Usa e quindi, per assioma, la sicurezza della democrazia “tout court”, con il conseguente diritto di compiere operazioni più o meno “coperte” in ogni nazione.
Quando gli archivi di Fort Langley vennero resi pubblici, Faenza non fece altro che andare a consultarli e riportare nel suo libro i documenti delle azioni della Cia nei vari Paesi del mondo. Per fare solo un esempio, pubblicò lo scambio epistolare tra il capo stazione e la direzione centrale Cia relativo all’assassinio dell’ex capo del governo congolese Patrice Lumumba, ordito nel 1961.
Ci sono poi due capitoli interi dedicati all’Italia, di particolare interesse. Faenza scopre che per l’Italia esisteva, fin dal 1951, il piano “Stay Behind” o “Demagnetize”, successivamente riveduto e nuovamente sottoscritto nel ’56, e riporta un pezzo della documentazione riguardante in particolare la Francia e l’Italia. Perché la Francia e l’Italia? Perché erano le due nazioni europee in cui vi erano i due più forti partiti comunisti dell’Occidente.
Il documento in questione è del “Joint Chief of Staff”, ovvero del Coordinamento degli Stati Maggiori americani, e dice sostanzialmente: «Il piano “Demagnetize”, dentro il piano più complessivo “Stay Behind”, ha l’obiettivo ultimo di ridurre le forze dei partiti comunisti, le loro risorse materiali, la loro influenza sul governo italiano e francese, in particolare nei sindacati, di modo da ridurre al massimo il pericolo che il comunismo possa tra piantarsi in Italia e in Francia, danneggiando gli interessi degli Usa nei due Paesi. La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario, esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo. Del piano “Demagnetize” il governo italiano e francese non devono essere a conoscenza essendo evidente che esso può interferire con la loro rispettiva sovranità nazionale».
Il Sifar di de Lorenzo firma con la Cia questo accordo – formalmente nessuno del governo ne viene informato – che prevede una serie di operazioni clandestine sul territorio nazionale rivolte ad impedire l’avanzata comunista nel Paese. Questo documento è indiscutibilmente verificato ed è tuttora a disposizione di qualsiasi cittadino che lo voglia consultare alla biblioteca del Congresso di Washington.
I documenti sono evidentemente molti, quello del ’56 – che tutti, da Andreotti alla Commissione stragi, citano in continuazione – ha delle caratteristiche inquietanti perché non parla in particolare di “Gladio”. È semplicemente un accordo generale che prevede una serie di operazioni, non solo la riattivazione e l’assunzione dentro la rete “Gladio” di tutte le precedenti formazioni. Nel libro La notte dei gladiatori. Omissioni e silenzi della repubblica pubblichiamo un documento ufficiale datato 1 giugno 1959, intestato: Stato maggiore della difesa – Servizio informazioni delle Forze Armate – Ufficio “R” – Sezione “Sad”, il cui titolo è Le “forze speciali” del Sifar e l’operazione “Gladio”. Questo documento, che è depositato anche alla Commissione stragi, è quello in cui viene istituita e formalizzata la rete “Gladio” che va ad inglobare – come giustamente riporta “Avvenimenti” – la formazione “Stella alpina”, la formazione “Stella marina” e decide di organizzare altre formazioni che si chiamano “Rododendro”, “Primula” o quant’altro. In esso si parla di 3.000 uomini organizzati e in larga parte specializzati in trasmissioni, sabotaggio, esplosivi e armi sofisticate; non si parla quindi di 620 fessi cittadini, patrioti che se ne starebbero a casa loro ad aspettare un ordine. Si parla di elementi specializzati con una serie di depositi di armi sparsi per l’Italia che, si scoprirà poi, sono i Nasco. Ma non si tratta solo di questo.
Il colonnello Vernon Walters, che tra il ’57 e il ’60 è il responsabile Cia, dà incarico al generale de Lorenzo di attivare tutti i contatti con i gruppi eversivi che da tempo erano schedati dall’Ambasciata americana a Roma. Questi gruppi eversivi, chiamati come tali, erano stanziati a Genova, Savona, Torino e Milano e comprende vano i redi vivi della X Mas del principe Valerio Borghese, Luigi Cavallo, fondatore del movimento “Pace e libertà” negli anni ’50, provocatore al soldo della Fiat, che ha attraversato la storia d’Italia dagli anni ’50 agli anni ’70 e che troviamo costantemente coinvolto in tutte le trame segrete ed eversive.
