Da Biblio-net.com Musica Classica
Come compositore quando lavoro nel mio studio il mio obiettivo è quello di
creare composizioni dove il materiale sonoro sia organizzato in modo
preciso. Nello studio una composizione si chiude e tutto è ben bilanciato.
Ma in un secondo livello quando vado a eseguire una composizione mi accorgo
che il prodotto dello studio è solo una possibile versione di quell'opera.
Come performer live i miei comportamenti cambiano e cerco di trovare nuovi
lati (interpretativi) nelle mie composizioni. Sono anche interessato a
continuare il processo creativo nella situazione del concerto. Anche se la
musica è composta per supporti digitali immodificabili e si propone per
essere eseguita in modo lineare (dal punto di inizio alla fine) io faccio
talvolta qualcosa di inatteso durante la performance. Mi sento aperto verso
le nuove possibilità, e per quanto riguarda la struttura delle mie
composizioni sono interessato a realizzare interpretazioni delle mie opere
che siano creative anche attraverso delle variazioni. Ho iniziato a lavorare
con questa strategia nel 1990 quando ho fatto un concerto con un mio
collega. Suonavamo le mie composizioni acusmatiche e facevamo un leggero
lavoro di colorizzazione di queste composizioni. All'inizio il mio amico
usava un sintetizzatore e io avevo una collezione di suoni concreti e anche
dei frammenti delle mie composizioni. Io mi prendevo cura di come le
composizioni passassero attraverso il sistema di amplificazione e quando ci
sembrava opportuno aggiungevamo qui e là altri suoni. In seguito ho comprato
processori di suoni in tempo reale e ho cominciato a manipolare e riciclare
in tempo reale durante il concerto i suoni delle composizioni. Creavo alcuni
nuovi colori e nuovi strati che aggiungevo durante la performance, tutti i
materiali erano sempre presi dalla composizione stessa. Non voglio dire che
questo fosse del live-electronic , perché per me queste composizioni erano
ancora fondamentalmente composizioni acusmatiche ma in questo caso venivano
eseguite su un palco con alcuni elementi opzionali eseguiti dal vivo. Al
giorno d'oggi i processori e gli strumenti che abbiamo a disposizione mi
offrono le possibilità di cui ho bisogno come performer. Sono interessato a
prendere decisioni in tempo reale, a riordinare le particelle pre-composte
in una nuova maniera all'interno del contesto della composizione. Io posso
manipolare la mia composizione in modo molto leggero, quasi inavvertibile,
oppure posso decidere di fare dei gesti più drammatici. Posso campionare in
tempo reale la composizione e immediatamente suonare il materiale manipolato
con loop, frammentazioni, distorsioni, trasposizioni, letture al contrario.
Posso aggiungere degli echi in un punto e dei suoni concreti in un altro e
così via... Talvolta quando arrivo a creare qualcosa di molto interessante
nei processi in tempo reale posso decidere di fare una dissolvenza dalla
composizione originale e restare più a lungo nella nuova texture.
Che dire a proposito delle "regole" della composizione, dobbiamo seguirle
strettamente o piuttosto dovremmo fidarci delle nostre orecchie? Lasciatemi
citare un esempio storico. Una volta un mio amico mi ha raccontato una
storia a proposito di come Karlheinz Stockhausen interpretava la sua musica.
Gottfried Michael Koenig ha lavorato per molti anni nello studio elettronico
del West Deutsche Rundfunk come assistente di diversi compositori tra cui
Stockhausen. Koenig ha detto al mio amico che anche nelle sue composizioni
più rigorose del primo periodo (Studies, Gesang der Jünglinge e Kontakte)
Stockhausen non restava mai strettamente fedele al testo quando suonava
queste composizioni. Non seguiva le indicazioni segnate sulla partitura e
invece seguiva le sue orecchie e si prendeva una libertà creativa al momento
del concerto. Si lasciava sempre uno spazio per poter interpretare.
L'industria musicale ha creato dei nuovi strumenti per la performance live
dei Dj e degli artisti di techno e questi sono strumenti meravigliosi anche
per i musicisti acusmatici. Il fatto è che le composizioni elettroniche
stanno diventando sempre più plastiche in questi anni. La composizione può
ancora essere acusmatica ma le particelle non sono messe insieme in modo
tradizionale. Tutte queste particelle possono stare nel disco rigido del
computer e da lì possiamo prendere degli elementi in tempo reale e possiamo
fare tutte le manipolazioni e gli arrangiamenti necessari in tempo reale
durante la performance. Questo tipo di composizione è simile a un puzzle .
Il pezzo ha la sua identità precomposta e il performer conosce tutti i pezzi
del puzzle ma può prendere in tempo reale nel momento nel quale interpreta
il pezzo le decisioni definitive, E' ancora musica acusmatica, musica
composta ma la differenza sta nel fatto che questo tipo di composizione non
è un oggetto stabile è più simile ad un oggetto "liquido"
A partire dai primi anni 90 ho creato diverse composizioni elettroniche per
opere d'arte legate ai media (video sperimentali e installazione
multimediali in gallerie d'arte) prima di scrivere queste composizioni ho
studiato e analizzato il modo nel quale gli elementi visivi aggiungono un
elemento addizionale che può dare alla composizione musicale una dimensione
inaspettata. Sono molto interessato a queste possibilità. Ho iniziato a
collaborare con artisti legati al video e al mondo dei media e sono
soddisfatto di quello che accadeva al mio lavoro in ambito visuale. Ma per
scopi di puro ascolto , per utilizzarli durante i concerti , ho creato delle
versioni acusmatiche di queste composizioni originarimente concepite per
stare insieme ad altri media. Quando ascoltate queste composizioni in
concerto, senza altri stimoli il punto di partenza è nascosto e liberato da
legami e tracce con il visivo. Potete concentrarvi solo sul suono e
sull'evoluzione drammatica dell'opera, e la mente è più aperta per fare
delle interpretazioni . Nel 1995 ho composto Lux in tenebris, la
composizione fu eseguita per la prima volta in una galleria d'arte, senza
relazioni con altre opere che stavano nella stessa stanza. Ma alla fine la
scelta di fare delle connessioni dipende dall'ascoltatore. L'ascoltatore può
decidere di chiudere gli occhi e concentrarsi solo sull'ascolto della
musica, o scegliere di guardare l'opera visiva mentre ascolta il pezzo. Così
la stessa composizione può trovarsi in un ruolo molto diverso in una
galleria e in un concerto.
Ho suonato in molti posti diversi e abbastanza spesso anche in club di
techno. In questo contesto ho voluto usare le attrezzature che i club mi
possono offrire. Di solito suono dove sono montati i banchi dei Dj quindi
sul palco o alle spalle del pubblico. Talvolta uso nelle mie performance
qualche elemento extra-musicale: luci o fumo (con la macchina del fumo).
Quasi sempre lascio completa libertà ,alla persona che si occupa delle luci,
di interpretare e supportare la mia musica con questi elementi non-musicali.
Alle prove io suono le mie composizioni e durante questo tempo chi si occupa
delle luci può programmare gli apparechi che gestiscono l'automazione delle
luci, può programmare i ritmi, i colori e i cambi di luce che avverranno
durante la performance. Tutte le sale da concerto sono diverse. E' sempre
bello poter suonare in posti dove esiste un buon sistema per la diffusione
del suono ma purtroppo la qualità hi-fi non la si raggiunge sempre.
Abbastanza spesso musei e gallerei organizzano dei concerti di musica
elettronica e questa è in generale una buona cosa. Di solito però questi
sono luoghi pensati per le arti visive e in questo tipo di spazio il suono
può risultare molto difficile da gestire, alcune frequenze possono essere
sorprendentemente spiacevoli. Non è importante quanto sia buona la qualità
del sistema di diffusione se lo spazio non è adatto per fare un concerto.
L'acustica del luogo può diventare un problema serio ma la mia filosofia è
che è meglio suonare che non suonare. Cerco quindi di fare il possibile
anche se lo spazio non è soddisfacente dal punto di vista acustico. La
questione principale è come eliminare le frequenze negative. E' però sempre
utile ricordarsi i due diversi aspetti della composizione musicale: 1) il
livello astratto, il mondo ideale dell'opera (interno alla composizione) 2)
il livello concreto (la vita reale), la situazione di performance (il mondo
esterno alla composizione) Nel 2003 ho aiutato Phil Niblock in un suo
concerto. Prima della prova ero abbastanza nervoso perché lui è abbastanza
conosciuto per la sua esigenza nei confronti della qualità del suono. Ma è
stato bello vedere come fosse invece simpatico e rilassato e non ho
ascoltato reclami legati all'acustica della sala, o al sistema affittato di
amplificazione o in merito all'attrezzatura video che ha smesso di
funzionare durante le prove (e alla fine ho prestato io il mio
videoregistratore personale). Tre ore di concerto sono andate bene, il
pubblico era felice e anche l'artista...Se la musica è buona, sale
imperfette dal punto di vista acustico e piccoli altri difetti non la
possono distruggere.
Ho fatto alcuni concerti dove ho suonato musica a un volume estremamente
basso, In questi concerti il pubblico stava molto calmo e si concentrava
sull'ascolto più profondamente per riuscire a sentire i vari dettagli della
musica. Questo tipo di situazione può essere noioso per alcuni ma di solito
le relazioni alla fine del concerto erano positive.
In altri concerti ho
suonato musica a volume molto forte. Tutto dipende dal contesto, e da quello
che devo suonare. Come nella vita reale c'è spazio per suoni delicati ma
anche per suoni forti.
Ho incontrato Eric a Chicago mentre ero là a suonare. Ha fatto parte della mia
Orchestra, e mi ha dato più di una mano ospitandomi, prestandomi una batteria,
scarrozzandomi qua e là per suonare, presentandomi ad altri musicisti ed
audioartisti, portandomi alle feste e al bowling e mostrandomi lo strumento che
ha costruito da solo, la Springboard. Persona tanto seria sul lavoro quanto
divertente nel privato, ha accettato di rispondere a questa serie di domande che
cercavano di scavare nei suoi pensieri lasciandolo libero di improvvisare. Io
sono felice che l'abbia fatto, e vi propongo la traduzione di questa
chiacchierata.
J: Un'introduzione breve e allegra su te e la tua musica.
E: Sono un artista che costruisce e usa suoni che possono essere recepiti come
arte, musica o rumore tra le altre cose. Ho iniziato a farlo più di venti anni
fa, quando ero uno studente di arte visuale. Penso che la connessione tra la mia
attività odierna, relativamente al mio passato come artista visuale, sia basata
sul mio interesse nei suoni registrati come materiale per fare arte, per fare
arte viva invece di oggetti d'arte statici. Adesso lavoro un sacco sia come
improvvisatore che come compositore elettroacustico o acusmatico [acousmatic,
ndT], radio-artista e sound designer. Ho anche descritto me stesso come
inventore di strumenti, ma non ho molte invenzioni strumentali da mostrarti,
solo la Springboard il mio studio personale. Questi sono i miei strumenti.
J: Cos'è un compositore acusmatico??
E: Come la musica concreta, una composizione acusmatica esiste solamente in
forma registrata piuttosto che in notazione. Non ha bisogno di essere eseguita
dal vivo perché il compositore la completa in studio usando registrazioni di
suoni, e al giorno d'oggi anche tecnologie legate ai computer. Necessita solo di
essere suonata attraverso degli altoparlanti. Ho sentito per la prima volta
questo termine usato dai compositori elettroacustici canadesi.
J: Un'altra descrizione profonda e interessante della tua Springboard, se puoi.
E: Volevo creare suoni nuovi e inusuali che non fossero puramente elettronici o
concreti. Sono arrivato alle molle perché erano usate da tempo per creare
riverberi artificiali, ed erano sensibili alle vibrazioni. La Springboard inizia
semplicemente come un modo per amplificare con un microfono a contatto una molla
suonata con l'archetto. Ho comprato due grandi viti con occhielli e una molla in
una mesticheria. La tavola era semplicemente un pezzo di legno di scarto che
stava in giro nel mio studio. Il microfono a contatto è stato comprato in un
negozio di avanzi per pochi dollari, e amplifica la tavola a un livello
veramente alto. Questo mi ha portato ad attaccare altri oggetti. Ero affascinato
dai suoi suoni e ho continuato a lavorarci sopra, modificandola e esibendomi dal
vivo. Non avevo programmato di farci uno strumento, ma è come si è evoluta la
cosa.
J: Quanto pensi che i microfoni a contatto abbiano influenzato la produzione di
tutti questi nuovi strumenti costruiti con pezzi di scarto? I miei amici Cock
ESP attualmente suonano concerti usando soltanto un paio di microfoni a contatto
inseriti in 6 pedali di distorsione, cosa che gli permette di avere un'enorme
quantità di rumore, possono spostarsi e recitare, e (non ultimo) girare il mondo
con un'apparecchiatura molto piccola e leggera.
E: Bè, le deboli vibrazioni di molti oggetti solidi non sarebbero udibili senza
un microfono a contatto. Permette di avere così tanti più materiali e oggetti
disponibili per un'esplorazione sonora, siano essi scarti o no. Per me è
interessante perché questo fatto allarga la definizione di uno strumento. Quello
che fanno i tuoi amici Cock ESP mi fa pensare non solo a usare oggetti già
pronti disponibili e materiali specifici del luogo della performance, ma anche
ad amplificare il luogo della performance stesso: il palco, i pavimenti, le
finestre… Se pensi a una stanza come a un risuonatore acustico, come
un'improvvisazione libera, ogni concerto sarà unico e determinato da quel luogo.
