Consideriamo
incompleta una storia che si è costituita sulle tracce
non deperibili.
Carla Lonzi
In Toscana operano diversi archivi e centri
di documentazione sulla storia sociale: oltre alla Biblioteca
Franco Serantini di Pisa, il Centro di documentazione di
Pistoia, il Centro di documentazione di Lucca, l'Archivio
"Il Sessantotto" di Firenze, l'Istituto "Ernesto
De Martino" di Sesto Fiorentino, l'Archivio "Germinal"
di Carrara. Oltre a un ruolo conservativo - divulgativo
di materiali di movimento direttamente inerenti al circuito
bibliotecario tipico, come i libri e le riviste, questi
centri si distinguono per essere un punto di riferimento
anche per quanto riguarda anche altri generi di materiali:
le donazioni di organizzazioni, associazioni, ma soprattutto
di privati che, più o meno direttamente coinvolti,
per periodi di tempo più o meno lunghi, hanno intrecciato
una parte della loro esistenza con i destini del movimento
degli anni Sessanta e Settanta: video, nastri sonori, manoscritti,
volantini, manifesti, striscioni, stendardi, cimeli, bollettini,
preziosi numeri unici di pubblicazioni dalla serialità
appena accennata: materiale considerato effimero, di rapida
e immediata comunicazione, ma di fondamentale utilità
per ricostruire la storia di un movimento che proprio su
questi media basava la sua capacità di diffusione
delle idee, e quindi la sua stessa ragione d'essere.
In generale, cartelle, faldoni, scatole, valige piene di
polverosi documenti (soprattutto volantini, numeri unici,
bollettini e manifesti), spesso abbandonati in solai e sottoscala,
a volte degradati dalle difficili condizioni di conservazione,
provengono all'archivio in gran parte non ordinate, e spesso
i documenti personali si trovano tra quelli provenienti
dagli archivi delle organizzazioni in cui il donatore aveva
militato.
Ma in quali circostanze e da quali soggetti viene messa
in moto la catena della memoria riguardante queste particolarissime
fonti? L'evento più ricorrente è la scelta,
la raccolta messa in atto direttamente dai militanti dei
movimenti, che le conservano per più o meno brevi
periodi per poi donarle ai centri di documentazione. E'
difficile che il movimento metta in atto pratiche organizzate
di trasmissione della propria memoria, cosa che invece avviene
per mano dei singoli militanti. Agisce cioè a questo
livello un criterio di soggettività della scelta,
della selezione: è il criterio del singolo, non dell'organizzazione,
che tiene insieme la raccolta. Il più delle volte
siamo allora di fronte a quelli che il gergo specializzato
definisce "archivi impropri", i quali hanno una
loro tipologia dalle caratteristiche specifiche. Il materiale
più comune è costituito da ciclostilati: volantini,
"documenti", bollettini con criterio di periodicità
spesso disatteso, opuscoli (piccoli libri che articolavano
in maniera più ampia ma comunque accessibile le idee
dei gruppi o dei singoli più in vista). Ma spesso
ci sono anche appunti e manoscritti di riunioni e assemblee,
manifesti, giornali murali, tadze-bao, fotografie e cassette
audio con registrazione di assemblee, rara corrispondenza
personale.
Non sembra superfluo allora a questo punto sottolineare
l'estrema importanza, nella problematica di un movimento
non solo politico, ma che ha attraversato e rivoluzionato
aspetti del costume, della vita quotidiana, del "personale",
anche delle fonti non strettamente politiche come diari,
lettere, biglietti di concerti, di mostre, di viaggi, che
purtroppo non sono conservati allo stesso livello dei documenti
"politici": testimonianze rare di un privato che
più spesso, a differenza della comunicazione pubblico
- politica, era affidato all'oralità.
Quando arriva all'archivio, questo materiale grezzo ha
già avuto una minima classificazione per mano del
donatore: il più delle volte si presenta infatti
diviso sommariamente per anno. Questo livello minimo di
classificazione è quello che viene mantenuto dal
bibliotecario in quello che è il suo primo approccio
al materiale, comprendente anche un lavoro sommario di pulizia
generale dalla polvere, dalle muffe e da altre testimonianze
poco amene dello scorrere del tempo.
Con
questo progetto di catalogazione e di digitalizzazione per
la prima volta si cerca di sperimentare e portare a conoscenza
dei metodi, una volta superata questa fase di prima collocazione
nell'archivio, che indichino una via, per ora necessariamente
parziale, di intervento per la valorizzazione di questi
particolarissimi e preziosissimi materiali. Valorizzazione
che si svolge lungo le direttrici principali della conservazione
e della diffusione.
Innanzitutto la conservazione: non dimentichiamo che questo
tipo di materiale d'archivio è costituito per gran
parte da carte assai deteriorabili; già ora, per
esempio, molti volantini sono difficili da leggere, a causa
del deperimento dell'inchiostro da ciclostile.
La digitalizzazione, in mancanza della possibilità
di un intervento più diretto sul supporto materiale,
rappresenta ad oggi l'unico mezzo che riesca a conservare
questi materiali in maniera definitiva, seppure in copia
virtuale, dall'inevitabile decadenza dovuta allo scorrere
del tempo.
Valorizzare questo materiale significa inoltre, in una
accezione più vasta, renderlo direttamente fruibile
a una più vasta cerchia di persone: gli studenti,
gli interessati, i curiosi, chiunque, specialmente in questa
stagione di rilancio dei movimenti, voglia guardare agli
anni della contestazione con un occhio nuovo, non mediato.
È sicuramente necessario, per quanto riguarda la
problematica della diffusione, porre le condizioni per una
reale possibilità di accesso a queste fonti, il che
significa in primo luogo avviare un lavoro serio e strategico
di catalogazione. Ma ciò non basta: l'impatto iconico
del manifesto, l'immediatezza espressiva, anche di concetti
spesso difficili, propria della forma - volantino, mantengono
intatta la loro spontaneità comunicativa anche oggi,
a decenni di distanza, al punto che sarebbe un peccato lasciare
questo materiale ancora oggi così vivo solo agli
studiosi di professione, che poi magari rendono la loro
versione sotto altre forme (l'articolo, il saggio), questa
sì indiscutibilmente "mediata", con la
perdita di tutte le caratteristiche di freschezza e di spontaneità,
di comunicatività in un certo modo primigenia del
reperto originario. E questo perché è solo
partendo dalle fonti di base che si può tentare un'ipotesi
storiografica ancora più avanzata: raccontare il
movimento dal punto di vista del movimento.
Ciò significa allora mettere in atto mezzi che divulghino
l'esistenza e nello stesso tempo l'importanza di questi
materiali proprio in quanto fonti di prima mano, testimonianze
originarie: significa divulgare l'opportunità di
un modo diverso di avvicinarsi alla storia contemporanea
e alla storia in generale, di avere, quando ciò è
possibile, un approccio diretto, senza intermediazioni culturali
alle fonti primarie: opportunità che oggi solo l'uso
del digitale e della rete ha ampliato in maniera esponenziale. |