Lettera
alla stampa:
Chiedete al contadino che ne pensa
delle lumache
Gentile redazione,
in queste settimane è giunta voce delle
polemiche che hanno attraversato l’Italia,
e che in parte sono state riprese dai giornali,
in seguito alle dichiarazioni coraggiose e condivisibili
del Governatore di Slow Food Carlo Casti.
Il Governatore in occasione de “La Terra
Trema - Vini e vignaioli autentici, agricolture
periurbane, gastronomie autonome” al Leoncavallo
(iniziativa organizzata dal Folletto di Abbiategrasso
insieme a centinaia di vignaioli e agricoltori
da tutta Italia) ha fatto delle forti dichiarazioni
ma buone, pulite e giuste riguardo all’incoerenza
di Slow Food e soprattutto di Città Slow
(“alcune città slow sono assolutamente
invivibili, per niente slow…”).
Per quel che ci riguarda non abbiamo trovato sorprendenti
le dichiarazioni di Casti e, anche se le riteniamo
veritiere, non crediamo abbiano colpito più di
tanto la platea dei tre giorni al Leoncavallo.
Altri sono stati i contenuti e le parole che hanno
sorpreso e emozionato chi ha attraversato “La
Terra Trema”.
Questi cinque anni di lavoro, relazioni e progettualità hanno
fatto crescere un’idea critica riguardo l’agricoltura,
ma soprattutto hanno dato sostanza politica e sociale
a parole come territorio, enogastronomia, filiera,
cucina, coltura e cultura. La Terra Trema sta rilevando
una carica “eversiva” rispetto al modo
e al mondo in cui viviamo. Rispetto a come si consuma,
produce e distribuisce.
La Terra Trema è uno strumento in più per
le battaglie che si dovranno affrontare in Italia.
Come, ad esempio, nell’abbiatense, a sud
ovest di Milano metropoli, dove è diventato
fondamentale tenere vivo il territorio per impedirne
la devastazione.
Le decine di agricoltori del Parco Agricolo Sud
e del Parco del Ticino insieme alle centinaia di
uomini e donne del nostro territorio che hanno
attraversato il Leoncavallo a fine novembre, possono
e devono difendere il luogo in cui vivono, possono
e devono immaginare e costruire nuove forme di
società e di economia. Si possono sperimentare
progetti concreti, lo si sta già facendo.
Ciò che ci preoccupa del discorso sul vivere
Slow è altro, non certo le dichiarazioni
dello sfortunato Signor Casti.
Ci preoccupano le scelte intraprese dalle istituzioni,
dai comuni come Milano e Abbiategrasso, da Provincia,
Regione, Parco Agricolo Sud e Parco del Ticino,
scelte che cadono dall’alto in nome di uno
sviluppo che già sulla carta ci impoverisce,
che è svilente e aggressivo, che protegge
il bene di pochi a scapito di patrimoni (economici,
culturali, sociali, ambientali,agricoli,gastronomici)
comuni.
Ci preoccupa che sia questa condiscendenza supina
tra sistema politico ed economie private il principale
responsabile del degrado ambientale del territorio
tutto (la T/terra trema). Che siano politiche fameliche
a divorare le risorse ambientali, umane e territoriali.
Ci preoccupa la scelta di Slow Food e Legambiente
di appoggiare Expo2015 (evento facilmente eleggibile
a simbolo delle speculazioni di cemento e bugie).
Ci preoccupano le scelte dell’Assessore all’Agricoltura
e Ambiente della Provincia di Milano e Presidente
del Parco Agricolo Sud Milano di concedere al cemento
troppi metri quadri di Parco Sud, avviando di fatto
la svendita dei terreni agricoli, del lavoro a
questo territorio legato, e il via libera ad un
cambiamento radicale e difficilmente reversibile.
Ci preoccupa che la Presidentessa del Parco del
Ticino nulla dica a riguardo della superstrada
che devasterà di fatto il territorio abbiatense.