E così la stanza può essere usata come uno strumento temporaneo. Dopo aver
suonato, talvolta le persone mi chiedono perché ho fatto questa "cosa". Per me è
una domanda strana, perché immagino, o voglio sperare, che i suoi suoni e il
modo in cui li uso rendano il motivo autoevidente. Ma suppongo che la domanda
meriti di essere risposta perché uso spazzatura e cose veramente banali e
insignificanti per produrre suoni che toccano la gente in modi inattesi. Se uno
non ha familiarità con la storia dell'arte dell'avanguardia e di quella non
occidentale, o con gli strumenti "popolari", gli sembrerà assurdo, forse persino
minaccioso. O forse le persone si domandano perché mi piacciano questi suoni, o
perché li suoni nel modo in cui lo faccio. So di persone sorprese come lo sono
stato io la prima volta: come può una cosa così comune e brutta creare suoni
così intriganti? Io spiego di solito che i percussionisti hanno usato oggetti
quotidiani per trarne suoni interessanti per un lungo periodo. Generalmente non
c'è tempo per mettersi a discutere sulle implicazioni filosofiche. Richiede
tecnica e pratica. Ho suonato la batteria molto tempo fa e sto suonando la
Springboard da 6 anni. Così ho imparato cosa mi permettono di fare gli oggetti o
i materiali che ho selezionato per la Springboard. Più un oggetto produce
potenziale più io ci lavorerò. E' un processo fisico, non diverso
dall'apprendere come raggiungere una "bella voce" o una certa tecnica con uno
strumento tradizionale, tranne che questi oggetti non sono progettati per la
musica. Imparare ad usarla è stato all'inizio un lungo processo di prove ed
errori. Questo significa che ho dovuto rapportarmici nei suoi propri termini:
imparare tecniche speciali; come controllare un archetto da violino e
successivamente da violoncello. Ho modificato delle spazzole per avere il giusto
suono percussivo, e ho imparato ad usare le mie dita per tamburellarci sopra. E
quando ho assimilato questi materiali e tecniche, ho aggiunto nuovi oggetti,
riposizionato altri, rotti alcuni e fatto a meno di altri. Quindi nei primi
tempi la Springboard è cambiata molto. Sto divagando troppo? Se non ti dispiace
continuo. Penso che quest'esperienza mi riconnetta al piacere fisico di
disegnare, cosa che ho interrotto molto tempo fa. Ho imparato una nuova parola
l'altro giorno, "haptic", che significa comprendere o comunicare col tatto
piuttosto che con la vista, o con qualche altro senso. Posso sentire la penna e
la sua pressione sulla carta attraverso la mia mano. E' la stessa cosa con uno
strumento acustico. Le azioni della tua mano o qualsiasi parte tu usi per
suonare, ti fa vibrare immediatamente e tu puoi sentire il materiale che
risponde. Non è soltanto nelle orecchie. Potresti dire che la mia esperienza con
la Springboard mi ha insegnato come tenere qualcosa nella mia mano e sentire il
suo carattere sonoro generale.
J: Che influenza ha uno strumento autocostruito sul tuo modo di suonare? E pensi
che qualcuno possa suonare uno strumento costruito da un'altra persona con la
stessa comprensione profonda? (Più o meno sto chiedendo: qual è la relazione tra
il costruttore e il musicista, se non è la stessa persona?)
E: La Springboard ha decisamente influenzato il mio modo di suonare. Non posso
suonarla come un tamburo. Se colpisco la Springboard con una bacchetta da
batteria lei produce un suono molto forte [loud, ndT] e non interessante.
Diversamente dagli strumenti elettronici che usavo prima della sua invenzione,
non ha tastiere, bottoni, display a cristalli liquidi, e recentemente, solo una
manopola invece di dozzine. In altre parole, sono stato sgravato dalle
costrizioni delle interfacce degli strumenti musicali standardizzati, che ne
hanno bisogno per essere programmati, complicati percorsi del segnale,
accordature eccetera. Non c'era un repertorio standard a influenzarmi. La
Springboard non ha storia e non era preziosa. Così non dovevo preoccuparmi se
facevo un suono sbagliato o danneggiavo lo strumento.
J: Questo per me è interessante. Ho visto nella tua collezione di dischi un
album di Hans Reichel, conosciuto nel mondo come l'inventore del daxophone, in
cui suonava un'operetta per solo daxophone. Ho molti altri suoi dischi, e quello
è stato strano da ascoltare perché ha cercato di riportare i suoni del suo
strumento indietro, verso la musica "vecchia". Io penso che un nuovo strumento
dovrebbe essere esplorato per la sua possibilità di creare nuove musiche. (Che
ne pensi?) (Stavo anche pensando alle prime performance col theremin, cercando
di raggiungere la perfetta intonazione per suonare melodie della musica classica
eccetera.)
E: Non penso che ci sia necessariamente qualcosa di sbagliato con le cose
vecchie, ma sono d'accordo con te. Ho costruito un nuovo strumento per esplorare
suoni che erano nuovi per me. E questi suoni mi hanno permesso di fare un tipo
di musica che non avevo mai fatto prima in termini della sua forma, struttura,
timbri, ritmi eccetera. Ma non sono nemmeno un purista, e quindi dell'operetta
di Hans Reichel apprezzo l'humour perverso, e sono sicuro che lui è
completamente conscio della sua ironia. Quando ascolti e guardi quei nastri di
Theremin e Clara Rockmore che suonano musica classica sul theremin è kitsch,
puro e semplice. La Springboard ha anche cambiato il mio modo di suonare per
l'ovvio motivo che questi suoni mi hanno messo di fronte a sfide musicali,
compositive ed estetiche. Alcune erano più facili di altre. Questi suoni ti
fanno essere più cosciente delle tue inclinazioni e gusti, e anche delle tue
abilità fisiche. Ho passato anni a lavorare con queste cose. Penso che questo
sia il motivo per cui non ho costruito un sacco di strumenti. Già solo questo ha
così tanto che ho ancora bisogno di controllare. Il che porta ad un punto
importante. Non ho costruito la Springboard con un suono predeterminato nella
mia mente, come una particolare scala o intonazione, o per migliorare dei
progetti preesistenti. Ho solo voluto scoprire come suonava una molla
amplificata. In effetti, non intendevo fare uno strumento. E' solo come si è
evoluto. Riguardo la seconda parte della tua domanda, se il costruttore è anche
il suonatore lui o lei avranno sempre una conoscenza più intima delle
possibilità sonore dello strumento. Il costruttore ha questo vantaggio
inizialmente, ma questo non significa che qualcun altro non possa imparare quali
sono queste possibilità, e persino sorpassare la conoscenza del costruttore.
Dipende tutto da quanto tempo uno vuole spendere suonando lo strumento.
Comunque, fare il tuo strumento dona un più profondo senso di soddisfazione che
suonare uno che è fatto da qualcun altro, specialmente uno prodotto in serie. E
quindi penso che è più vero che il costruttore è anche il miglior suonatore
dello strumento.
J: La mentalità e l'attitudine improvvisativa normalmente permette a persone
molto diverse di lavorare insieme. Pensi che questo "linguaggio" possa essere
considerato adesso troppo vecchio o esaurito?
E: Se lo pensi come un linguaggio e non come uno stile, l'improvvisazione non
può esaurirsi. E' elementare per le azioni umane. Attitudini e stili cambieranno
sempre, e cambiano per seguire i bisogni della gente. La gente invecchia, e le
loro idee diventano esauste, ma anche le idee e le persone si rinnovano. Il mio
amico Jack Wright dice che pensa l'improvvisazione come una relazione in suoni
tra persone e ambiente circostante. Io comprendo la parte dell'equazione data
dalle persone, e sono intrigato dalla parte dell'ambiente circostante. Potrei
aggiungere che l'improvvisazione è un modo di lavorare, un metodo. Per me è
sinonimo di processo creativo, sia esso applicato all'arte o ad ogni altra forma
di attività umana. Jack dice anche che siamo ben connessi nella maggior parte di
questo suonare, e che quando non lo siamo lo sappiamo. Questo per me è vero. Può
essere deludente quando non sono "in connessione", perché questa relazione
dipende dalla fiducia sia nei miei compagni di improvvisazione che in me. Quando
improvviso con persone con cui non ho mai suonato prima, in una performance
pubblica, sento di prendermi un grande rischio. E' un test per le tue abilità di
capire il temperamento o lo stile di un'altra persona in un attimo. Devo essere
un artista e un critico senza pensare. Devo rispondere ai miei errori o
interpretazioni sbagliate immediatamente, senza rammarico o riflessione, e
andare avanti. L'improvvisazione riguarda il fare senza tempo per pensare. Sto
ricevendo e trasmettendo istantaneamente. La mia azione è fisica mentre il mio
ascolto e interpretazione avvengono in un livello precognitivo. Potrei dire di
più, ma forse sto diventando pedante adesso.
J: C'è qualche tipo di suono che senti più adeguato per dialogare con la
Springboard? Voglio dire, voce, chitarra, batteria, synth… o dipende solo da chi
è l'altra persona?
E: Ho suonato con ogni tipo di strumentista, tranne con un pianista, e non penso
che ci sia un suono, acustico o elettronico, con cui la Springboard non possa
lavorare. La mia relazione con un musicista amico fa la differenza. Il mio
strumento può fare cose che gli strumenti tradizionali non possono fare e
viceversa. Ha le sue limitazioni e i suoi pregi unici. Quindi è sempre
importante che chiunque suoni con me ascolti profondamente e apertamente le
nostre affinità e differenze. Questo si può applicare non solo alle
caratteristiche fisiche dei suoni stessi, ma anche al modo in cui le stiamo
usando. Alcuni improvvisatori sono interessati ad una interazione musicale
modellata o addirittura mimante un dialogo verbale, altri non lo sono affatto.
Girolamo De Simone, classe 1964, compositore e musicologo, è considerato uno
degli esponenti di rilievo delle nuove avanguardie europee. Il suo percorso
artistico si associa a quello di Eugenio Fels, con il quale ha studiato
pianoforte, Riccardo Risaliti e lo scomparso Luciano Cilio, uno dei più
interessanti musicisti degli anni Settanta. Affiancando ai convenzionali
strumenti musicali l'uso di nuove tecnologie, dal computer alla elettroacustica,
elabora un nuovo e personale linguaggio di sperimentazione. All'attività di
interprete, con recital in Italia e all'estero, De Simone affianca quella di
compositore e teorico delle musiche di frontiera, pubblicando libri e saggi, e
fondando 1994, con un gruppo di critici e compositori di rilievo nazionale, la
rivista di musiche contemporanee "Konsequenz", che gode del patrocinio del
ministero dei Beni e le Attività culturali. Alla rivista si affianca "Konsequenz
project", per la produzione di dischi, concerti ed eventi multimediali. Porta la
sua firma la colonna sonora del film "Guerra" di Pippo Delbono, vincitore nel
2004 del David di Donatello.
Domanda. Qual è lo spazio per i nuovi linguaggi musicali a Napoli e in Campania?
Risposta. La nozione di "concerto pubblico" mi pare profondamente in crisi, e
molto critica anche qui a Napoli. Non a caso la progettazione di nuove strutture
per la musica - penso all' Auditorium della Musica di Roma, dove ho suonato a
dicembre, per Musica Experimento - o la sonorizzazione di luoghi non pensati per
la musica, ma che dalla musica possono prendere in prestito un significato
ulteriore, non convenzionale, sta avendo la meglio sulle programmazioni
tradizionali dei teatri d'opera, francamente datate. Sono molto di moda i
"concerti a tema", dove si propone un programma legato ad una singola
progettualità. O quelli che vengono proposti in luoghi inusuali, ad esempio
giardini.
D. Esiste, quindi, un nuovo modo di porsi nei confronti della musica
contemporanea?
R. Un'esperienza interessante viene dall'acusmatica, vale a dire tutta quella
musica di cui non si vede la fonte di provenienza: quella dei supermercati, dei
megastore, di certe aziende che la usano, come si faceva con le celebri mucche
di Baricco, per aumentare la produttività e il buon umore. Insomma una
musica-da-caffè: svolge la medesima funzione di depistamento, straniamento,
nuova direzionalità di senso. Moltissima produzione di frontiera è pensata per
finalità non concertistiche o in generale non convenzionali. Se penso, ad
esempio, alla musica di Ludovico Einaudi, che sta avendo molto successo, si
tratta di una musica "radiogenica", ideata apposta per "funzionare" quando viene
trasmessa in radio. Dal può invece risultare noiosa.
D. Le colonne sonore possono essere emblematiche di questo rapporto tra musica,
spazio e arti visive?
