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“Tutto iniziò con un'esplosione di violenza. Pochi giorni prima di Natale, molti affamati si lanciarono all'assalto dei supermercati. Fra i disperati, come succede di solito, s'infiltrarono diversi delinquenti. E in quelle ore di caos, mentre il sangue scorreva, il presidente argentino parlò in televisione. Parola più, parola meno disse: la realtà non esiste. E allora nacque la musica. Iniziò piano piano, risuonando nelle cucine di alcune case, mestoli che colpivano le pentole, e andò alle finestre e ai balconi. Andò moltiplicandosi, di casa in casa, e conquistò le strade di Buenos Aires. Ogni suono si unì ad altri suoni, la gente si unì alla gente, e nella notte esplose il concerto della rabbia collettiva. Al suono delle pignatte, e senza altre armi che queste, si levò il clamore dell'indignazione. Convocata da nessuno, la folla invase i quartieri, la città, il paese. La polizia rispose a suon di spari. Ma la gente, inaspettatamente potente, rovesciò il governo. Gli invisibili avevano occupato, fatto nuovo, il centro della scena. Non solo in Argentina, non solo in America Latina, il sistema è cieco. Che cosa sono mai le persone di carne e ossa? Per gli economisti più famosi, numeri. Per i banchieri più potenti, debitori. Per i teconocrati più efficienti, fastidi. E per i politici di maggior successo, voti. Il popolo che fece cadere il presidente de la Rua diede prova di energia democratica. La democrazia siamo noi, disse la gente, e noi siamo stufi. O forse la democrazia consiste solo nel diritto di votare ogni quattro anni?”

Eduardo Galeano
scrittore uruguaiano



L'industrializzazione dell'America Latina è iniziata tardi, fino alla fine degli anni venti l'America Latina rimase un continente esportatore di materie prime, dipendente dall'importazione per i prodotti finiti: grazie al commercio di bestiame e grano, l'Argentina divenne uno dei paesi più ricchi del mondo.
La crisi del '29 bloccò il ciclo favorevole a causa della recessione nei paesi industrializzati: le esportazioni crollarono del 50% e in 4 anni l'Argentina si trovò senza fondi per importare prodotti finiti.
Dopo la crisi del '29, si succedono al potere una serie di generali nazionalisti.
È un decennio infame, e solo con la seconda guerra mondiale avvenne il rilancio dell'economia: alla fine degli anni trenta il continente sudamericano si orientò verso l'adozione di sistemi di “sostituzione delle importazioni” e questo sistema garantì l'accumulo di molte ricchezze durante la seconda guerra mondiale.
È proprio in questo periodo, nel 1943, che fa la sua comparsa sulla scena politica argentina il colonello Juan Domingo Peròn, simpatizzante delle avventure fasciste europee.
All'inizio, la grande prosperità dell'Argentina che esporta, dettando i prezzi, i prodotti per alimentare e vestire l'Europa del dopoguerra, permette al generale-presidente di applicare una politica di nazionalizzazioni di massa, imbevuta di un populismo sui generis caratteristico del fascismo tradizionale.
In questo periodo, l'Argentina, oltre a migliorare le infrastrutture nazionali, creò industrie statali nei settori strategici quali ferro e acciaio ed aumentò le imposte sulle importazioni di prodotti finiti in modo da evitare il danneggiamento delle imprese locali da parte della concorrenza. Allo stesso tempo s'incoraggiavano le multinazionali a costruire fabbriche, pensando che ciò avrebbe creato posti di lavoro e fornito la tecnologia, il know-how (la conoscenza della tecnica di gestione) ed il capitale mancante.
Con la ripresa dell'Europa, la politica peronista finì per entrare in crisi e, nel 1955, la borghesia conservatrice alleata con l'aristocrazia marina costringe Peròn ad una fuga ingloriosa.
Le principali economie latinoamericane decisero, allora, di passare ad un'altra fase, dal sistema di “sostituzione delle importazioni” a quello “exported oriented” (esportazioni orientate all'accumulazione esogena del capitale) che comporatava investimenti su larga scala realizzabili solo grazie al capitale straniero: tuttavia man mano che la presenza industriale cresceva, aumentava anche il debito estero.
Dopo l'aumento del prezzo del petrolio nel 1972/74, i produttori di petrolio dell'OPEC riciclarono le loro nuove ricchezze nelle banche occidentali, che a loro volta divennero ansiose di trovare degli sbocchi per i loro petrodollari.
L'America Latina si presentava come il creditore ideale: aveva, infatti, alla spalle decenni di solido sviluppo e di industrializzazione, e fu quindi inondata di crediti.
Nel 1982, però, il governo messicano annuncia di non essere in grado di ripagare il debito estero: è l'inizio della crisi del debito.
Questa decisione innescò una spirale di sfiducia nei confronti del continente latinoamericano: i creditori cominciarono a chiedere il ritorno dei loro capitali, con i relativi servizi del debito (interessi a percentuali sempre più alte).