Ci preoccupa che il comune di Abbiategrasso voglia
presto superstrada e inceneritore (a tal riguardo
condividiamo le dichiarazioni del buon Casti che
dice che una città che vuole l’inceneritore
e la tangenziale non può essere slow). Ci
preoccupano la Provincia di Milano e la Regione
Lombardia perchè vogliono più inceneritori,
strade, alberghi, palazzi e soldi per l’Expo2015.
Ci preoccupano i professionisti che arrivano da
lontano per parlarci di economie solidali, quando
dietro le facciate etiche spesso si annidano delle
grosse bufale. Ci preoccupano gli agricoltori,
tirati per le giacchette da tutti questi bei personaggi
con promesse di futuri di vacche grasse e chiamati
a partecipare ad iniziative teatrali a “tutela” dell’agricoltura
e del territorio con il fior fiore delle istituzioni
appena elencate. Tutto questo lo troviamo grottesco
e controproducente.
Siamo molto preoccupati, ma poco rassegnati.
Uniti, lucidi e incazzati andiamo avanti.
Cibo e vino buono non ci mancano.
Folletto25603, La Terra Trema
www.laterratrema.org
-
17/dic/oo8
Non
sparate sui nostri sogni. Lettera degli amici di
Alexi
Non
sparate sui nostri sogni.
Siamo i vostri figli! I noti sconosciuti!
Vogliamo un mondo migliore!
Aiutateci. Non siamo terroristi, “incappucciati”, “i
soliti ignoti”.
Sogniamo, non uccidete i nostri sogni. Abbiamo
l’entusiasmo, non uccidete il nostro entusiamo.
Ricordatevi! Siete stati giovani anche voi.
Adesso inseguite il denaro, vi interessate solo
delle “vetrine”, siete ingrassati,
avete perso i capelli, avete dimenticato!
Aspettavamo il vostro sostegno
Aspettavamo il vostro interesse per farci sentire
orgogliosi di voi.
Invano!
Vivete una vita falsa, avete chinato la testa,
vi siete piegati e aspettate il giorno in cui morirete.
Non immaginate, non vi innamorate, non create.
Solo vendete e comprate.
Cose e oggetti dappertutto.
Amore da nessuna parte, verità da nessuna
parte.
Dove sono i genitori?
Dove sono gli artisti?
Perchè non vengono fuori a proteggerci?
Ci uccidono!
Aiutateci
Ps: non tirateci altri lacrimogeni, stiamo già piangendo
-
28-30/nov/oo8
-
30/ott/oo8
"DOBBIAMO
VINCERE" di
Militant A
Dobbiamo
vincere. Questo è il pensiero
che dai primi di settembre contagia l’Italia
come una febbre collettiva. Dobbiamo bloccare i
decreti 133 e 137. Molti capiscono che sono leggi
dannose per la scuola e l’università pubblica,
ma chi è dentro questo mondo già percepisce
la violenza che si sta abbattendo sulle nuove generazioni:
dai neonati ai ricercatori universitari, tutto
il ciclo del sapere e della formazione pubblica è sotto
tiro. Ci stanno rapinando il futuro. E’ un
affondo troppo grave per passare liscio e tutte
le forze devono essere mobilitate e crescere ancora
di intensità e qualità. Mamme preoccupatevi,
studenti sollevatevi, cittadini che non volete
la dittatura combattete in mille forme diverse.
Possiamo farcela e in parte stiamo già portando
a casa dei successi. Anche se il decreto ha incassato
il voto della camera e del senato, tutto è in
ri-discussione e la resistenza ha sabotato i sogni
di Tremonti. Questo movimento nato in modo spontaneo
e auto organizzato e cresciuto grazie al tam tam
e ai mille contatti di cui si è dotato non è solo
potente: è emozionante! Pensare che migliaia
di bambini dalla culla ai 10 anni stanno lottando
con i loro genitori e le loro maestre e con tutti
gli studenti e i loro professori, e che metà dell’intero
paese condivida la lotta è un fatto epocale
che commuove per il carico di speranze che porta
con sé. I partiti, grandi o piccoli che
siano, come anche i sindacati sono stati lentissimi
a capire cosa stava accadendo e hanno reagito tardi,
rigidi, hanno atteso appuntamenti lontani e sono
stati anche loro sommersi dall’onda anomala.