R. Molte colonne sonore utilizzano un codice scritto (e pubblicato) che è nato
al tempo del cinema muto, dall'esigenza di accompagnare la proiezione e
"suggerire", istigare, provocare reazioni nel pubblico: si possono pilotare
pianto, ilarità, malinconia. Personalmente ho seguito una strada differente,
arrivando a comporre una "musica per immagini'" sorta di metacategoria che
allude alle immagini interiori, dalle quali promanano poi quelle visive. Alcuni
di questi miei brani sono stati utilizzati per il film "Guerra" di Pippo
Delbono, che ha vinto il David di Donatello. Una ulteriore frontiera è
rappresentata dalla Net art, inventata da Pietro Grossi negli anni Ottanta che
la chiamò Home art per la sua attitudine "domestica". Oggi può usare modeste
basi Midi e realizzare una piccola opera d'arte visualizzabile solo attraverso
Internet, dalla effimera durata di un anno: quanto vale il pagamento di un
dominio ad hoc.
D. Dove si sperimenta, a Napoli e in Campania, il linguaggio nusicale?
R. Non esiste un luogo deputato alla ricerca tecnologica o di nuove forme
musicali. A Napoli l'Istituto universitaro Suor Orsola Benincasa mi ha affidato
il laboratorio sulla Sperimentazione musicale nella scuola, attuando gli
obiettivi della legge 124/1999. Se però alludiamo alla nozione di sperimentale
come ad un qualcosa di nuovo, di tecnologicamente o esteticamente agguerrito,
allora bisogna ammettere che nin Italia la situazione è piuttosto deludente.
Quanto è riuscito in Francia con l'Ircam di Pierre Boulez o in alcune università
americane, da noi c'è da registrare l'esperienza dello Studio di Fonologia di
Milano, con Luciano Berio, Bruno Maderna e Pietro Grossi, il decano
dell'elettronica italiana, che attivò la prima cattedra di elettronica nei
conservatori. Oggi questi corsi sono tenuti da docenti bravi e ascoltati anche
all'estero, come Elio Martusciello e Agostino Di Scipio.
D. Come spiega la scarsa attenzione del mondo accademico verso questo tipo di
sperimentazione?
R. Il luogo in cui si fa reale ricerca e reale produzione artistica, di fatto,
risiede al di fuori degli spazi istituzionali, e si mostra spesso legato a
percorsi individuali liberi da etichette di scuola, un processo che affonda
nella prassi del fare piuttosto che del formarsi. Ciò non vuol dire che qualcosa
in più possa immaginarsi nelle accademie, nei conservatori, nei luoghi della
formazione istituzionale. L'attuale processo di riforma di queste strutture
sembra però monopolizzare la loro attività attuale, legandone il destino ad una
sorta di caos legislativo in cui si intraprende senza aver fondi e si progetta
con attenzione il contenitore senza aver pensato ai contenuti. Hans Kelsen, il
teorico della teoria pura del diritto, sarebbe felice di questo: strutture
normative del tutto vuote, puri paradigmi.
D. Come si avvicinano i giovani a questo tipo di musica?
R. Chi vuole acquisire un linguaggio "border", di frontiera, potrebbe soltanto
scegliere tra due o tre proposte annuali, che naturalmente ricadono in un
calderone indifferenziato di offerta, come sta accadendo per il Maggio dei
monumenti. Perciò quello che succede, e non solo qui a Napoli, è che grazie alla
massificazione dei mezzi elettronici e dei software musicali, anche chi non
abbia speciali competenze musicali può farsi una piccola colonna sonora dei
propri filmini digitali, o realizzare una ninnananna rap per il proprio figlio,
o mettere su una garage band. Proprio "Garage" si chiama l'ultimo software
Macintosh che permette veramente a chiunque di comporre da sé la musica che
preferisce. Del resto mentre digitiamo al computer un correttore automatico si
mette di mezzo e ci scrive le parole correttamente, e chi fa una tesi di laurea
non deve far altro che digitare le parole chiave in Google.
Il Bach del futuro verrà fuori dall'uso domestico del computer
Nuove forme in italia di etero genio - no ©
"Al di là di alcuni aspetti marginali relativi alle differenti tecniche e logiche
dispiegate dai diversi dispositivi tecnologici disponibili negli anni '70 (uno
su tutti, il sistema analogico di ieri e quello digitale di oggi), credo che una
differenza fondamentale con l'elettronica odierna la giochi l'intero paradigma
tecnologico. Se da un lato si utilizzava la macchina ancora con un fare un po'
ingenuo che emulava spesso procedure, tecniche, comportamenti che anni di storia
avevano formalizzato nei confronti dello strumento tradizionale, dall'altro lo
sviluppo tecnologico sembrava garantire possibilità infinite (penso al 'suono
organizzato' di Varèse). Quindi, da una parte la macchina utilizzata come un
qualsiasi altro strumento, e dall'altro la consapevolezza di avere tra le mani
un meta-strumento, almeno in potenza... lo sviluppo tecnologico in breve avrebbe
soddisfatto qualsiasi esigenza. La Kosmiche Musik in parte simboleggia anche
questa aspettativa, il cosmo come metafora del potere che si spinge oltre
l'infinito, la possibilità di viaggiare attraverso le stelle e mondi lontani,
così, semplicemente... come normalmente lo si fa in auto, attraversando paesini
e borghi in una tiepida Umbria primaverile. Non è proprio la stessa cosa... c'è
anelito, estasi... d'accordo, è pur sempre un viaggio interstellare, ma non è
più uno spazio nemico che ci tiene imprigionati sulla terra. Lo so... una specie
di romanticismo (nessun senso dispregiativo) che apparteneva solo a questa
particolare area di musica elettronica e non di certo alla musica elettronica
'colta' (con senso dispregiativo), ma l'intero paradigma rimaneva lo stesso.
Dunque, la macchina come corpo unico, ideologia benefica e salvifica, strumento
docile e misterioso. Oggi, escluso pochi illusi, una buona parte dei musicisti
ha smascherato il discorso tecnocratico, fatto di pura mistificazione, provando
a minare l'idolo. Corpo della macchina frammentato, parcellizzato, divorato,
ognuno utilizza un piccolo pezzo, senza ideologie, ma solo per ristabilire il
proprio percorso. Le piccole macchine finalmente vengono comprese nel proprio
funzionamento ed utilizzate per configurare nuovi viaggi, nuove scoperte. Il
numero di dispositivi elettronici usati o addirittura creati oggi dai musicisti
è veramente impressionante e ovviamente altrettanto stimolante. Anche la musica
vive di questa ricchezza, che si apre così ad ogni possibile orizzonte. Non si
tratta più di conoscere perfettamente la macchina per fare tutto quello che si
può fare, ma di imparare quelle poche cose che servono per individuare un
cammino... e ricordarsi che fuori c'è il sole. La grande macchina non ci
assicura il nostro controllo su di essa, ma piuttosto il suo controllo su di
noi. Tutto questo è vero per le versioni più eterodosse dell'elettronica, ma nei
grandi centri di ricerca l'illusione è ancora grande, anche se però qualcosa
comincia già a scricchiolare. Insomma, se con la parola 'elettronica' c'eravamo
abituati a pensare ad un sistema matematico ed inumano che si sarebbe sviluppato
all'infinito, allora credo che siamo passati dalla musica elettronica a quella
elettro-elettronica, dove l'elettricità come campo di forza ed energia (presente
anche nel nostro corpo e nella nostra mente) riacquista la sua centralità. Una
musica elettro-elettronica usa i suoi strumenti come un bambino usa i suoi
giocattoli… per costruire il mondo con l'energia del suo corpo e della sua
fantasia." (Elio Martusciello)
S'è andata formando, in Italia, una scena dalla fisionomia musicale e geografica
incerta ma i cui adepti possiedono una stessa predisposizione a sperimentare - o
a giocare, ché non fa molta differenza - utilizzando congegni elettronici. Tale
scena va a rinverdire una tradizione che, seppur poco nutrita, ha rivestito
grande importanza nel panorama musicale internazionale. Pensiamo a un movimento
importante come il Futurismo, alle sperimentazioni accademiche dei vari Berio,
Nono e Maderna e a un risvolto popolare come fu il progressive dei '70, con
Franco Battiato in testa a tessere le fila. Senza dimenticare che MEV ha fatto
base per anni nella capitale del Bel Paese, tanto da poter essere considerato un
frutto di casa nostra. E senza dimenticare casi isolati come Pankow,
Maurizio Bianchi, Eraldo Bernocchi, Starfuckers,
Giancarlo Toniutti, Albert
Mayr, Luca Miti, Francesco Michi,
Gigi Masin, Mirko Sabatini e Vincenzo Vasi… che, nei loro generi, si sono
comunque elevati sopra la media. Ce n'è abbastanza, insomma, per non stupirsi di
quest'impennata che coinvolge un cospicuo numero di musicisti e sta facendo
parlare di se ben oltre il limite dei confini nazionali. Si tratta quindi di un
fenomeno che non potevamo dispensarci dall'indagare; lo abbiamo fatto montando
insieme impressioni dei musicisti con nostre considerazioni, scheletrici
ritratti dei protagonisti principali con una discografia di base e, consapevoli
di fare cosa gradita a molti lettori, con le loro playlist (chiaramente relative
al 2001). Da queste ultime risulta che per i musicisti della nuova scena
elettronica italiana il disco dell'anno è "Endless Summer" di Fennesz seguito da Sagor & Swing
"Orgelfarger", Oren Ambarchi "Suspension" e Lionel Marchetti "Knud - Un nom de
serpent"; fra i più apprezzati ci sarebbero anche i Radiohead e i Coil, ma le
segnalazioni che li riguardano non si sono concentrate su un unico disco. Buona
lettura.
discrepanze
"Mi sembra che sia cambiato molto in questi ultimi anni. Soprattutto é cambiato
l'approccio di molti musicisti: sembra che finalmente ci siamo accorti che
esiste un mondo al di là delle Alpi con cui é obbligatorio confrontarsi,
scambiare idee e materiali. Tu m',
Renato Rinaldi, Domenico Sciajno, Alessandro Bosetti, Logoplasm, Andrea Belfi, Martusciello (non
solo Maurizio, anche Elio, il cui lavoro, seppur
meno pubblicato, é davvero eccezionale), Valerio Tricoli e tanti
altri....si tratta di musicisti della mia generazione che stanno producendo
ottime cose e creando un ottimo clima di collaborazione. Sinceramente sono
abbastanza ottimista ...anche se non vedo in giro molte etichette." (Giuseppe
Ielasi)
"Con Domenico Sciajno, dopo l'uscita del disco su Erstwhile, tra la fine del
2001 e l'inizio del 2002 abbiamo fatto una trentina di concerti in giro per il
mondo, ma nessuno di questi in Italia. Le ragioni possono essere davvero tante.
Scarsa cultura musicale, ma la verità é che da noi queste cose, in generale, non
interessano. Soprattutto non interessa ascoltare cose diverse da quelle che si
conoscono già. Scarsa cultura musicale vuol dire anche incapacità di
concentrarsi sulla musica, di considerarla non solo intrattenimento, e parlo sia
dei dischi che dei concerti. Come è possibile che in Italia non si riesca a
suonare a bassi volumi senza essere coperti dai rumori e dalle chiacchiere? Come
è possibile che centri sociali e altre organizzazioni alternative, all'estero
molto attivi, siano così conservatori? Mancanza di fondi: in quasi tutti i paesi
europei (non negli Stati Uniti) anche le piccole organizzazioni che si occupano
di aspetti marginali della cultura hanno accesso a finanziamenti. Per noi é
davvero difficile riuscire ad avere aiuti per organizzare
concerti/rassegne/installazioni. Questo non significa che non si possa lavorare
comunque. Negli ultimi cinque anni di concerti ne ho organizzati parecchi, e non
sono assolutamente il solo ad averlo fatto. Ora però inizio a credere che non ne
valga la pena. Le persone sono sempre le stesse, e il loro coinvolgimento si
limita spesso all'ascolto per un paio d'ore... poi poco o niente, soprattutto
nessun interesse alla collaborazione. Probabilmente siamo troppo abituati ad
aspettare che le cose ci piovano in testa dall'alto..." (Giuseppe Ielasi)
È davvero il caso di essere ottimisti per quanto riguarda la nuova musica
elettronica italiana? Ammesso che si possa parlare di scena, dato che fra i vari
musicisti esistono enormi differenze sia per quanto riguarda la musica proposta
che per quanto riguarda il loro background, l'ottimismo sembra essere
giustificato e gratificato dai fatti. Si tratta di musicisti distanti fra se,
sia geograficamente che per le idee, ma che hanno saputo conquistarsi un posto
di rilievo nel panorama mondiale della musica elettronica piazzando i loro
dischi nei cataloghi di quasi tutte le etichette più interessanti. Diciamo che
un movimento così proiettato oltre i confini nazionali non si verificava dagli
anni '70, cioè dai tempi del famigerato progressive italiano (l'unico altro
fenomeno che siamo stati in grado di esportare in grosse quantità è stata la
bella melodia). L'apertura e il riconoscimento in continua crescita che i nostri
musicisti ricevono al di là delle Alpi è ulteriormente dimostrato dalla loro
partecipazione alle principali manifestazioni europee, dalla tendenza a dedicare
intere rassegne alla musica elettronica italiana ("The New Italian Futurists" di
Londra a inizio anno e una manifestazione simile che si terrà al Batofar di
Parigi a fine anno), dalla presenza di Alessandro Bosetti nel collettivo
berlinese Phosphor, dai sempre più numerosi tour intrapresi all'estero dai
nostri musicisti, dalle collaborazioni con nomi internazionali di rango, dalla
presenza di Giuseppe Ielasi in un lavoro
complesso commissionato dall'austriaca Kunst Radio, dal prossimo soundmix di Kim Cascone - per la serie
"Intersect" (#7:intonarumori) su label Deadtech/Anechoic - con materiali di
Fantasmagramma, Tu m', Domenico Sciajno e
Mugen
(www.deadtech.net/store.htm)…
e, anteprima assoluta, dalla selezione ottenuta da Maurizio Martusciello con la
nuova composizione Dissectio (che dovrebbe essere pubblicata da Metamkine) fra i
nove finalisti di un concorso elettroacustico in Belgio. Una curiosità
significativa riguarda Andrea Belfi: se una rivista schizzinosa come "The Wire" ha pubblicato una
recensione del suo CD autoprodotto "Ned N° 2", per giunta positiva, vuol dire
che c'è interesse nei confronti dei musicisti italiani e vuol anche dire che
questi rispondono a tale interesse con una produzione di alta qualità. Mi
sembrano tutti segnali ben precisi e inequivocabili. Purtroppo le cose cambiano,
e diventano ben più tristi, se diamo un'occhiata in casa… Come dice Ielasi
mancano le etichette, ma mancano pure i locali predisposti al solo ascolto della
musica, una situazione che costringe a scegliere fra costosi teatri o ambienti
non destinati esclusivamente all'ascolto e quindi problematici. Senza contare le
parcelle SIAE che superano di gran lunga quelle dei musicisti stessi. Questa
situazione rende estremamente difficile l'organizzazione di concerti destinati a
un pubblico ristretto. E il pubblico, per muoversi, ha bisogno di abituarsi, ha
bisogno di eventi che si ripetono con costanza. Non so quanta gente c'era al
concerto romano di uno sconosciuto Jimi Hendrix - 30? 50 persone? - mentre oggi
anche il gruppo rock più sfigato riempie una sala. Così è successo anche per i
cicli pisani di musica improvvisata alla fine dei '70, non credo che la prima
rassegna abbia raccolto un pubblico enorme mentre le ultime edizioni erano in
grado di fare il pienone. Senza contare l'influenza dei media che hanno sempre
più potere e non sono certo interessati a promuovere musiche di nicchia.