Il ruolo di esattore dell'Occidente fu assunto dal FMI.

L'Argentina intanto usciva dalla lunga fase post-peronista e nel 1973 il vecchio leader si fece rieleggere col 62% dei voti, accontentando a parole sia la sinistra che la destra, ma appoggiando nei fatti la destra dei padroni, dell'apparato sindacale della CGT - Conferacion General del Trabajo (confederazione generale del lavoro) - e dell'esercito, rompendo definitivamente con la sinistra peronista che auspicava una patria socialista.
Nel 1974 Peròn morì e nel 1976 un colpo di stato militare, guidato dal generale Jorge Videla, tolse i poteri alla vedova di Peròn e diede inizio ad una dittatura militare che si sarebbe protratta fino al 1982 con i generali Viola e Galtieri.
La dittatura militare decise di concludere una volta e per tutte la disputa con l'opposizione “interna”: i sette anni successivi saranno tragici anni di piombo, la dittatura fece sparire più di 30.000 persone (i desaparecidos) mentre in migliaia presero la via dell'esilio.

Furono anche gli anni in cui le IFI (Istituzioni Finanziarie Internazionali) trovano un terreno di facile intervento proprio in Argentina, l'opportunità era troppo ghiotta per essere ignorata: un paese come cavia, un immenso laboratorio capace di mettere alla prova, in condizioni di assoluto controllo sociale, il progetto economico neoliberista.
Qui nasceva il modello del FMI, lo stesso che con qualche maquillage viene oggi proposto come ricetta mondiale contro i mali della povertà e del sottosviluppo.

Il Fondo Monetario Internazionale è un'agenzia specializzata dell'ONU, fondata nel luglio 1944 a Bretton Woods, per promuovere la stabilità monetaria e lo sviluppo economico nel mondo. Oggi rivolge la sua attenzione soprattutto ai paesi sottosviluppati e concede prestiti subordinati ai PAS (Piani di Aggiustamento Strutturale) che sono indicazioni sull'indirizzo politico-economico che i paesi devono rispettare come garanzia per il pagamento del debito.
Il Piano di Aggiustamento Strutturale consta di due fasi: la prima concerne la stabilizzazione economica a breve, la seconda riguarda il complesso di riforme strutturali considerate necessarie.
Il primo passo è la svalutazione della moneta, la cui prima e diretta conseguenza è la forte compressione degli stipendi reali e del valore del costo del lavoro. Questo, insieme ad un riallineamento dei prezzi interni ai livelli comuni del mercato mondiale, alla liberalizzazione del mercato del lavoro e alla graduale eliminazione della legislazione sul salario minimo, comporta dei grossissimi oneri in termini sociali: riallineare i prezzi a quelli del mercato mondiale e comprimere, contemporaneamente, il valore reale dei salari significa alzare i prezzi interni e abbassare il potere d'acquisto.
Questo fenomeno, in ultima analisi, inibisce la produzione, che non trova sbocchi, e comporta ulteriori aumenti della disoccupazione dovuti alla chiusura delle fabbriche.
La seconda fase prevede l'attuazione di riforme strutturali ritenute "necessarie", il cui pacchetto comprende la liberalizzazione degli scambi commerciali, la deregolamentazione del settore bancario, la privatizzazione delle imprese statali, la riforma fiscale.
Tuttavia è accaduto spesso che tale processo abbia indebolito il recupero economico e la capacità dei paesi di ripagare il proprio debito estero.