La base ha surclassato tutti i vertici. Le facce
pallide e sperdute dei senatori PD davanti a Palazzo
Madama assediato resteranno nella storia, come
anche il silenzio dei vertici della CGIL che hanno
atteso un mese(!) per indire lo sciopero generale
e lo hanno fatto solo perché la loro base
guardava sgomenta all’inazione e spaventati
dallo sciopero dei cobas del 17 ottobre. Se ci
fosse stata una loro seria reazione già dai
primi di settembre chissà… ma la
battaglia è lunga e il declino culturale
prima ancora che politico di Berlusconi sembra
iniziato grazie a una sollevazione di massa che è venuta
tutta dal basso.
PIU’ TEMPO PIENO (MA “PIENO” DI
CHE?)
Per
entrare nel merito della questione. Il decreto
133 e 137 sulle materne e le elementari (che
mi investe da vicino e che conosco meglio) è un
attacco devastante. Tremonti ha deciso che la crisi
e i debiti elettorali vanno messi in conto per
prima cosa alla scuola primaria: 8 miliardi di
tagli in tre anni! Blocco del turn over e chiusura
di migliaia di scuole dei piccoli comuni. Questo
vuol dire che 87.000 maestre e maestri nei prossimi
tre anni andranno in pensione e non saranno sostituiti
(e 44.000 personale ATA, segretari, bidelli e personale
non docente). Nel 2012, quindi, nelle materne e
nelle elementari pubbliche italiane ci saranno
87.000 maestre e maestri in meno! Una strage. Ma,
ancora più grave del danno sull’occupazione,
questa strage mina alla base i modelli organizzati
della scuola primaria, impoverendo il luogo dove
i nostri figli trascorrono 8 ore al giorno e compromettendo
la scuola pubblica per i prossimi dieci anni almeno.
Niente più moduli, né tempo pieno
come lo abbiamo conosciuto finora. Fine dell’era
del “team”. In più, migliaia
di scuole di piccoli paesi saranno accorpate (260
scuole chiuse nel Lazio, 520 in Sicilia, …..)
con evidenti ricadute nella dispersione scolastica.
Per nascondere questi tagli Berlusconi e la Gelmini
hanno cercato di farci credere che stavano facendo
una riforma: con la favola dei grembiulini, del
voto in condotta e del “maestro unico”.
Tutte cazzate. Con il tempo si è svelato
che non si trattava di una riforma, ma di una truffa!
Quando la Gelmini ha presentato il suo decreto
a “Buona domenica” su canale 5 chi
c’era a sostenerla? Il segretario dell’associazione “Scuole
private cattoliche”… chissà perché?
Il fatto è che la scuola pubblica primaria
in Italia è di eccellenza. Esistono 3 modelli:
a 24, 30 e 40 ore. Quando si parla di tempo pieno
si intende il modello (maggiormente sotto attacco)
delle 40 ore. E questo modello dobbiamo tutti sostenere
e promuovere come vera riforma della scuola di
domani. I bambini entrano a scuola alle 08.30 e
ne escono alle 16.30, dal lunedì al venerdì.
Durante queste otto ore sono seguiti da due maestre
che si alternano 4 ore ciascuna. Sono otto ore
che hanno la stessa qualità dalla prima
all’ultima ora, dall’ingresso all’uscita,
passando per il momento del pranzo (fatto in comune
e importante per una corretta alimentazione). Sono
otto ore tutte di serie A. I bambini imparano soprattutto
a stare insieme e relazionarsi con i propri simili
(di qualsiasi nazione siano). Il modello si basa
sull’idea che i bambini da 1 a 10 anni imparano
stando a scuola tanto tempo e che tutti ci debbano
andare. Che per avere più conoscenza ci
vogliono più ore, che per avere conoscenza
bisogna stare con gli altri e vicino alla cultura.