Comunque l'interesse c'è e i ragazzi che si impegnano a sperimentare esprimendo
e producendo qualcosa di personale anche, magari non sempre con ottimi risultati
ma sicuramente con entusiasmo e volontà… Basta cercare un po' in giro per
individuare una ricca sequela di nomi che non sono stati trattati più
diffusamente in questo articolo ma che meritano comunque una citazione: Radio
Töne (Salvatore Nicosia Tel: 3303633064), Flax Maize (flaxmaize@katamail.com), Törst (adrielia@tin.it - A. Elia Tel. 3478758479 - P.
Marcellini Tel. 3687739990), LAB-303 (vdomini@yahoo.com), Xaotik Muzak (notears@softhome.net), Orchestra Vuota
(sal@comserv.it), Luca Sigurtà
(eelsforfun@yahoo.it), Timbuctu
(pinnare@tin.it roberto.fega@katamail.com),
Fhievel
(fhievel@noisysoul.com), Giulio
Libonati (giulio_li@hotmail.com)…;
oppure è il caso di dare un'occhiata al programma del festival che si terrà a
fine anno al Batofar di Parigi, quello che abbiamo già citato sopra, per
trovarlo infarcito di DJ e di altre invitanti amenità chiamate Allun, Mat-101,
Gamers In Exile, D'arcangelo, Wang.inc, Anticracy… e non me ne vogliano quelli
che non sono stati citati.
elettro-elettronica
"L'interesse verso la produzione e l'ascolto di forme alternative di musica
nasce dal rifiuto delle limitazioni che i generi e le categorie prestabilite ci
impongono." (Alessandro Canova)
"Sinteticamente, inevitabilmente con qualche imprecisione, si può sostenere di
trovarsi di fronte ad un brano di musica concreta ogni qualvolta un'opera
utilizza unicamente come materiali costitutivi solo eventi sonori registrati da
fenomeni acustici naturali come quelli generati dai tuoni, dal mare, dalle voci
di una folla, ecc. Oppure di musica elettronica se i materiali costitutivi sono
di natura sintetica. Di musica elettroacustica se oltre alla combinazione di
entrambi i criteri si utilizza anche uno strumentario live (acustico od
elettronico). Di musica acusmatica quando un'opera è costituita da suoni
sintetici o concreti, o da entrambi, ma che non prevede l'esecuzione live. Di
musica improvvisata se non vi è nessuna partitura o criterio atto a condizionare
i musicisti che suonano liberamente. Insomma, credo che attualmente è difficile
trovare lavori che rispondano ad uno solo di questi criteri, spesso li
comprendono tutti." (Elio Martusciello)
"La difficoltà nel muoversi fra generi musicali diversi va individuata
soprattutto in termini di approccio e requisiti tecnici. Va da sé che più si
tratta di generi specifici, maggiori sono la dedizione e la specializzazione che
il musicista deve conseguire. E non mi riferisco solo ad un discorso tecnico: un
buon musicista classico non suonerà mai bene il 'liscio' pur non avendo limiti
tecnici... In ogni caso trovo sterile la vecchia discussione intorno alla
classificazione nella musica, personalmente non mi pongo il problema e non
faccio discriminazioni o scale di valore fra musica colta, popolare,
improvvisata, etnica, ecc. Trovo però pericoloso l'eclettismo dell'interprete
mentre trovo stimolante quello del fruitore. Tutti i generi di cui si parla al
presente saranno presto una sorta di musica 'classica', cioè materiale che
qualcuno continuerà a praticare per scopi fondamentalmente 'museali'. La musica
è un fenomeno vivo che prescinde dalle categorizzazioni . E' spontanea
manifestazione di sé e di una cultura nonostante le difficoltà interpretative
che tali fenomeni procurano ai propri contemporanei. La storia dell'uomo è
sempre più vasta, l'acquisire informazioni al fine di interpretare impone
schedature e categorizzazioni perché tutto ciò che può sorprendere in quanto
nuovo ci spaventa. Questo atteggiamento limita enormemente le nostre possibilità
di una percezione creativa, non necessariamente funzionale. Un fenomeno
abbastanza interessante e in qualche modo esemplificativo di ciò che intendo è
il filone della sperimentazione acustica legata agli strumenti elettronici.
Sebbene questo campo sia già in esplorazione dall'inizio del secolo, la notevole
accessibilità degli attuali strumenti digitali apre un nuovo scenario. Queste
apparecchiature e la loro innegabile influenza nella nostra società stanno
fungendo da catalizzatori tra musicisti già dotati di un loro bagaglio
(soprattutto compositori, improvvisatori e sound artists) e neofiti. Il
risultato è al momento un curioso interregno nel quale non si delineano
apertamente dei generi veri e propri. Questo mi piace. Temo però che sia una
cosa di cui godere nel breve termine perché presto il mercato ed alcuni
musicisti, ognuno per i suoi scopi, avranno bisogno di chiarezza. Quanto più
tardi questo avverrà tanto più alta sarà la possibilità che maturi tra musicisti
e fruitori una coscienza in grado di distinguere tra ciò che è valido e ciò che
non lo è. A prescindere dal genere per me, esiste solamente una divisione tra la
musica 'buona' e quella 'non buona'." (Domenico Sciajno)
Partiamo dalle parole (e dai pensieri) dei musicisti, eloquenti seppur non
sempre in perfetta sintonia, per capire i cambiamenti intervenuti nella musica
elettronica (e di conseguenza nella musica in genere). Cambiamenti che sono
perfettamente messi a fuoco da Elio Martusciello quando dice: "… una buona parte
dei musicisti ha smascherato il discorso tecnocratico, fatto di pura
mistificazione, provando a minare l'idolo". Se è lampante la differenza fra
un'elettronica primordiale fatta di sogni e illusioni e un'elettronica
contemporanea quanto mai concreta, ancor più logici sono i meccanismi che hanno
determinato tale evoluzione: diminuzione dei costi e popolarizzazione dei mezzi
elettronici. I due processi evolutivi sono chiaramente inter-dipendenti,
l'utilizzazione sempre più diffusa del computer, fin dalla scuola, porta a un
abbassamento dei costi e ciò contribuisce a propagarne la diffusione. Possiamo
dire che ormai il computer è in quasi in tutti i luoghi di lavoro e in tutte le
case. Questa popolarizzazione porta l'elettronica fuori dalle accademie e
dall'ambito ristretto della sperimentazione e, di conseguenza, porta il
background delle tradizioni popolari all'interno dell'elettronica. Viene quindi
a crearsi "…quell'interregno" di cui parla Sciajno, alla cui esistenza
contribuiscono non solo elementi accademici come elettroacustica, musica
concreta, ecc., ma anche rock, musiche nere, musiche etniche, industrial e via
elencando. Un altro elemento determinante proviene dalla sempre maggiore
manualità acquisita dai musicisti nei confronti del mezzo elettronico; questa
confidenza porta a un utilizzo più particolareggiato e personale, fino ad
arrivare a una reinvenzione dello strumento stesso. In questo senso un paragone
fra Aphex Twin e Jimi
Hendrix, che da sempre ci balena nella capocchia, è tutt'altro che azzardato.
Siamo quindi dinanzi a un pout pourrì di forme, a una mescolanza di generi e di
tecniche difficilmente definibile o racchiudibile all'interno di una sola
parola. In tal senso, mentre le vecchie categorizzazioni appaiono
inevitabilmente sbiadite, anche nuove definizioni come glitch (in realtà una
tecnica di utilizzo del mezzo elettronico più che un'estetica, verrebbe mai in
mente a nessuno di chiamare un genere musicale 'slide'?) e microsuoni sono
limitate e limitanti, inadeguate a descrivere un insieme così complesso di
intrecci. Meglio allora l'inconsueto elettro-elettronica suggerito da Elio
Martusciello.
pop
"…Aphex Twin rappresenta senza dubbio uno dei fenomeni più importanti degli
ultimi dieci anni. Tutta la nuova elettronica, specialmente quella votata alla
techno commistionata al pop e molto altro..., deve tutto alle sue intuizioni.
Ogni album di AT, anche quelli meno riusciti…, contiene paradigmi estetici che
hanno anticipato le tendenze da lì avvenire. Molti musicisti sono debitori della
sua musica, ma non si avvicinano minimamente alla sua grande forza evocativa:
brillantemente giocosa ed in alcuni casi terribilmente drammatica. Il perché di
tutto questo è sin troppo difficile da rendere a parole..., ci sono i dischi a
testimoniarlo... Ma non solo AT è stato a nostro avviso molto importante, anche
altri musicisti esteticamente diversi da lui, come Fennesz, Oval, Vert…, in un contesto
parallelo a quello di cui sopra hanno, secondo noi, deciso il futuro della
'sperimentazione elettronica'. Attecchendo anche ad un gusto più 'popular',
allontanandosi dalle paludi stagnanti di molta avanguardia, riscoprendo anche la
melodia. Siamo sicuri che qualcuno da qualche parte stia inorridendo per
questo..." (Tu m')
"L'inserimento della melodia è cambiato ed ha cambiato il piglio dei nostri
brani perché la nostra formazione melodica è fondamentalmente 'pop'. Con 'pop'
intendiamo una musica popolare, pur con tutte le perplessità e i dubbi che l'uso
di tale parola comporta. Comunemente con 'pop' si intende infatti un determinato
tipo di armonia differenziato dal rock, dall'hip-hop ecc. ecc.; per esempio
ascoltando Bacharach, Brian Wilson e Beatles diciamo: "che bella melodia pop",
mentre ascoltando un brano dei Talking Heads, dei Joy Division o degli
Autechre
determinate armonie meno esplicite danno un'impressione 'un po' meno pop', forse
un po' meno fruibili perché si possa parlare di musica popolare; e qui nasce il
dubbio al quale ci è difficile rispondere: popolare uguale conosciuto da tutti?