Da questo documento risulta che Luigi Cavallo è stipendiato dal Sifar e dalla Cia fin dall’inizio degli anni ’50, diventa organico in questo nuovo piano di intervento a partire dal ’56 divenendo operativo a partire dal ’59. Altrettanto vale per la formazione di Junio Valerio Borghese e per altri non meglio precisati soggetti, pari, sembra, a 2.000 persone i cui nomi ritroviamo nell’archivio della Cia e dell’ambasciata americana in Italia, tutti arruolati e stipendiati in massa per organizzare milizie irregolari e nuclei d’azione. I fondi per finanziare queste operazioni vengono versati dalla Cia tramite la Divisione Rei (Divisione Relazioni industriali) del Sifar comandata dal colonnello Rocca, che verrà pochi anni dopo misteriosamente “suicidato” nel suo ufficio.
Tra gli anni ’50 e ’60, quindi poco prima del centrosinistra, si ha un quadro di questo genere: innanzitutto esiste un accordo segreto tra il Sifar e la Cia che prevede la riattivazione l’inglobamento delle precedenti reti clandestine “Stella alpina”, “Osoppo”, o quant’altro, dentro la rete “Demagnetize”. Di questa rete fa parte “Gladio”, che è una ma non l’unica struttura della rete.
In secondo luogo, il colonnello Rocca, tramite la Divisione Rei del Sifar, ha il compito di reclutare e di riattivare ben 2.000 soggetti già schedati, già confidenti e già elementi di fiducia della Cia, tra cui Borghese e Luigi Cavallo. Si badi che il colonnello Borghese tenterà un colpo di Stato in Italia all’inizio degli anni ’70 e Luigi Cavallo sarà coinvolto, successivamente, nel tentativo del colpo di Stato della “Rosa dei venti”.
Tutto questo avviene alla fine degli anni ’50 in conseguenza di una riflessione politica che gli Americani fanno sull’evoluzione della struttura produttiva ed economica italiana. In questa fase si passa sostanzialmente dalla Ricostruzione, che ha significato bassi salari e ritmi elevatissimi di lavoro e in cui il piano Marshall dirigeva il processo industriale italiano, a una situazione espansiva, di riorganizzazione dell’industria che comporta una modifica del sistema produttivo, con una estensione massiva del sistema taylorista in tutte le fabbriche del Nord Italia. Questo faceva prevedere l’arrivo al Nord di un esercito industriale di riserva di milioni di persone provenienti dal Sud del Paese e, conseguentemente, una avanzata elettorale del Partito comunista e un rafforzamento del sindacato. Infatti, nelle elezioni del 1963 il Pci guadagnerà un milione di voti. Si presenta quindi una situazione in cui è necessaria un’azione preventiva per ostacolare questa possibile evoluzione della situazione politica italiana, basata su un’analisi abbastanza concreta.
A fronte di questo, c’era il problema che la Democrazia cristiana tendeva a perdere voti e quindi la sua centralità e la sua egemonia, di conseguenza tentava di allargare le sue alleanze di governo inglobando i socialisti nel mitico centrosinistra. Quindi tutta questa operazione era stata fatta per ostacolare la realizzazione del centrosinistra in Italia. De Lorenzo fa una carriera straordinaria appoggiato dalla Cia, coperto dai democristiani, accettato dai comunisti, diventa non solo padrone del Sifar, ma comandante dell’Arma dei carabinieri, e diventerà più tardi capo di Stato Maggiore dell’esercito. Organizza il piano “Solo” che puntava al colpo di Stato, golpe che in realtà non verrà fatto perché il centrosinistra viene ridimensionato tramite la sola minaccia di questa possibilità.
Da quel momento in avanti sia i servizi segreti sia l’Arma dei carabinieri vengono investiti da una battaglia interna di egemonia e di potere tra generali e colonnelli lealisti, da una parte, e generali e colonnelli golpisti dall’altra. Al tempo stesso vengono attraversati da una rete clandestina “Gladio” – di cui oggi ci viene rivelata solo una copertura – e da una serie di altre strutture che rientrano nel piano “Demagnetize”, ancora operante, e che vedono la presenza di reduci del regime fascista e provocatori professionali come Cavallo.