In questo modello (di massima) i compiti si danno
solo il venerdì perché studiare non
deve essere noioso, ma deve essere fatto in modo
concreto e in un luogo motivante.
Ora, con il decreto Gelmini, una delle due maestre
andrà via, ci sarà il “maestro
unico”, come scritto nell’articolo
4 del decreto 137 (che sottolinea anche di promuovere
il modello a 24 ore, la vera sciagura!). Questo
che vuol dire? Alcune mamme ingenue pensano che
ci sarà una sola maestra dalle 08.30 alle
16.30. Errore! Attenti mamme e papà! Una
maestra ha un contratto di 24 ore, quindi più di
4 ore di insegnamento al giorno non può fare.
E allora? Dalle 08.30 alle 12.30 ci sarà la
maestra “unica” (che nel linguaggio
di Berlusconi ora sta diventando “prevalente”,
visto lo sgomento che ha provocato la sua proposta
e la sollevazione generale senza precedenti) e
poi si vedrà. Inglese, religione, laboratori
a scelta interclasse…. A carico di chi?
Non si sa. C’è scritto senza oneri
per lo Stato, quindi a carico dell’istituto
(che diventeranno fondazione con aiuti privati
nelle regioni ricche). Quindi non un “maestro
unico”, ma un vortice di maestri che si inter
cambiano in continuazione a pagamento delle famiglie!
Insomma, quando Berlusconi dice che addirittura
aumenterà il tempo pieno, bisognerebbe rispondere: “Ma
pieno di che”? L’orario sarà diviso
in orario di serie A e orario di serie B. Fino
alle 12.30 è scuola di serie A, poi “doposcuola” di
B. Non sarà più tempo pieno di qualità come è stato
concepito per il bene dei bambini. Non è questo
un delitto crudele? E per cosa?
La filosofia che c’è dietro questa
riforma è: Troppa scuola fa male. Meno scuola
si fa, meglio è. Bambini state a casa (per
questo invogliano alle 24 ore). Per cui una mamma
dirà: “Va bene, se il dopo scuola
fa schifo a questo punto me lo porto a casa alle
12.30”. O, meglio, subito dopo, dirà ancora: “Va
bene, allora tanto vale che lo iscrivo a scuola
privata”. Capito? Questi fanno i tagli e
ci distruggono la scuola pubblica, così allo
stesso tempo procacciano clienti per la scuola
privata!
I pedagoghi che proposero il modello “tempo
pieno” partivano dalla constatazione che
(fino ai primi anni’80) in prima media venivano
bocciati troppi alunni (il 12%). L’attuale
riforma del tempo pieno e dei moduli 24 e 30 ore
ha fatto si che venisse abbassata la percentuale
dei bocciati e quindi diminuita la dispersione
scolastica.
Per questo la difesa della scuola pubblica non è (solo)
difesa dei posti di lavoro delle maestre. E’ difesa
di tutti i bambini che vivono in Italia, e soprattutto
dei ceti medio bassi e degli stranieri.
Il presidente Napolitano dice: “Non si può dire
solo no!”. Capisco l’età, ma
sveglia! A Napoli, la sua città, (e in generale
nel sud) solo il 5% dei bambini fa il tempo pieno.
Quindi il 95% dei bambini di Napoli alle 12.30
se ne torna a casa. A fare che? A guardare la tv
con i nonni o la mamma, oppure in parrocchia, o,
meglio, nei vicoli a imparare i mestieri della
strada. Non sarebbe meglio che questi bimbi stessero
a scuola fino alle 16.30?
Allora vogliamo approfittare di questo momento
di mobilitazione per lanciare una campagna di alfabetizzazione?
Portiamo il sud al 50% del tempo pieno!
Tutti i bambini e le bambine hanno diritto al tempo
pieno pubblico di qualità con due maestre!
LA
LOTTA
In
questa lotta è come andare in mare aperto.