In questo senso la forma canzone è lo standard più fruibile, commerciabile, il
più diretto per la nostra cultura e il nostro tempo; ciò non significa comunque
che consideriamo semplice realizzare una buona canzone 'canonica', i vari
Wilson/Van Dyke Parks, Bacharach, Lennon/McCartney, Fagen, O'Rourke, Will Oldham
ecc. ecc. ne sono l'esempio." (ENT)
Pur condividendo i dubbi espressi dagli ENT, sembra pur evidente come
all'interno dell'elettronica sia oggi presente questa tendenza a fare propria la
cultura pop(olare), almeno nel senso in cui il termine viene utilizzato dagli
anglosassoni e cioè contrapposto alle espressioni colto od accademico. Ciò
deriva - oltre che dalla popolarizzazione di cui abbiamo parlato sopra - dal
fatto che il retroterra di buona parte dei musicisti ha origine nel pop: gli ENT
e Marco Carcasi (Kar) hanno
frequentato gruppi hardcore, Paolo Ippoliti dei Logoplasm, Alessandro Bonino (
Phonk),
Andrea Belfi e i Plastic
Violence
provengono dal punk, Elio Martusciello si è formato con il rock cosmico,
Alessandro Canova (Mugen) ha radici hip-hop e trip-hop, Davide Valecchi (aal) ha crossato dalla new wave al
nu-metal, senza contare l'influenza avuta sull'elettronica tutta da quei generi
nati nelle discoteche - quindi per forza di cose popolari - come techno,
drum'n'bass e house. Parlava bene parte del pubblico presente alla
manifestazione "Superfici Sonore", tenutasi a Firenze nell'Estate del 2001,
quando individuava nell'attitudine dei musicisti la stessa attitudine che sta a
fondamento della musica rock. Del rock - e di altra musica suonata su strumenti
tradizionali come il jazz - sembra mancare solo la parte spettacolare-scenica,
anche se un personaggio come Renato Rinaldi, che è in possesso di una forza
comunicativa davvero eccezionale e rara anche in molti gruppi rock, lascia
presupporre che tale handicap non è affatto insuperabile. Possiamo inoltre dire,
a sostegno delle nostre tesi, che buona parte della musica elettronica italiana
(almeno quella che stiamo trattando in questo articolo) ha radici formative più
infiltrate nel rock cosmico e nei Pink Floyd, anche se a volte solo di rimbalzo,
che non nelle sperimentazioni di Luciano Berio e Luigi Nono (con i quali
l'impatto sembra essere avvenuto solo in un secondo momento). Questa tendenza a
flirtare con il pop coinvolge anche musicisti che apparentemente sembrano molto
lontani da un gusto popular, a testimoniarlo non ci sono soltanto le varie
playlist, che pubblichiamo a compiutezza dell'articolo, ma pure fatti concreti
come l'arrangiamento trip-hop fatto da Giuseppe Ielasi per Leda Tries With The
Peacock, in "La macchina che moltiplica a per tre" di Mélgun, o la melodicità
che traspare dal primo CD di Z.E.L.L.E (tendenza che, stando alle ultime
dichiarazioni dei due componenti, andrà addirittura ad accentuarsi in un
prossimo futuro).
multimedialità
"In molti movimenti artistici del primo Novecento si è verificata una vera e
propria 'attrazione' tra la musica e le altre forme d'arte. Il futurismo stesso
come concetto base adottò la 'simultaneità'. Ovvero assemblare in un medesimo
istante 'suono', 'luce' e 'movimento'. Luigi Russolo, ad esempio, fu
pittore, musicista e inventore di 'strumenti' con le conseguenze che tutti
conosciamo. Carlo Carrà, in un articolo su 'Lacerba' del 1913 titolò un suo
scritto: 'la pittura dei suoni, rumori, odori'. Questo sta a dimostrare
l'interesse intorno al 'suono' non solo da parte dei musicisti stessi ma anche
dei letterati, pittori, poeti , ecc... Gli esempi potrebbero continuare, con
Cocteau ed il suo rapporto con il 'Gruppo dei sei', oppure E. Pound, che curò
perfino un trattato d'armonia. Quindi la musica era veramente alla base degli
interessi di tutti quei movimenti artistici. Nel dadaismo le serate del Cabaret
Voltaire erano delle vere e proprie situazioni multimediali ante-litteram, dove
pittura, teatro, poesia e musica erano una cosa sola, anzi pochi sanno che si
suonava qualcosa che in futuro sarà conosciuto come jazz… eravamo intorno al
1917. Conosciuti sono i rapporti tra Cage e Duchamp, Varese e Le Corbusier, Luigi Nono prima con Emilio Vedova e
poi con Renzo Piano, lo stesso Schoenberg era anche pittore..., fino ad
arrivare, passando per il movimento Fluxus, alla multimedialità di Nam Jun Paik"
(Tu m')
La scena elettro-elettronica deve sicuramente molto ai movimenti artistici
d'avanguardia nati nella prima metà del '900: innanzi tutto perché le propaggini
musicali di quei movimenti rappresentarono davvero una rottura con il passato e
inserirono l'utilizzo delle macchine nella musica, in secondo luogo perché la
multimedialità tipica di quei movimenti sembra essere trasposta a definire uno
dei caratteri più distintivi delle musiche che andiamo trattando. Molti dei
musicisti presi in esame hanno frequentato scuole d'arte o sono interessati a
forme espressive altre, rispetto alla musica, come la pittura, la scultura, il
linguaggio, le arti visive… . Infine c'è il connubio vero e proprio: quello
delle performance audio-visive di Domenico Sciajno e dei Fantasmagramma, dei
lavori per il teatro di Rinaldi, Ielasi e Tricoli e dei Kar, degli happening
inscenati dai Plastic Violence, degli intrecci con Cane CapoVolto (collettivo
catanese di cinema sperimentale che fa capo a Alessandro Aiello e Enrico Aresu)
da parte di Maurizio Martusciello e dei tu m', delle immagini sonorizzate
presenti nella web-label di questi ultimi… fino a quella che sembra essere la
forma eccelsa di questa multimedialità, cioè l'installazione o architettura
sonora. Un altro elemento da non trascurare è l'influenza esercitata dalla
musica e dalle culture orientali, soprattutto giapponesi, in particolare per ciò
che concerne la liberazione del suono da significanze varie, e superflue, per
ridurlo alla sola essenza di suono con i suoi timbri e colori.
distribuzione
"Si é parlato a non finire della maggiore facilità della diffusione della musica
negli ultimi anni, dei vantaggi (chiunque può stampare il proprio disco e
mandarlo in giro) e degli svantaggi (quasi nessuno riesce più a dedicare
attenzione a quello che ascolta... subito pronti con il prossimo disco da
mettere nel lettore....). Bene, per quanto mi riguarda non c'è differenza tra CD
o CD-R e la qualità sonora é identica. La facilità di produzione ne fa un mezzo
molto comodo ed economico, ma spesso abusato (poco controllo della musica che si
manda in giro, poca selezione del materiale e se vuoi anche poca attesa....senza
neanche il tempo di lasciarlo sedimentare). E' questo che mi interessa,
ascoltare della musica. I Logoplasm sono un ottimo esempio in questo senso (così
come lo é il CD-R di Andrea Belfi). L'economicità della produzione del CD é
secondo me del tutto relativa (soprattutto per l'Italia) e non tutti si possono
permettere di fare uscire un disco ogni due mesi, per cui ben vengano i CD-R."
(Giuseppe Ielasi)
"Frans de Waard ha recentemente definito le CD-R labels come 'le cottage
industries dei tempi odierni'... ci siamo inizialmente avvicinati al CD-R per
motivi economici dato che gestiamo la S'agita con quello che riusciamo a
scansare dai nostri lavori regolari, e davvero non è molto. Usando un supporto
oramai economicissimo, masterizzandolo e confezionandolo in casa tagliamo sulle
spese in maniera netta, così da poter investire la differenza in un'altra
uscita, o nell'estetica del packaging. Ovviamente tutto questo va a scapito del
tempo, perché per tenere su un'etichetta, per mettere su un CD-R ne serve
moltissimo, e siamo costretti a rubarlo ovunque capiti, al sonno, al riposo,
alla lettura, all'aria aperta, alla vita. Ma non vediamo il CD-R come una
panacea per l'autoproduzione. Certo che i prodotti si presentano meglio, sia
auralmente che visivamente, ma questo è merito del computer, che ha
massicciamente invaso la vita quotidiana. Le rappresentazioni cambiano: il
bianco e nero del collage xerox di una volta è stato sostituito dagli onanismi
dei software grafici, chi aveva poco gusto un tempo presenta adesso in maniera
meno eye-soring ciò che produce. Le tirature sono aumentate di pari passo al
decrescere dei tempi di duplicazione. I software aiutano molti a tirare su dal
nulla pezzi, composizioni, intere suite, e forse l'autocritica manca oggi come e
più di un tempo." (Logoplasm)
"È successo per caso e per scherzo. Poi ha funzionato. Non ho mai mandato un
demo a nessuno: il fatto è che non ho mai pensato alla musica come a una forma
di sostentamento, quindi perché venderla? Non dico che ciò non possa succedere,
ma non me ne sono mai (pre)occupato. La mia musica nasce in digitale, e lascia
il mio hard disk solo per venire caricata sul server. L'idea di doverla
distribuire e vendere su un supporto fisico quando chiunque può scaricarsela
gratis mi sembra una cavolata. In fondo faccio della musica solo per divertirmi…
e devo dire che mi diverto parecchio! " (Alessandro Bonino)
"Per mp3, il discorso é diverso. Mi spiace, ma il suono é proprio pessimo… e non
si tratta di frequenze. Lionel Marchetti, parlando di Chion, analizza la
'profondità' del suo suono (in senso prospettico); suono non solo sulla
superficie dell'altoparlante, ma 'dietro' l'altoparlante stesso... lontano. Ok,
alla maggior parte della musica di oggi (e non solo quella prodotta
digitalmente) lo 'spazio' manca del tutto e così il formato mp3 funziona.
Sinceramente a me interessa poco (a meno di non concepire un brano espressamente
per questo formato, ma in questo caso credo che si debba lavorare tenendo in
considerazione ben altri parametri, non ultima la bassa qualità della maggior
parte degli impianti stereo collegati ai computer...). Altri discorsi (...la
mancanza del supporto...) mi interessano ancora meno." (Giuseppe Ielasi)
"Perché mai dovrei diffondere musica via rete? Non credo ci sia alcuna bellezza
o utilità nel farlo. Non ho mai scaricato musica da internet, e tutto quello che
riguarda gli mp3 mi procura orrore. Se si potessero ascoltare solo mp3, non
ascolterei musica affatto." (Valerio Tricoli)
La diffusione su larga scala del mezzo elettronico non coinvolge solo il modo in
cui la musica viene creata, ma anche la produzione dei supporti e la
distribuzione. Gli studi domestici sono nettamente in aumento, vengono
utilizzati anche da numerosi gruppi rock indipendenti, e con essi si sviluppa la
tendenza all'autodistribuzione. Le piccole etichette, spesso gestite dai
musicisti stessi, si sono riprodotte a dismisura, e sovente funzionano anche
come distributrici delle consorelle - applicando fra se il sistema dello scambio
- fino alla creazione di una rete capillare addirittura più efficace ed
efficiente di quella creata dalle grandi etichette ('indipendenti' e non). A
questo punto entra in gioco il CD-R, un supporto più delicato rispetto al CD
prodotto industrialmente - nel secondo c'è probabilmente una patina protettiva
che viene aggiunta dopo la registrazione - ma non inferiore ad esso per qualità
sonora, che permette di preparare in casa i propri dischi a chiunque sia in
possesso di un minimo d'attrezzatura. Inizialmente il CD-R aveva la funzione dei
vecchi demotape, ma il suo ruolo è andato cambiando - o meglio altre funzioni si
sono aggiunte alla precedente - tanto che sono nate etichette specializzate in
CD-R (vedi la S'agita
gestita dai Logoplasm). Non
solo, anche etichette maggiori come la Staalplaat e la Touch, e musicisti ormai affermati
come Philip Jeck e Momus, non disdegnano l'utilizzo di questo supporto creando
addirittura sottomarchi specializzati in CD-R. Quello che fino a ieri era il
problema maggiore del CD-R, cioè l'aspetto grafico, è in fase di soluzione ed
etichette come la portoghese Grain Of Sound, e la stessa S'agita, non hanno
nulla da invidiare alle consorelle più ricche. Senza volervi cercare utopici
elementi di controcultura o autoproduzione Alternativa, ché i produttori dei
supporti utilizzati sono sempre le solite multinazionali, appare comunque chiaro
come questo supporto possa rappresentare per il musicista il conseguimento di
una salutare autonomia a basso costo. Ma accanto agli aspetti positivi,
possibilità per il musicista di gestire tutto il processo creativo e
commerciale, vi sono gli aspetti negativi, che si possono riassumere in un
ulteriore aumento della produzione con relativo intasamento del mercato. Questo
è comunque un fenomeno che ha ormai radici storicizzate - il CD ha rappresentato
un aumento della produzione rispetto al vinile e il vinile ha rappresentato lo
stesso fenomeno rispetto alle vecchia diffusione diretta tramite concerto - e
che al momento sembra inarrestabile. Un freno a ciò può stare solo nella qualità
della confezione (e già ci sta pensando anche chi produce a livello industriale
attraverso confezioni, spesso limitate alle prime copie, che sono autentiche
opere d'arte). La piccola produzione, come inevitabilmente è quella dei CD-R,
può giocare anche sull'espediente delle copie numerate che fa di ogni pezzo un
oggetto unico. Dato che la tendenza generale del pubblico acquirente, a livello
di gruppo omogeneo, sembra ormai orientata all'acquisto di una copia singola
dalla quale poi masterizzare, quella delle poche copie, numerate e confezionate
con cura, sembra essere una soluzione ottimale. Il problema nasce a questo punto
per i veri appassionati che, per paura di non trovare più quel particolare
oggetto, sono costretti ad acquistare senza fare troppe riflessioni. Questi sono
tutti temi aperti dai quali dipende in parte il futuro di quelle musiche
destinate ad un pubblico limitato. Se il CD-R sembra essere ormai un dato
acquisito, la distribuzione in rete attraverso le web-label è invece un sistema
che trova ancora numerose opposizioni, soprattutto a causa della sua qualità
ancora di basso livello. Nonostante ciò è possibile assistere a un proliferare
di questo mezzo di diffusione, anche in Italia e da parte di artisti di
estrazione diversa come Phonk, tu m', Domenico Sciajno, Mugen, i musicisti
legati a "Oltre il Suono"… . Sinceramente trovo che anche questo sia un fenomeno
inarrestabile e la contrapposizione netta nei suoi confronti mi fa pensare a
coloro che bruciavano le prime fabbriche per contrastare la nascente società
industriale. Penso quindi che il fenomeno delle web-label vada, più che
rifiutato a priori, analizzato con meticolosità. Innanzi tutto la qualità mi
sembra destinata senza dubbio a migliorare, non siamo che alla preistoria, e in
ogni caso è possibile riprendere il discorso già fatto sopra: il vinile ha
peggiorato la qualità dei concerti, il CD ha peggiorato la qualità del vinile,
la distribuzione in rete è destinata a peggiorare la qualità del CD. Ma, a parte
ipotetiche società in difesa del vecchio vinile o, in futuro, del vecchio CD (in
ogni caso roba da boutique), soprattutto per quanto riguarda la diffusione di
massa non vedo altre alternative se non quella di studiare il sistema nei suoi
meccanismi e capire come può essere utilizzato creativamente dai musicisti e
dagli ascoltatori. Comunque vada quello della rete è, fin da oggi, il metodo più
comodo, economico e veloce che hanno i musicisti per far viaggiare la propria
musica e farsi conoscere… ma non solo, e se anche un David Grubbs, che proprio
sconosciuto non lo è più, accetta di inserire un proprio brano nella web-label
curata dai tu m' ci deve essere sotto qualcosa d'altro? La rete potrebbe
rappresentare inoltre l'unico strumento in grado di cambiare il rapporto fra
musicisti e fruitori, permettendo a questi ultimi di poter accedere all'ascolto
della musica, decidendo ciò che più li aggrada, saltando intoppi parassitari
quali possono essere la critica, le etichette, i distributori e i commercianti.