Il modello di sviluppo della dittatura argentina decise di aprire il mercato ai prodotti importati e la prevedibile conseguenza fu la distruzione di ogni attività produttiva che non riuscisse a concorrere con i prezzi internazionali del proprio settore; tale situazione innescò il cosiddetto effetto domino: le fabbriche chiuse alimentarono la disoccupazione che continuava a provocare un calo dei consumi, una diminuzione della produzione e di conseguenza meno posti di lavoro.
A ciò va aggiunta la svendita del patrimonio dello Stato: molte banche e interi settori dell'economia furono acquistati per pochi spiccioli dagli imprenditori locali e rivenduti poi sul mercato internazionale per grossissime cifre; alla fine, le principali attività dello Stato erano consegnate ai privati.
Nel 1983, intanto, l'esercito riconsegnò il potere in mano civile, ma l'Argentina di Raùl Alfonsìn non era più la stessa: traumatizzata dalla repressione, aveva subito e continuò a subire i colpi del liberalismo economico e finanziario, attraverso lo smantellamento dello Stato e l'apertura al mercato internazionale.
Insomma il ritorno alla democrazia non cambiò nulla nel predominio del capitale sul lavoro, poichè le speculazioni finanziarie sono più redditizie delle produzioni agroalimentari e industriali, soprattutto se i profitti sono investiti all'estero.
Nel 1989 venne eletto presidente il peronista Carlos Menem, il quale convertì il programma del suo partito, di tradizione statalista, e si piegò ai dettami del FMI con un'incredibile serie di privatizzazioni, sotto l'egida del Ministro delle Finanze, Domingo F. Cavallo, convinto assortore delle politiche del Fondo Monetario Internazionale.
A differenza della maggior parte dei paesi dell'America Latina, l'Argentina, durante la metà degli anni settanta ed anche durante gli anni ottanta, era una nazione industrializzata con una forza lavoro altamente specializzata e pagata relativamente meglio rispetto al resto del continente con un sistema di protezione sociale per i lavoratori sindacalizzati paragonabile a quello europeo, inoltre in Argentina esisteva un consistente mercato interno.
La rapida ed estesa liberalizzazione dell'economia sotto i governi di Menem ha avuto un disastroso effetto in questa nazione fortemente industrializzata: l'industria argentina è stata messa sotto pressione da parte delle importazioni più a buon mercato provenienti dalle aree a basso salario (Asia) e dalla produzione euro-americana a larga scala, ad elevata tecnologia e fortemente sovvenzionata.
La ricetta di Domingo F. Cavallo: la qualità della moneta

“Il denaro è importante”, ma “ciò che è realmente importante è la qualità del denaro”.

Così D. F. Cavallo, ministro delle finanza del governo Menem (1990 - 1995), già presidente della Banca Centrale Argentina fino al 1982 durante la dittatura militare, concludeva nel 1999 un suo articolo su Politica Internazionale.
Ed è proprio da questo che bisogna partire per potere capire cosa, in Argentina, è accaduto: perchè il paese del “miracolo economico”, uno dei paesi più ricchi dell'America Latina, il maggior produttore mondiale di cibo, oggi si trova ad affrontare una situazione di default economico?