Ogni tanto prendi il vento e parte, poi boom, scende,
poi riprende alla grande. Il nemico è forte,
certo, ma non potrà finire il lavoro e vincere
facilmente. Mi azzardo a dire, anzi, che il nemico
sta arretrando e sul tempo pieno sta cercando una
via d’uscita per non perdere la faccia. E’ in
difficoltà e perde consensi e si vede dalla
faccia tirata di Berlusconi. Ora dobbiamo lottare
sui decreti attuativi della legge. Dobbiamo fare
le barricate per difendere il tempo pieno e far
ritirare le leggi in questione. La posta in gioco è troppo
alta e coinvolge troppe persone. Se qualcuno si
ferma a prendere fiato c’è sempre
qualcun altro che raccoglie il testimone, in ogni
città, in ogni momento, c’è sempre
qualcuno che sta lottando contro i decreti Tremonti
- Gelmini. Sono due mesi che andiamo avanti ininterrottamente.
Angosciati, indignati, incazzati, ma determinatissimi.
Io ho due figlie, di cui una ha 5 anni e va a scuola
al 126° circolo didattico di Roma, l’Iqbal
Masih. Naturalmente fa il tempo pieno ed è felice
della sua classe e delle sue due maestre. E da
qui, da questa scuola alla periferia sud est di
Roma, abbiamo creato e organizzato una delle basi
della resistenza. È un circolo, il nostro,
con un gruppo di docenti e genitori attivi e il
decreto e’ stato subito accolto con un grido
di dolore e di guerra. Bisognerebbe forse scrivere
un manuale su come la lotta sia partita da poche
persone (in tutte le città) e nel giro di
due mesi sia riuscita ad arrivata a un tale livello
di fuoco (in cui non si capisce quasi più niente,
ci sono 6 cortei al giorno solo a Roma). Forse
era la rassegnazione per la batosta elettorale,
forse l’abitudine a chinare la testa, ma
quanta gente aveva detto: “Tanto non si può fare
niente”. Ora si sta ricredendo. Forse qualcosa
si può fare. Il primo livello è stato
la raccolta di firme, abbiamo fatto dei moduli
e cercato di coinvolgere i genitori e far capire
la gravità della situazione. (Molti ripetevano
quella frase di cui sopra). La raccolta di firme
serve soprattutto a chi si sente isolato, per cercare
di entrare in contatto con altre persone altrettanto
preoccupate. Noi eravamo già avvantaggiati
avendo un bel gruppetto di genitori e maestre e
abbiamo costituito un coordinamento chiamato “Non
rubateci il futuro”. All’interno del
nostro coordinamento ci siamo ritrovati chi aveva
voglia di lottare e reagire subito, nei momenti
d’oro cento (duecento?) persone, anime diverse,
dalla CGIL di base al giro dell’autogestione,
a singole mamme e papà (anche cattolici),
una sorta di fronte di liberazione. E’ stato
un momento in cui ognuno è riuscito a dare
il meglio di sé e della propria cultura,
nella massima libertà e rispetto reciproco,
senza calpestare gli altri e arricchendo tutti
e tutte.
I primi dieci giorni di settembre sono serviti
per parlare con altri circoli didattici e capire
il da fare. Lottare in una scuola elementare è difficile.