Tutto sta nel come questo strumento si svilupperà, potrà e saprà essere
utilizzato.
ascolti
AA.VV.: "Social Music" (CD+Libro Errant Bodies Press/Fringes)
AA.VV.: "tu M'p3" (http://www.tu-m.com)
AA.VV.: "Beyond The Sound" (CD-R
http://www.oltreilsuono.com)
aal: "13" (CD-R S'agita Recordings)
aal: "Dear Dead Days" (CD-R S'agita Recordings)
Alessandro Bosetti / Annette Krebs: "Paper-Paper" (7" Nat Nat)
Andrea Belfi: "NED n° 1" (CD-R Autoprodotto)
Andrea Belfi: "NED n° 2" (CD Chocolate Guns)
ENT: "ENT" (CD-R Autoprodotto)
Fantasmagramma: "ab" (CD Extrasensory)
Giuseppe Ielasi / Domenico Sciajno: "Right After" (CD Erstwhile Records)
G. Ielasi / V. Tricoli: "Omonimo" (MC Freedom From)
G. Ielasi / R. Rinaldi / D. Sciajno / G. Robair: "May 15th" (CD Fringes)
Kar: "p.01" (CD-R Autoprodotto)
Logoplasm: "Limpida caostella del mattino" (CD-R autoprodotto)
Logoplasm: "Ghostscripts" (http://www.aesova.org)
Logoplasm: "Sublime.caos.nel.cuore" (CD-R S'agita Recordings)
Martusciello: "Meta-Harmonies" (CD Staalplaat)
Maurizio Martusciello: "Unsettled Line" (3"CD Metamkine)
Massimo: "Massimo" (CD-R Microwave)
Massimo: "Works For Fals.ch" (http://www.fals.ch)
Massimo: "Minimo" (CD Staalplaat)
Massimo: "Var" (mp3/3"CD Fällt)
Massimo: "Hey Babe, Let Me See Your USB And I'll Show You My FireWire" (3"CD
Mego)
Massimo: "Mort Aux Vaches" (CD Staalplaat)
Melgùn: "La macchina che moltiplica a per tre" (CD Fringes)
Alessandro Bosetti / Melgùn: "Pinocchio" (CD Nat Nat)
Metaxu: "Metaxu" (CD Plate Lunch)
Mugen: "770" (CD-R autoprodotto)
Mugen: "Drowning Venice" (http://www.pachinkostudio.com)
Ossatura / Tim Hodgkinson "Dentro" (CD RéR)
Phonk: "brani vari"
Retina.it: "Volcano Wave 1-8" (CD Hefty Records)
R. Rinaldi / A. Bosetti / G. Ielasi: "Oreledigneur" (Fringes)
Domenico Sciajno: "brani vari"
tu m': "Phone Book" (CD-R ReR)
tu m': "01" (CD Cut)
tu m': "Nine Songs" (CD-R Grain Of Sound)
Zelle: "Nth" (CD Line)
gli imprescindibili della nuova musica elettronica italiana
(e.g.)
1 Domenico Sciajno: Miserere
Una composizione in tempo reale, straordinaria per forza evocativa e impatto
emotivo, che purtroppo è disponibile solo in formato mp3 nel sito del musicista.
2 Martusciello: "Meta-Harmonies" (CD Staalplaat)
Questo strepitoso CD del 1995 rappresenta la sorgente della nuova musica
elettro-elettronica italiana e, in quanto tale, reputiamo il suo ascolto
assolutamente obbligatorio. Trovatelo o fatevelo prestare senza indugi.
3 Andrea Belfi: "NED n° 2" (CD Chocolate Guns)
"…elettroacustica sopraffina…", queste due parole scritte dall'amico G. Dal
Soler servono egregiamente a commentare un CD semplicemente imperdibile, e un
nuovo musicista che s'innalza ben al di sopra della media.
4 tu m': "Pre-master Disc for Ambiance Magnetiques" (CD-R n.p.)
Splendido esempio di improvvisazione dalle atmosfere magnetiche, ipnotiche e
ricche di spunti ritmico-melodici. Purtroppo, causa motivi economici, il gruppo
ha abbandonato l'idea di pubblicare il CD su Ambiance Magnetiques.
5 G. Ielasi / R. Rinaldi / D. Sciajno / G. Robair: "May 15th"
(CD Fringes)
Registrazione casalinga del 1998 che inaugura il catalogo Fringes, svela il
talento di tre fra i nostri migliori musicisti e, tramite la collaborazione con
Gino Robair, si apre verso una logica internazionale. Fondamentale.
6 Logoplasm: "Un libro scritto in automatico…" (CD-R n.p.)
Un CD, stampato privatamente in una trentina di copie da utilizzare come piccolo
regalo, che mette totalmente a nudo la tremenda forza poetica della musica
architettata dal duo di Ariccia.
7 Mugen: "Drowning Venice" (http://www.pachinkostudio.com)
La dimostrazione più compiuta delle non comuni capacità di questo giovane
talento nel mescolare mondi distanti, geograficamente, esteticamente e
anagraficamente, purtroppo reperibile solo in rete.
8 Massimo: "Var" (mp3/3"CD Fällt)
La dimostrazione più completa delle diverse anime che convivono nel provocatorio
musicista catanese. "Var" è contemporaneamente un immersione nel nonsense, nel
glitch, nel noise, nel divertimento...
9 Alessandro Bosetti & Annette Krebs: "Bosetti / Krebs" (CD-R
n.p.)
Cosa succede quando due poetiche speculari s'incontrano? Questi duetti di
Bosetti con la Krebs rappresentano quanto di meglio tale contingenza può
produrre. Confidiamo in una rapida pubblicazione.
10 Phonk: "phonkerie"
Funk + Punk + Barrett = una delle musiche più divertenti ascoltate ultimamente.
Se ne avete la possibilità scaricate, altrimenti fate scaricare da amici o
invitate il musicista a farvi avere qualche sua birichinata. Non ve ne
pentirete.
Etero Genio desidera ringraziare tutti i musicisti trattati per la loro
collaborazione
Nell'agosto del 1995, all'età di ottantacinque anni, è scomparso Pierre Schaeffer, uno dei protagonisti di maggior rilievo della sperimentazione musicale degli Cinquanta-Sessanta, creatore della musica concreta e dell'oggetto sonoro, troppo presto dimenticato dal mondo musicale. Vorremmo qui tentare di raccogliere l'importante eredità teorica di Schaeffer, riproponendo un percorso sintetico tra i principali temi del suo libro più importante, il Traité des objets musicaux, che oltre a racchiudere il suo lavoro di musicista, filosofo e sperimentatore, presenta in modo completo la nozione di oggetto sonoro e le basi teoriche della musica concreta.
1. La forza della premessa teorica
Sottolineiamo per prima cosa l'importanza e la forza della premessa teorica di Schaeffer, esplicitata ampiamente nel Traité des objets musicaux ma già presente negli scritti e nell'attività pubblica, radiofonica e musicale dell'autore.
Schaeffer ritiene che la produzione musicale del Novecento ci porti inevitabilmente alla necessità di una revisione, di un ripensamento di tutto il sistema musicale occidentale, polveroso e ormai sclerotizzato, incapace di condurre gli artisti su strade nuove: un sistema che non è più in grado di sfruttare i materiali con i quali è costruito ma è solo capace di riflettere sulla propria sintassi.
Questa crisi profonda del musicale è fortunatamente accompagnata da tre fatti nuovi, che possono portare spunti di riflessione e quindi la possibilità di un rinnovamento: una novità di tipo estetico, una di tipo tecnico e la nascita dell'antropomusicologia.
Per quanto riguarda l'estetica Schaeffer sostiene che assistiamo a una libertà sempre più grande e che questa libertà reclama regole, ma non c'è ancora stata un'operazione che abbia messo ordine in questa nuova estetica.
«Il secondo fatto è l'apparizione di tecniche nuove. Poiché le idee musicali sono prigioniere, più di quello che si creda, dell'apparecchiatura musicale, come le idee scientifiche lo sono dei dispositivi sperimentali. (...) Invece di allargare le possibilità della creazione, come ci saremmo potuti aspettare, le apparecchiature moderne sembrano suscitare degli specialismi, o delle eccentricità al margine della musica vera e propria»[1] .
Il terzo fatto riguarda «una realtà molto antica, in via di estinzione sulla superficie terrestre. Si tratta delle vestigia delle civiltà e delle geografie musicali diverse da quella occidentale. Questo fatto non sembra ancora aver l'importanza che merita presso i nostri contemporanei»[2]. Questi linguaggi, non ancora compresi e decifrati dalla musicologia occidentale che utilizza schemi e sistemi di notazione occidentali inadeguati alla comprensione di una musica diversa, potrebbero darci la chiave di un universalismo musicale.
Le tre impasse della musica occidentale secondo Schaeffer sono quindi l'inadeguatezza del sistema di notazione a rendere conto della generalità del mondo musicale; la scomparsa delle fonti strumentali con l'avvento del nastro magnetico; la nostra ignoranza del linguaggio musicale. Il Traité cerca di rispondere proprio a questi tre punti: tenta di creare una notazione che possa rendere conto della generalità dell'universo sonoro (ossia dei suoni e dei rumori); insegue il miraggio di un ritorno all'importanza dello strumento musicale, non in quanto oggetto o fonte da cui proviene il suono, ma in quanto momento indissolubilmente legato alle scelte del comporre, momento in cui la natura peculiare di un certo strumento musicale interagisce con la volontà creatrice dell'artista; ricerca una definizione di musica che non escluda il problema dell'universalismo del linguaggio musicale.
2. Dalla riflessione sull'ascolto all'oggetto sonoro
Il secondo spunto che vorremmo raccogliere riguarda la riflessione di Schaeffer sull'ascolto. L'autore prende le mosse da uno strumento novecentesco, l'unico veramente nuovo: l'invenzione della registrazione musicale, l'invenzione più rivoluzionaria di tutti i tempi. La possibilità di registrare il suono apre orizzonti mai intravisti prima in tutta la storia della musica, ma le attenzioni dei contemporanei sono invece rivolte all'aspetto tecnico piuttosto che alle applicazioni generali.
La prima cosa che ci deve meravigliare è il fatto che si possa trasformare un campo acustico a tre dimensioni in un segnale meccanico a una dimensione che ci permette comunque, anche se realizzato in modo grossolano, di riconoscere il contenuto semantico del messaggio. Abbiamo per esempio la possibilità - anche nella registrazione più distorta - di riconoscere il timbro di una voce umana o di uno strumento musicale.
Ma esaminiamo più da vicino alcuni aspetti della riproduzione del suono: immaginiamo un'orchestra che suona in una sala. Più tardi, incisa su disco, risuona nel salotto di un ascoltatore cui è stato fatto credere, per ragioni commerciali, che con quell'impianto è come se l'orchestra suonasse nel salotto di casa sua. L'attenzione è puntata sulla fedeltà, e non si è fatto alcun cenno al fatto che la registrazione musicale è una trasformazione, la sostituzione di un campo sonoro a un altro.