A questo va aggiunto come ultimo dato che il colonnello [William King “Bil”] Harvey incarica il generale de Lorenzo, in previsione di una svolta golpista negli anni ’60 di schedare 100.000 tra uomini politici di sinistra giornalisti, prelati e personalità della cultura. Questi fascicoli sono in copia a Fort Langley, negli Usa, e una parte di essi, circa 16.000, verrà trovata nella villa di Licio Gelli, capo della P2.
A partire da questi episodi si pongono in Italia le radici per la strategia della tensione che proseguirà per tutti gli anni ’60 e ’70. Non cambierà più nulla in questo tipo di pratica: verrà fatto fuori de Lorenzo e al suo posto andrà il colonnello Henke, e al posto del colonnello Henke andrà il generale Miceli, tutti coinvolti costantemente nella strategia della tensione.
Nel 1972 si avrà una svolta fondamentale. Tre cose avvengono in quell’anno: la strage di Peteano, viene smantellata – a quanto ci dicono – la rete dei Nasco e, infine, viene sciolto il III Corpo d’Armata di Padova. Questi tre episodi sono legati insieme.
La relazione Gualtieri dice testualmente: «L’interrogativo di fondo è questo: che la rete dei Nasco fu smantellata perché ci si era accorti della “pericolosità” potenziale della struttura messa in piedi e quindi del rischio che qualcuno potesse utilizzare i depositi per un uso improprio? Oppure fu decisa perché un incidente di questo tipo era realmente accaduto?». Con quest’ultima domanda si fa riferimento alla strage di piazza Fontana, anche se la Commissione non la nomina esplicitamente.
A questa delegittimazione del ’72 queste reti clandestine – “Gladio”, Cavallo, Borghese, “Demagnetize” – rispondono con la strage di Peteano, che è diretta contro i carabinieri che hanno scoperto il cosiddetto deposito di Aurisina. C’è quindi una tendenza ad autonomizzarsi da parte di queste reti perché non sono più coperte interamente dal potere politico; tant’è che sarà Andreotti a mandare in galera Vito Miceli per la “Rosa dei venti”.
Vi è una perdita dell’appoggio della Cia, dovuta al fatto che tutta la rete centrale americana, che copriva le reti clandestine in Italia, viene demolita a causa del caso Watergate. Ma non solo: cambia lo schema complessivo di intervento nel Paese Italia, che è diretto, d’ora in poi, dalla Trilateral Commission.
La Trilateral opta per operazioni politiche invece che per operazioni clandestine; ne consegue che le reti locali si autonomizzano e, in sintesi, si raccolgono tutte all’interno della Loggia P2.
Se letta correttamente, in questa prospettiva, la strage di Brescia è alla vigilia dell’avanzata comunista, è a cavallo dello scioglimento della “Rosa dei venti”, è una risposta organizzata.
La strage di Bologna, similarmente, è una risposta che viene data quando a queste reti giunge notizia che il parlamento vuole indagare sulla Loggia P2.
Non c’è più nemmeno – dicevo – la copertura americana, perché il modello della Trilateral è diverso da quello della Cia storica di William Colby, che viene fatto fuori nel ’74-75.
Addirittura la Trilateral, dopo lo scandalo Watergate, diventa praticamente padrona degli Stati Uniti poiché, con la caduta di Nixon, per la prima volta, gli americani si trovano ad avere un presidente, Gerald Ford, e un vicepresidente, Nelson Rockfeller, non eletti dal popolo. Rockefeller è il fondatore della Trilateral Commission.
Dopo le elezioni presidenziali del 1976, Carter, Brzezinski e Kissinger – tutti e tre membri della Trilateral – diventano i principali personaggi della politica americana in qualità, rispettivamente, di presidente, consigliere del presidente e segretario di Stato.
Quindi fino agli anni ’80 la Trilateral, che è un modello di intervento moderato di controllo dei Paesi alleati, sostituisce le precedenti reti. Ma ormai le reti italiane sono totalmente autonomizzate ed esercitano un ricatto profondo sui politici che precedentemente le avevano coperte.
In questo contesto, le stragi sono, molto verosimilmente, lo strumento di ricatto per evitare di essere incarcerati, smascherati o eliminati dalle strutture di potere ufficiali.
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