Il punto di partenza della teoria di Cavallo (che poi ben si sposa con la disciplina e le imposizioni del FMI) è l'analisi da lui condotta circa quel fenomeno che alla metà degli anni settanta fece la sua comparsa nel mondo occidentale, la “stagflazione”, ossia la combinazione del ristagno economico con l'inflazione.
Le politiche monetarie di stabilizzazione si basavano su una drastica riduzione del ritmo di crescita dell'offerta monetaria, ma producevano inizialmente effetti stagflazionari.
Cavallo ritiene che, sebbene la drastica riduzione della crescita dell'offerta monetaria metta in moto delle forze stabilizzatrici sul fronte della domanda di beni e servizi, produce allo stesso tempo un forte aumento del costo del capitale, provocato dall'aumento dei tassi d'interesse che segue la contrazione monetaria.
Il risultato è una forte caduta dell'attività economica (sia a causa della contrazione della domanda che di quella dell'offerta) con un effetto differenziato a seconda delle situazione per quanto riguarda il livello dei prezzi.
Tale fenomeno stagflazionario, nota Cavallo, si produceva solo nelle economie chiuse al movimento di capitale, e infatti dalla fine degli anni settanta e durante gli anni ottanta molte economie hanno cominciato a rimuovere le restrizioni a tali movimenti.
A partire da questo momento, il controllo quantitativo del denaro si è trasformato nella prescrizione per la lotta all'inflazione e per la conquista della stabilità del livello generale dei prezzi.
Tuttavia i costi sociali elevatissimi sono il risvolto della medaglia di tali politiche monetarie di stabilizzazione.
I risultati nelle varie aree del mondo in realtà sono vari e variopinti: USA, Germania, Canada, Panama e  Argentina, ad esempio, hanno conquistato stabilità economica; al contrario in Cile, in Israele, in Colombia, in Bolivia, in Polonia non si è riusciti a creare una situazione di stabilità permanente del livello generale dei prezzi.

Quali le cause pricipali di queste ed altre differenze di risultato, data l'applicazione di una stessa politica monetaria?

Secondo Cavallo la chiave di volta sta in un aspetto istituzionale: in breve, chi ha avuto successo, è riuscito a far funzionare una moneta di qualità, cioè una moneta che è riuscita a rimuovere le aspettative d'inflazione sul lungo periodo e ha permesso alle proprie economie di mantenere una relazione commerciale e finanziaria efficace con l'economia globale, in sintesi si tratta di una moneta affidabile nella misura in cui riesce a garantire gli agenti economici rilevanti per la concretezza delle sue transazioni commerciali e finanziarie.
In conclusione Cavallo afferma: “...nelle economie nazionali, così come nell'economia globale, raggiungere la stabilità del livello dei prezzi non ha tanto a che fare con la quantità, ma piùttosto con la qualità del denaro”.

Quando in un'economia nazionale la politica monetaria è usata con un certo grado di discrezionalità, tali da scatenare divergenze tra i risultati a breve termine e quelli a medio e lungo termine sui tassi d'interesse e sulla competitività esterna, si deve concludere che quell'economia non può più fare affidamento su una moneta di alta qualità.

Quando si giunge a tale conclusione, la preoccupazione fondamentale diventa quella di come recuperare la credibilità della moneta.

Secondo Cavallo, bisogna approfittare dell'esistenza di altre monete di alta qualità e rinunciare ad una propria politica monetaria indipendente per seguire quella del paese della moneta che si utilizza come sostegno, il tutto al fine di recuperare fiducia nella propria moneta: soltanto quando gli agenti economici torneranno ad evere fiducia nella moneta (recupero di qualità), le prescrizioni monetaristiche diventeranno rilevanti, poichè l'economia avrà recuperato la possibilità di attuare una politica economica indipendente.
Fondamentale, nella teoria di Cavallo, è il ruolo delle Casse di conversione: a differenza della Banca Centrale, che è un'istituzione che crea e amministra una moneta fiduciaria ed ha la capacità di attuare una politica monetaria indipendente, la Cassa di conversione ha come obiettivo quello di assicurare la convertibilità di una moneta con un'altra, considerata moneta di sostegno.
Ora, proprio per la sua peculiarità di dipendenza dalla politica monetaria del paese da cui si prende la moneta di sostegno, e quindi proprio grazie alla rinuncia d'indipendenza nelle scelte di politica economica, la moneta in difficoltà riacquisterebbe la qualità necessaria per attirare e dare fiducia agli agenti economici.
Ciò a dire che la semplice fissazione del tipo di cambio di una moneta non convertibile (ossia senza piena convertibilità e quindi senza una cassa di conversione), non contribuisce a migliorare la qualità della moneta.
Lo stesso non accade quando la fissazione del tipo di cambio è accompagnata da una Cassa di conversione e l'economia funziona in pratica con due monete.