Proviamo a chiarire l'equivoco partendo da un paragone che potrebbe essere illuminante per il problema dell'ascolto: tentiamo un confronto tra acustica e ottica. Due grandi differenze separano l'esperienza dei fenomeni luminosi da quella dei fenomeni sonori. Per prima cosa, gli oggetti visivi non sono fonti di luce ma oggetti che vengono illuminati dalla luce. Per il fenomeno sonoro non è così: il suono proviene da una fonte e l'attenzione è tutta rivolta a questa fonte [3]. Il suono è sempre stato legato al fenomeno energetico che lo faceva nascere, tanto da essere confuso con lui. Inoltre questo suono è fugace, evanescente, ed è percepibile da un unico senso, l'udito. L'oggetto visivo invece è un fenomeno più stabile: non può essere confuso con la luce che lo illumina, è percepibile da più sensi, non svanisce. Con la registrazione del suono ci troviamo davanti a un nuovo fenomeno, quello della materializzazione del suono: in questa nuova esperienza il suono non è più evanescente e prende le distanze dalla sua causa, acquista stabilità, può essere sottoposto a manipolazioni.
Ma nemmeno questo avvenimento della registrazione sembra aver spostato l'attenzione dal suono segnale al suono vero e proprio. Inoltre nessuno si è mai posto la domanda più ovvia ma che è anche quella più essenziale: che cosa succede quando ascoltiamo un suono registrato invece di un suono dal vivo? Che cosa è successo al suono durante la registrazione?
Per prima cosa, durante una registrazione ha luogo una trasformazione di uno spazio acustico a quattro dimensioni (tre dimensioni spaziali più l'intensità) in uno spazio a una dimensione (monofonia) o a due dimensioni (stereofonia).
«Supponiamo un solo microfono: è il punto di convergenza di tutti i raggi che arrivano dai punti sonori dello spazio circostante. Dopo le diverse trasformazioni elettroacustiche tutti i punti sonori dello spazio iniziale si troveranno condensati nella membrana dell'altoparlante. Questo spazio è sostituito da un punto sonoro, il quale genererà una nuova ripartizione sonora nel nuovo spazio del luogo d'ascolto»[4] .
La disposizione degli strumenti nello spazio iniziale non è più percepibile nel punto sonoro se non sotto forma di intensità: nell'altoparlante il suono non è più o meno lontano, più o meno a destra o a sinistra, più o meno forte. Questo fenomeno, puramente fisico, va collegato allo spazio soggettivo dell'ascolto: l'ascoltatore diretto, quello che siede davanti all'orchestra in una sala da concerto, ascolta con le sue due orecchie e il suo ascolto è accompagnato anche da altre percezioni concomitanti. L'ascoltatore indiretto, seduto nel suo salotto davanti ad un apparecchio in grado di produrre suoni, ascolta anche lui con le sue due orecchie, ma tutti gli altri fenomeni di contorno sono assenti.
Ci troviamo quindi davanti a due ascolti profondamente diversi di cui vogliamo sottolineare in particolare due aspetti:
a) un aspetto soprattutto fisico: nell'ascolto
indiretto appare una riverberazione
apparente non riscontrata nell'ascolto diretto;
b) un aspetto psicologico: la messa in valore
nell'ascolto indiretto di suoni
che non avrebbero mai colpito la nostra attenzione durante l'esecuzione dal
vivo e, d'altra parte, la confusione che si crea nel riconoscere gli strumenti
musicali quando non abbiamo la possibilità di osservare gli esecutori.
Vediamo di spiegare meglio che cosa intendiamo con riverberazione apparente: il nostro ascolto è dotato di un potere di localizzazione. Nell'ascolto diretto il suono viene percepito in due modi: viene localizzato dall'ascolto diretto (il suono proviene dalla fonte da cui è emesso), ma a questo si somma il suono riflesso (o suono riverberato) che proviene da tutta la stanza. Il nostro ascolto fa la somma tra suono localizzato e suono riflesso: il suono riflesso aumenta il volume del suono, ma non impedisce all'ascoltatore di identificare la direzione della fonte sonora, e inoltre le riverberazione amalgama e arricchisce i suoni.
Ma se sostituiamo le nostre due orecchie con un microfono, questo capterà indistintamente il suono diretto e quello riflesso, li sommerà e inoltrerà così nell'altoparlante un prodotto che non è stato selezionato come lo sarebbe stato dal vivo.
Proviamo ora a esaminare il secondo aspetto, quello psicologico: in una registrazione sentiamo molte cose che non avevamo sentito nell'ascolto diretto: rumori di fondo, rumori parassiti, errori dell'orchestra, la tosse del vicino, ecc. La macchina ha registrato tutto, le nostre orecchie non lo avevano fatto nella sala da concerto: durante l'ascolto hanno selezionato tra migliaia di informazioni diverse quelle che ritenevano interessanti.
Dopo tutto questo possiamo ancora parlare di fedeltà della registrazione? Dopo le prove che abbiamo appena portato sulla trasformazione che subisce un brano musicale quando viene registrato, pensiamo ancora che il concetto di fedeltà sia corretto? Eppure, la riproduzione ci sembra perfetta.
Come è possibile? La verità, dice Schaeffer, è che i musicisti non hanno orecchio: sono abituati a fare musica, a pensarla, a scriverla, a immaginarsela, ma non sono abituati a rivolgere la loro attenzione all'oggetto sonoro in quanto tale. Schaeffer sostiene che gli unici in grado di ascoltare l'oggetto sonoro sono i tecnici del suono. La registrazione di un brano musicale non è in realtà una riproduzione fedele, ma una ricostruzione: è il risultato di una serie di scelte, di interpretazioni che i dispositivi di registrazione rendono possibili e necessarie. Il tecnico del suono è quello che esegue questa ricostruzione e che deve quindi in continuazione comparare il piano della realtà (il suono diretto) con il piano della riproduzione, in certo senso dunque con il piano della finzione, e per riprodurla deve porsi delle domande su com'è questo suono vero, reale, che deve essere riprodotto artificialmente.
Il discorso di Schaeffer sul potere della registrazione ci porta a considerare il problema dell'oggetto sonoro, problema che emerge grazie alle tecniche di registrazione e alla possibilità di ascoltare un suono senza vederne la fonte. Questa riflessione sul suono in quanto tale non è però appannaggio solo del tecnico del suono - si tratterebbe di un'elite - ma è alla portata di tutti attraverso un'invenzione diffusa in tutte le case del ventesimo secolo: la radio. E per questo nuovo tipo di ascolto che la radio ci propone abbiamo già pronto un nome, un antico neologismo: acusmatica.
Acusmatico era il nome dato ai discepoli di Pitagora che ascoltavano le lezioni del maestro da dietro una tenda, senza vederlo[5]. Questo termine lo possiamo utilizzare per la radio e per la registrazione del suono che «restituiscono all'udito la totale responsabilità di una percezione che normalmente si appoggia ad altre testimonianze sensibili.» [6].
La situazione acusmatica rinnova il modo di intendere: isolando il suono dal complesso audiovisuale di cui faceva inizialmente parte, crea delle condizioni favorevoli per un ascolto che si interessa al suono in se stesso. Una precisazione è necessaria: non si tratta di sapere come un ascolto soggettivo interpreti la realtà, ma l'ascolto stesso diventa il fenomeno da studiare. La domanda che dobbiamo fare a colui che ascolta il suono senza fonte è 'che cosa senti?' e con questa domanda gli chiediamo di descrivere la sua percezione.
Cerchiamo ora di capire quali sono le caratteristiche di un ascolto acusmatico che si verifichi nelle condizioni attuali, ossia che cosa succede quando ci poniamo di fronte a un impianto stereofonico e ascoltiamo i suoni senza poterne vedere la fonte, proprio come i discepoli di Pitagora ascoltavano il maestro nascosti dietro la tenda.
Comincia a delinearsi una definizione di oggetto sonoro: è ogni fenomeno e avvenimento sonoro percepito come un tutto coerente e ascoltato in una situazione acusmatica, indipendentemente dalla sua provenienza e dal suo significato.
Quello che Schaeffer si propone di fare è di mettere tra parentesi ogni riferimento alle cause strumentali e a ogni significato musicale già dato, dunque ogni forma di condizionamento culturale, per consacrarsi esclusivamente all'ascolto. Per lui il magnetofono ha per prima cosa la virtù della tenda di Pitagora: crea dei fenomeni nuovi da osservare, soprattutto crea delle condizioni nuove di osservazione. La nuova tecnica musicale del Novecento legata alle apparecchiature elettroniche serve molto più ad ascoltare i suoni che a produrli.
Abbiamo fornito una seppur vaga definizione di oggetto sonoro ed ora dobbiamo mostrare come si arriva alla percezione di questo misterioso oggetto sonoro. Cerchiamo di costruire un percorso ideale di ascolto:
Ma se io abbandono sia gli indici sia il senso, che cosa rimane? Se noi non accettiamo di dividere l'ascolto in avvenimento e senso, allora posso percepire ciò che costituisce un'unità originale, cioè l'oggetto sonoro che è rappresentato dalla sintesi di percezioni solitamente dissociate.
Si tratta quindi di abbandonare l'atteggiamento naturale e di adottarne uno artificiale: l'ascolto acusmatico che ci guida verso l'ascolto dell'oggetto sonoro si delinea allora come un ascolto ridotto in senso husserliano, un ritorno alle fonti, una liberazione dai condizionamenti derivati dal contesto culturale o dall'abitudine a una certa pratica. La realtà viene ridotta a un campo di dati fenomenologici.
3. Fenomenologia dell'oggetto sonoro
Abbiamo più o meno definito che cos'è l'oggetto sonoro: si tratta ora di trovare i criteri che ci possano aiutare a descrivere e definire l'universo dei suoni. Per adesso abbiamo solo isolato un concetto: tutta la difficoltà sta nel creare la grammatica che ci permetterà di descrivere questo oggetto sonoro.
Secondo Schaeffer alla base della nostra attività percettiva si trova la coppia oggetto/struttura. Per oggetto utilizza una definizione di Husserl tratta da Logica formale e logica trascendentale:
«L'oggetto è il polo d'identità immanente ai singoli vissuti, ed è peraltro anche il polo trascendente nell'identità che li sovrasta» [7].
Per struttura utilizza una definizione tratta dal Vocabulaire technique et critique de la philosophie di Lalande. E' la definizione di forma:
«Le forme sono degli insiemi, che costituiscono unità autonome, manifestano una solidarietà interna e hanno leggi proprie. Ne consegue che il modo di essere di ogni elemento dipende dalla struttura dell'insieme e dalle leggi che la governano. Né psicologicamente né fisiologicamente l'elemento preesiste al tutto».
Si tratta ora di applicare questo concetto di struttura alla musica. Schaeffer ci fornisce tre esempi:
Ci troviamo così di fronte a una catena infinita oggetto/struttura che caratterizza tutte le nostre percezioni: ogni oggetto è percepito come oggetto soltanto in un contesto che lo ingloba, in una struttura; ogni struttura è concepita come struttura di oggetti costituenti; ogni oggetto della nostra percezione è contemporaneamente un oggetto percepito come unità in una struttura, ed è struttura in quanto è composta da più oggetti. Questa catena ha però un limite ben definito nel sistema musicale occidentale: la nota è l'oggetto, il più piccolo elemento significativo. Schaeffer si rifiuta di considerare la nota come punto d'arrivo poiché vuole affrontare la catena oggetto/struttura dal punto di vista puramente percettivo e non da quello culturale.
Ma se rifiutiamo la nota, dobbiamo comunque affrontare il problema del reperimento di unità sonore all'interno della totalità del mondo sonoro, di un criterio che ci permetta di segmentare il flusso dei suoni. Schaeffer si rivolge alla linguistica e in particolare alla fonologia.
Come è possibile reperire delle unità sonore all'interno di un discorso? La prima suddivisione a cui pensiamo è quella delle parole che nella nostra lingua ci appare evidentissima. Ma se ascoltiamo una lingua straniera, allora non ci è possibile distinguere una parola dall'altra: la lingua ci appare come un flusso di cui non siamo in grado di cogliere la minima articolazione. Siamo in grado di farlo solo quando possiamo ricorrere al senso. Non saremo in grado nemmeno di cogliere i fonemi, poiché essi sono, proprio come le parole, relativi alla loro funzione nell'insieme del sistema di una lingua.
Come nella lingua i parlanti sono in grado di riconoscere un certo fonema, così i membri di una particolare civiltà musicale sono in grado di riconoscere i tratti pertinenti (quelli che hanno una funzione nella struttura, cioè quei fonemi che vengono riconosciuti perché hanno una funzione rispetto al significato) e di essere sordi a quelli non pertinenti. Schaeffer ricorda, per esempio, come noi non sentiamo il rumore dell'attacco in un suono, che a volte è molto più forte del suono stesso. L'esempio dei fonemi ci conferma così l'insensibilità a delle variazioni acustiche, a volte veramente notevoli.
Cerchiamo ora di applicare questo discorso al nostro problema musicale: i tratti pertinenti saranno quei valori che emergono da più oggetti raggruppati in una struttura e costituiscono gli elementi del discorso musicale astratto; gli altri aspetti, non pertinenti nella struttura musicale ma che costituiscono per così dire la sostanza concreta, prendono il nome di caratteri.
Il valore, naturalmente, comincia a esistere in quanto tale solo nel momento in cui ci sono più oggetti e questi oggetti si differenziano in base alla variazione di una proprietà comune. Questa relazione valore/carattere postula che il valore non è una proprietà fissa degli oggetti ma piuttosto una funzione che può variare a secondo del contesto, del sistema, delle regole compositive, ecc. Quindi quando ascoltiamo dei caratteri, possiamo sempre immaginare che essi abbiano la possibilità di trasformarsi in valori in un'altra struttura, proprio come una variante fonetica diventa, in un'altra lingua, un fonema distinto.