I bambini sono piccoli e hanno bisogno di attenzioni
e i genitori lavorano e sono schiacciati dagli
impegni quotidiani. Ma abbiamo deciso che bisognava
partire subito con una lotta eclatante, fin dal
primo giorno di scuola, il 15 settembre: l’occupazione
di una scuola elementare insieme ai bambini. Ci
siamo buttati nel centro della lotta al volo. Chi
doveva difendere la scuola pubblica? Noi. Dormire
a scuola con i nostri figli, tutti insieme, con
questi bimbi dai 5 ai 10 anni che hanno srotolato
i tappetini e i sacco a peli e dormito nella loro
scuola per difenderla imparando così presto
a lottare per i propri diritti è qualcosa
che ci ha dato una carica indescrivibile. E’ stata
un’occupazione anomala, alle 06.30 di mattina
ci svegliavamo per pulire tutto e far trovare la
scuola pronta per gli altri bimbi che arrivavano
per le lezioni normali. E durante le notti, la
pattuglia della polizia che passava ci chiedeva
se avevamo bisogno di qualcosa e diceva che avevamo
ragione. Erano già segnali premonitori del
consenso successivo. Abbiamo fatto assemblee, incontri
con pedagoghi e con Ascanio Celestini e anche con
politici, trasmissioni in televisione, “fioccolate” in
quartiere (manifestazioni con i “fiocchi”),
feste con lanci di palloncini, merende collettive
per orde di bimbi e bimbe. Notti bianche. Fondamentalmente
cercavamo di aggregare sempre più gente
nella lotta e sfondare nei media per spiegare l’attacco
in corso. Abbiamo fatto magliette che sono diventate
una specie di logo con la scritta “Il futuro
dei bambini non fa rima con Gelmini” e “Io
amo e difendo la mia scuola”. Io, personalmente,
ho cominciato a fare delle rime rap con i bambini
che non mi mollano più da allora e mi chiedono
sempre di fare “C’ho un’idea
disse Enea…” (in una versione riveduta
contro la Gelmini). Insomma una lotta creativa
e a misura di bambini e super determinata. Quelle
prime notti di occupazione pensavamo spesso: “Speriamo
che parte l’università, speriamo che
parte l’università…” e
quando è partita sono andato in un’assemblea
alla scalinata di lettere e davanti a duemila persone
ho raccontato questa cosa suggellando l’unione
tra i due movimenti. Noi lottiamo con voi e voi
con noi. Da quelle notti di occupazione siamo usciti
stremati ma ormai i meccanismi erano partiti. Epifani
il 21 settembre andò da Lucia Annunziata
e al programma “in mezz’ora” non
disse neanche una parola sulla scuola! E il decreto
era in vigore dal primo settembre. Erano tutti
presi dall’affare Alitalia, ma quanta distrazione
e incapacità di capire i sentimenti e gli
interessi di una base che ormai non si sente più rappresentata
da nessuno. Solo ai primi di ottobre si decisero
a convocare lo sciopero generale (fuori tempo massimo?).
Dico questo perché nelle scuole elementari
le maestre con la tessera CGIL sono la maggioranza
e hanno fatto un grandissimo lavoro auto organizzandosi.
Invitati, andammo anche al cinema Capranica a parlare
con Veltroni a fine settembre, il quale davanti
a centinaia di maestre allibite dette appuntamento
a tutti e tutte al 25 ottobre alla manifestazione
del suo partito. Al 25 ottobre? Tra un mese? E
chi aspetta! Ormai il movimento si muoveva in maniera
autonoma e trasversale e senza chiedere il permesso
o la spinta da nessuno. Abbiamo lanciato un “No
Gelmini day”, per vedere cosa succedeva in
giro, chiedendo di attaccare uno striscione alle
scuole come minimo. La risposta è stata
manifestazioni di scuole elementari in tutti i
quartieri della città. Striscioni appesi
a ogni scuola, e poi 4 sit in sotto alla camera
che di solito sono una cosa noiosa ma questa volta
movimentati e partecipati. Poi lo sciopero dei
COBAS ultra partecipato, in cui abbiamo lavorato
per trasformarlo in uno sciopero di tutta la scuola,
abbiamo scritto una lettera dei genitori dell’Iqbal
chiedendo a tutte le maestre di aderire al di là delle
rappresentanze sindacali, di approfittare della
giornata per bloccare la didattica, perché c’è bisogno
anche di questo e ai genitori di accogliere il “danno” con
un sorriso complice. E il risultato è stato
che nel nostro circolo un plesso ha chiuso e due
chiusi per metà, un successone. E poi è storia
di questi giorni, con gli assedi al senato e gli
studenti medi e universitari che lottano senza
sosta. Dai che ce la facciamo.