Piena convertibilità e carattere bimonetario dell'economia (e quindi conseguente perdita di indipendenza) sono i caratteri necessari che permettono ad una moneta locale di recuperare la qualità.

Il peso è forte, ma non ci sono più pesos.

Ciò che Cavallo non riuscì o non volle proprio capire fu che quando un modello di sviluppo considera che il problema più importante è la quadratura del bilancio il rischio è quello di generare una politica disumana e che, in fondo, non si può chiedere ad un modello volto alla concentrazione della ricchezza che riequilibri la distribuzione.

L'allineamento del peso sul dollaro è stato possile solo al prezzo di una fortissima regressione sociale, ovvero solo al prezzo di una suddivisione sempre più diseguale dei guadagni della produttività.
Una tale suddivisione ineguale, inoltre, scoraggia l'investimento, a causa della staticità del mercato interno, e spinge le classi dirigenti verso la rendita finanziaria.

Comunque sia, il superministro argentino promulgò, nel marzo 1991, la ley de convertibilidad, che ancorava il peso al dollaro avviando il progetto economico di Cavallo che sarebbe dovuto culminare, se prima non fosse intervenuta la crisi e quindi la rivolta popolare, nello sganciamento del peso dalla parità con il dollaro e nell'allineamento ad una media tra dollaro ed euro, una volta che la parità tra le due monete avesse raggiunto un livello stabile.
Le riforme economiche in Argentina hanno svolto un ruolo chiave nel consentire una crescita rapida con un'inflazione quasi pari a zero, grazie soprattutto al carattere bimonetario dell'economia: si procedeva alla deregulation bancaria e di vari altri settori, trasferendo ai privati la responsabilità di investire e produrre beni e servizi e intanto “convincendo” gli argentini sulla qualità del peso, dato l'ancoraggio al dollaro.
Dal punto di vista politico, tra il 1993 e il 1995 Cavallo propose e fece accettare in seno al Congresso una serie di riforme “necessarie”, soprattutto inerenti la legislazione del lavoro, quali l'adozione di contratti speciali a termine e la concessione di sgravi fiscali sul costo del lavoro.
Ciò fu possibile anche grazie alla maggior disponibilità di Menem e del suo entourage, incoraggiati dall'incremento degli investimenti esteri.
Il cambiamento avvenuto in seno alla formazione del secondo governo Menem dimostra come tali riforme abbiano cominciato a far traballare l'instabile sistema: sotto pressioni sindacali, pur sempre elettorato peronista, Menem e Gonzales, neo-ministro del Lavoro, fecero approvare una riforma del mercato del lavoro che eliminava le riforme del 1993-95, palesando, a quanti non se ne fossero già accorti, il carattere populista della sua politica.
Ma era troppo tardi e ben presto infatti il sistema cominciò a vacillare: si iniziò a licenziare selvaggiamente, i mercati locali si contrassero, i capitali cominciarono a lasciare il paese.
La prontezza con cui gli investitori esteri e l'alta borghesia interna ritirarono i capitali investiti in Argentina la dice lunga sulla prevedibilità di una crisi del genere.
Le IFI, intanto, continuavano ad imporre forti privatizzazioni, preparate con cura attraverso forti tagli all'occupazione e con conseguenti riduzioni di servizi e trasporti.
Nella determinazione della crisi, dunque, ha giocato uno ruolo molto importante la struttura dell'apparato statale, corrotto, clientelare, repressivo, populista.
Cruciale altresì fu il comportamento dell'alta borghesia argentina: fortemente legata a Menem, essa fu la prima beneficiaria del processo di privatizzazione e dei prestiti esteri, essendo il principale punto di riferimento del regime menemista nello sviluppo del programma liberista. L'alta borghesia argentina fu l'intermediario ideale tra lo Stato e il capitale estero nella compravendita di banche, servizi e apparato industriale.
Ma quello che si stava verificando era solo l'inizio di ciò che, sotto il governo di de la Rua (1999-2001), si sarebbe da lì a poco concluso con le rivolte di piazza e la caduta del governo, di cui le elezioni politiche di mezzo termine per il rinnovo delle camere, in un paese dove il voto è obbligatorio, ne erano solo un'avvisaglia: il 40% dei voti in bianco o nulli.
Il default era vicinissimo e nel novembre del 2001 il governo, non potendo pagare il suo debito estero, decideva la riduzione del 13% delle pensioni e degli stipendi degli impigati statali e l'introduzione del corralito, ovvero il sequestro dei depositi bancari in dollari, ossia circa il 96% dei depositi.

