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Il 16 aprile 2002 13 milioni di lavoratori sono entrati in sciopero generale: 8 ore in cui la classe lavoratrice si è fermata contro la precarizzazione del lavoro e contro l’abolizione dell’articolo 18.

Il 16 aprile 2002 questi lavoratori hanno detto un secco NO all’abolizione di diritti conquistati in anni di lotte, sono scesi in piazza contro le politiche neoliberiste, affamatrici e personalistiche del governo Berlusconi.

Ma in fondo Berlusconi si è trovato un lavoro già (ben) avviato: dagli accordi del Luglio 1993, passando per il pacchetto Treu, i governi di centro-sinistra hanno inaugurato e portato avanti l’attacco contro i lavoratori, coinvolgendo infine tutto il precariato in generale: lavoratori (tutelati e precari), disoccupati, studenti, pensionati, immigrati.

In un misto di concertazione e accordi separati, anche la CGIL ha contribuito, in quanto sindacato maggiormente rappresentativo, alla costante riduzione dell’insieme dei diritti dell’intera classe lavoratrice.
 
I lavoratori si trovano a difendere diritti che erano fino a qualche anno fa inalienabili e dai quali si poteva partire per rilanciare in avanti la lotta al fine di acquisirne di nuovi; la politica della CGIL è, invece, in linea con tale ridimensionamento, arroccata su posizioni di difesa di taluni baluardi essenziali, abbandonando rivendicazioni fondamentali per l’intero proletariato.
SI:
alla generalizzazione dello sciopero in difesa dei lavoratori.
all’estensione dell’articolo 18 a tutti i lavoratori, stanziali o migranti, di piccole o grandi imprese.
alla ridiscussione di tutti i diritti persi in 10 anni di politica concertativa.
ad una piena democrazia sindacale, ostacolata da sempre dai confederali.
NO:
a qualsiasi abolizione seppur parziale dello Statuto dei Lavoratori.
alla trasformazione di un sindacato conflittuale in un ente al servizio del governo.
al lavoro interinale, cioè alla legalizzazione del caporalato.
alla legge Bossi-Fini, per una totale parità fra lavoratori stanziali e migranti.









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