Su queste basi teoriche prenderà l'avvio il progetto del solfeggio sonoro generalizzato, un tentativo di descrivere l'intero mondo sonoro a partire dal campo dei dati fenomenologici a cui Schaeffer ha tentato di ridurre l'universo musicale.
Si tratta di cercare di descrivere un suono senza utilizzare l'analogia o la sinestesia, ma costruendo un vero e proprio vocabolario tecnico peculiare che traduca fedelmente la trama, il materiale, il corpo del suono e che possa rendere conto della generalità dell'universo sonoro.
Il progetto, non completamente realizzato e con dei difetti strutturali profondi, verrà utilizzato nelle classi du musica elettroacustica ma non sarà mai considerato nella sua portata 'universalistica', cioè come nuovo alfabeto in grado di far scaturire una musica nuova.
4. Conclusioni
Ci si aspettava da quest'opera un grande dibattito: nel 1966, l'anno della sua uscita, gli argomenti che affrontava erano di grande attualità e la discussione sulla musica contemporanea era estremamente vivace. Il Traité invece lascia dietro di sé un grande silenzio: non riceve critiche aspre, ma non suscita neppure adesioni, non fa proseliti. I motivi possono essere molteplici e noi vogliamo citarne solo alcuni: la mole del trattato, la difficoltà di lettura, l'approccio interdisciplinare, la lentezza dimostrativa, l'uso di dottrine filosofiche ormai in decadenza in Francia nel periodo di uscita del libro.
Neanche la musica di Pierre Schaeffer ha avuto, proprio come il Traité e il suo autore, una grande fortuna: dopo il relativo successo dei primi concerti di musica concreta agli inizi degli anni Cinquanta, dovuto soprattutto alla novità e all'aspetto rivoluzionario dei suoi propositi, la musica concreta è sparita dalle scene europee senza lasciare eredi.
A Schaeffer si pensa come a un musicista legato a un certo tipo di musica d'epoca. Eppure noi crediamo nel Traité compaiano temi che sarebbe valsa la pena di non lasciar cadere.
Pensiamo per prima cosa al problema della percezione musicale: quando Schaeffer lavora alla sua monumentale opera la psicologia della forma era già stata quasi completamente abbandonata e prima di Schaeffer poco applicata al campo musicale. Quello che sembra rilevante, non è tanto l'applicazione della Gestalt alla percezione musicale, ma il significato che questa operazione comporta in Schaeffer.
Alla base della ricerca dell'autore c'è il desiderio di una rifondazione del musicale che consenta alla musica del Novecento di superare il momento di grave crisi in cui versa: l'accusa principale dell'autore è un'accusa di intellettualismo, di una ricerca rivolta solo alle strutture astratte in dimenticanza dell'aspetto percettivo, l'aspetto concreto del fenomeno musicale. Questo intellettualismo è il primo responsabile secondo Schaeffer di una incomprensibilità della musica: solo un'attenzione nei confronti delle strutture musicali percepite permetterà alla musica di 'parlare' agli uomini, di comunicare di nuovo con essi. Il tema della Gestalt ci sembra rivolto proprio a questo: un'analisi della struttura di percezione può portarci a capire come costruire la musica del futuro, una musica che deve prendere le mosse dalle capacità del nostro orecchio, dalla nostra possibilità di individuare le strutture d'ascolto.
Vogliamo anche raccogliere i temi dell'ascolto ridotto e dell'oggetto sonoro: queste sono le due nozioni-cardine di tutto il Traité, le nozioni dalle quali prende avvio la riflessione e attraverso le quali Schaeffer costruisce il suo edificio teorico. Sono in certo senso due concetti originali, anche se dichiarano apertamente la loro filiazione da Husserl e dalla fenomenologia.
Cominciamo dall'ascolto ridotto: nel suo significato generale, legato all'esperienza acusmatica, è un'immagine di grande fascino e che inizialmente sorprende favorevolmente il lettore. Sembra aprire prospettive mai intraviste fino ad ora, un approccio al mondo non solo musicale ma anche sonoro che non avevamo mai immaginato.
Se però ci avviciniamo a questa tematica con un occhio un po' più analitico, scopriamo subito che non siamo in grado di dire che cosa sia questo atteggiamento dell'ascolto ridotto.
Secondo Schaeffer consisterebbe in una operazione di decondizionamento dal nostro atteggiamento naturale (l'atteggiamento naturale consiste nell'attenzione verso il senso e verso gli indici): ma questo decondizionamento non sappiamo in che cosa consista. Come possiamo fare astrazione del senso e del riferimento alla causa energetica? Attraverso quale operazione? Che cosa dovrei 'sentire'? Come faccio a sapere quando sono in presenza di un oggetto sonoro? E se per caso non riuscissi a 'sentirlo'? Schaeffer ha creato una parola nuova, ma non ha saputo spiegarci che cosa la parola descrive, non ci ha messo in grado di imparare che cosa la parola descriva.
La nozione di ascolto ridotto non è però semplicemente un concetto vuoto, inutile: ha una sua funzione, più evocativa che logica o metodologica. Schaeffer, sempre in bilico tra molte discipline, alla fine ci appare come un inventore di storie, di suggestioni, un letterato, più che un filosofo. Infatti se l'ascolto ridotto dal punto di vista metodologico non spiega quello che dovrebbe spiegare, ci spinge comunque a prendere in considerazione il problema, sposta la nostra riflessione sulle modalità di ascolto. La sola evocazione dell'ascolto ridotto ci fa assumere un atteggiamento nuovo nei confronti del suono: un atteggiamento di attenzione maggiore, di stupore, di curiosità, come se ci trovassimo davanti a qualcosa di inesplorato, qualcosa di mai udito prima. «Un parola nuova è come un seme fresco gettato nel terreno della discussione»[8].
Anche la nozione di oggetto sonoro sottoposta ad analisi mostra ampiamente le sue falle: infatti l'oggetto nella sua prima definizione designa una relazione con il soggetto. Nella sua seconda accezione il concetto viene fissato invocando la pregnanza delle forme: l'oggetto viene definito a seconda della sua capacità di isolarsi rispetto a uno sfondo, di costituire un'unità percettiva. Nel passaggio dal sonoro al musicale, l'oggetto subisce un'altra trasformazione: l'oggetto sonoro acquista una funzione musicale, diventa un'unità funzionale. I tratti distintivi diventano pertinenti, l'oggetto sonoro diventa oggetto musicale. Ma nella nozione di oggetto, la pretesa era proprio quella di descrivere l'organizzazione percettiva senza tener conto della funzione nella catena sonora: nel momento in cui l'oggetto diventa oggetto musicale, non può essere più considerato come unità percettiva, ma diventa unità funzionale. Malgrado questo la nozione di oggetto sonoro, come quella di ascolto ridotto, sposta la nostra attenzione, ci apre nuove prospettive: il suono, da sempre considerato come 'qualcosa che rimanda ad altro', si libera dal suo legame con l'evento energetico che lo genera per diventare oggetto della nostra percezione, e in quanto oggetto è analizzabile e descrivibile.
Prendiamo infine in considerazione il progetto del solfeggio generalizzato: ci troviamo in grande imbarazzo nel dare un giudizio su un progetto che non è stato portato a termine e che a noi risulta di difficile comprensione a causa della mancanza totale di ascolto e pratica.
La morfologia e la tipologia degli oggetti sonori vengono considerate dai musicisti che si occupano di musica elettroacustica di grande utilità: noi però crediamo che il progetto di Schaeffer non voglia limitarsi ad essere una tecnica di descrizione adatta a un certo tipo di musica che si produce al di fuori di ogni notazione come quella prodotta in studio dal Group de Recherches Musicales (GRM). Pensiamo di poter affermare che la ricerca di Schaeffer fosse rivolta a un ripensamento molto più generale del sistema musicale occidentale e che il fine del solfeggio generalizzato, come lui stesso d'altra parte dichiara più volte nel corso del libro e nella sua lunga carriera di scrittore e ricercatore, sia quello di poter rendere conto di ogni tipo di musica, di poter descrivere la musica al di là della sua provenienza, della sua notazione particolare. Sembra che ci troviamo davanti alla ricerca di un linguaggio musicale universale, che precede i linguaggi musicali particolari. Per esprimerci utilizzando il dualismo caro a Schaeffer, un linguaggio che sia più vicino al polo naturale che a quello culturale. Se così fosse, dovremmo chiederci se si tratterebbe ancora di un linguaggio o se ci troveremmo in uno stadio prelinguistico. Ma questa domanda rimane senza risposta poiché Schaeffer non ha definito che cosa sia il linguaggio (cosa che ci sembra fondamentale nel momento in cui si vuole istituire un parallelismo) né ha risolto in modo esaustivo la comparazione tra musica e linguaggio.
Il Traité dunque è una costruzione disseminata di incompletezze, incongruenze, problemi mal posti o irrisolti. Certamente l'ambiziosità del progetto e la pretesa di interdisciplinarità sono tra le cause di una, più volte lamentata, mancanza di chiarezza: uno dei problemi di questo libro è che è troppo lungo, troppo vasto, troppo ambizioso.
Malgrado tutti questi rimproveri, siamo convinti che il lavoro di Schaeffer non debba essere dimenticato da coloro i quali affrontano la riflessione teorica sulla musica: le problematiche proposte dall'autore hanno in certo senso acquisito oggi maggiore attualità di quanto fossero al tempo della pubblicazione del Traité. Sicuramente il lettore degli anni Novanta troverebbe molto invecchiate le parti di psicoacustica e anche quelle sul lavoro in studio: i mezzi tecnici a nostra disposizione sono enormemente cambiati. Ma non crediamo che il Traité debba essere letto come un manuale che guidi la composizione di opere elettroacustiche, né pensiamo che possa essere in generale un manuale che possa interessare il compositore, sempre più rivolto verso gli aspetti artigianali, legato alla prassi compositiva, operazionale. Crediamo invece che l'ipotetico lettore degli anni Novanta possa essere il filosofo, il teorico della musica, colui al quale insomma è affidata la riflessione teorica sull'universo musicale.
Nel Traité troverà non solo un'importante testimonianza storica di quello che è stato il movimento concretista in Francia e tutta la temperie culturale di quegli anni, comprese le problematiche legate alla nascente musica elettronica, ma anche e soprattutto una grande voglia di rinnovamento, al di là della musica che in quegli anni Schaeffer componeva. Un rinnovamento che prescinde dalle circostanze storiche in cui il progetto è stato pensato e realizzato. Un'opera quindi che è nello stesso tempo molto datata e fuori dal tempo.
Per quanto riguarda le accuse di nostalgia e di reazione che sono state fatte a Schaeffer dagli stessi membri del GRM, non possiamo trovarci d'accordo. Il grande amore di Schaeffer per Bach e per la musica del passato in generale non hanno niente a che vedere con la sua riflessione sul rinnovamento del musicale. Se Schaeffer parla ancora di scale musicali, non è a causa di nostalgie nei confronti del passato musicale: siamo piuttosto inclini a credere che questo insistere sulle scale, cioè sulla struttura di riferimento, derivi da una convinzione teorica profonda che ha cercato di mostrare nel Traité ricorrendo alla psicologia della forma e alla nozione di campo percettivo naturale dell'orecchio: la musica, secondo Schaeffer, deve essere per prima cosa verificata dall'orecchio, dall'attività percettiva, che ha delle leggi di strutturazione dalle quali non possiamo prescindere.
N OTE
[1] Pierre Schaeffer, Traité des objets musicaux, Seuil, Paris 1966, pagg. 16-17.
[3] Noi pensiamo che questo atteggiamento derivi soprattutto dal fatto che il suono è per prima cosa un segnale: «Quando si ode un suono, l'istanza di identificare la cosa la cui esistenza è in qualche modo implicata in esso è tanto immediata e spontanea da far pensare che una simile istanza si radichi in profondità nel tessuto percettivo. (...) L'udire non si arresta dunque presso il suono, ma da esso lascia la presa per attivare quelle funzioni che subito si tendono per afferrare la cosa che nel suono si annuncia. Così, ciò presso cui indugia il nostro sguardo non è la mano tesa a indicare, e anche l'udire del suono che è soprattutto un segnale è un udire sfuggente, come lo sguardo dalla mano nella direzione che essa indica.» Giovanni Piana, Filosofia della musica, Guerini e Associati, Milano,1991, pagg. 75-6
[4] Pierre Schaeffer, Traité des objets musicaux, cit., pag. 77.
[5] Vorremmo sottolineare come Pierre Schaeffer insista sul senso iniziatico di questa esperienza che mette l'ascoltatore in grado di prendere coscienza della sua attività percettiva e dell'oggetto sonoro.
[6] Pierre Schaeffer, Traité des objets musicaux, cit., pag. 91
[7] Edmund Husserl, Logica formale e logica trascendentale, Laterza, Bari 1966, pag. 203.
[8] Ludwig Wittgenstein, Vermischte Bemerkungen, Surkamp Verlag, Frankfurt am Main 1977, trad. it. Pensieri diversi, Adelphi, Milano, 1980 pag. 19.
Questo testo è stato pubblicato nella rivista «Musica/Realtà», Anno XVIII, n. 52 - Marzo 1997 Edito dalla Libreria Musicale Italiana, pp. 65-78