La rivolta è scoppiata il 19 e il 20 dicembre 2001 lasciando sul campo oltre 30 morti (*).

La piazza chiedeva le dimissioni del presidente Fernando de la Rua e di Cavallo (chiamato ad amministrare le finanze dopo le dimissioni di Ma chinea, nel marzo del 2001), elezioni subito e la formazione di un nuovo governo senza i vecchi politici, ma soprattutto non era disposta ad abbandonare la piazza.

Dopo il fallimento di Adolfo Rodrìguez Saà, il peronismo ripronse una di quelle figure tanto contestate dalla piazza, Eduardo Duhalde.

Le piazza non si è svuotata, anzi la rivolta si è generalizzata: disoccupati, operai, sottoccupati, precari, ceto medio (che scopre, per la prima volta sulla propria pelle, l'insicurezza e instabilità che il sistema neoliberista provoca), pensionati, statali, tutti hanno un nemico comune, il FMI e i suoi agenti, quali Cavallo e chi prima o per lui.

Come diceva un manifestante qualunque di un corteo qualunque di quei giorni: “ringraziamo gli organismi internazionali, ma vorremmo che la smettessero di aiutarci”.

Oltre 200 fabbriche oggi sono occupate e portano avanti la produzione, bajo control obrero, sotto controllo operaio, dimostrando con i fatti che l'aiuto del FMI non solo non è gradito ma non è necessario.

...que se vayan todos...

(*) Alberto Maquez, 57; Diego Lamagna; Marcello Riva; Victor Enrique, 21; Roberto Gramajo, 19; Julio Flores, 15; Damian Ramirez, 14; Ariel Maximillian Salas, 30; Gustavo Benedetto, 23; Gaston Rivas, 30; Diego Rancagua, 26; Carlos “Petete” Almiròn, 23; Pablo Marcelo Guias, 23; Rominal Turain, 15; Rosa Paniagua, 13; Claudio Lepretti, 38; Graciela Acosta, 35; Juan Alberto Delgado, 28; Yanina Garcia, 18; Ruben Pereira, 20, e altri non pervenuti da tutta l'Argentina.



bibliografia

Antonio Tognonato – Il Fallimento del modello di sviluppo del FMI.
Il costo umano della crisi.

Domingo F. Cavallo – Qualità della monetà e istituzioni finanziarie,
in Politica Internazionale, n° 1/2 (gen-/apr.) 1999

Alessia Ambrosio – L’economia argentina fra crisi e sviluppo

Michel Chossudowsky – La globalizzazione delle povertà

Pierre Kalfon – Buonos Aires, paradiso perduto
in Le monde diplomatique – Il Manifesto, febbraio 2002

Michel Husson – Quel mortale fascino del dollaro
in Le monde diplomatique – Il Manifesto, febbraio 2002

Eric Toussaint – Il debito, un nodo da sciogliere
in Le monde diplomatique – Il Manifesto, febbraio 2002

Materiale autoprodotto – L’Argentina è il mondo
in http://argentina.indymedia.org e http://italy.indymedia.org



Si ringrazia per la collaborazione

il prof. Angelo Trento, Mirko, Endriu e ...non votare (già sai...)







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