NO
GELMINI DAY E NIGHT - Articolo per il manifesto
30.09.2008
Sono
un genitore della scuola Iqbal Masih della periferia
sud est di Roma, in mobilitazione permanente
dal primo settembre e vi scrivo da queste mura
che sono ormai come una seconda casa. Siamo in
emergenza, in allarme rosso e non c’è un’ora
da perdere perché dobbiamo bloccare il Decreto
Legge 137 del ministro Gelmini. Molti capiscono
che è una legge dannosa per la scuola pubblica,
ma solo chi è dentro questo mondo può già percepire
la violenza che si sta abbattendo addosso ai nostri
figli. Dietro la formula del “maestro unico” (e
la farsa del grembiulino) ci stanno togliendo sotto
gli occhi una delle poche cose che funzionano in
Italia: la scuola primaria del tempo pieno. Noi
siamo angosciati dalle notizie che arrivano dal
ministero e la disinformazione in atto, ma anche
carichi e determinati a vincere questa battaglia
o a vendere cara la pelle.
In questi giorni qui all’Iqbal Masih succedono
cose incredibili: genitori già gravati da
cento impegni e maestre e maestri di tutte le classi
si stanno trasformando in leoni che lottano. Il
15 settembre, alla prima campanella, abbiamo deciso
di occupare la scuola. E’ stata una decisione
presa alla maniera classica con alzata di mano
durante un’affollata assemblea, ma per il
resto tutta questa esperienza è nuova, fresca,
totalmente autorganizzata di giorno in giorno.
Simonetta Salacone, la direttrice, la chiama presidio
permanente ed è felice di aprire la scuola
a questa esperienza che ci fa crescere tutti e
ci permette di comunicare e spiegare le ragioni
della lotta. Nella sala grande del plesso abbiamo
fatto la nostra base e c’è un via
vai continuo di gente che viene per restare o solo
per portare un appoggio o prendere contatti o portare
una torta per i bimbi. Arriva il pedagogo Alberto
Alberti a raccontare perché fu deciso di
introdurre i due maestri e il tempo pieno e fa
un discorso chiaro davanti a trecento persone: “Chi
dice riduciamo il tempo nella scuola non ce l’ha
col tempo pieno, ce l’ha con la scuola! Vogliono
che i ragazzi vengano bocciati per mandarli alla
scuola privata, vogliono clienti per la scuola
privata.” Quando scende la sera srotoliamo
i sacco a peli e i materassini per dormire tutti
insieme, bambini, maestre e noi genitori in un
clima di gioia e eccitazione che è difficile
da contenere. Questa notte a scuola oggi è speciale
e vale più di un giorno di lezione normale.
Sono le esperienze formative come queste che fanno
la conoscenza e oggi impariamo a lottare per i
nostri diritti. Se ci si addormenta a mezzanotte,
per questa volta non fa niente. Piano piano scende
il silenzio e noi “grandi” facciamo
turni di “guardia” ogni due ore, e
che sia un’occupazione nuova si vede anche
quando arriva la pattuglia della polizia al cancello:
ci chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa e che
possono fare per noi, poi si allontanano dicendo
che abbiamo ragione. Sveglia alle 6.30 per pulire
tutto, alle 8 comincia la lezione regolare, arrivano
gli altri genitori con i loro figli. C’è chiaramente
anche chi è scocciato dagli striscioni,
dalle magliette, dalle assemblee, dalle foto e
gli articoli sui giornali. Mentre volantiniamo
si accendono discussioni. Qualcuno minaccia di
togliere i propri figli e trasferirli dalle suore
(contenti voi…). C’è chi è fatalista
e già sconfitto per cui non c’è niente
da fare. Chi è confuso e convinto che maestro
unico e tempo pieno sono un aumento della qualità come
dice la Gelmini. Buonanotte. La maggior parte,
però, comincia a comprendere meglio i meccanismi
della truffa che ci stanno cucinando. Non c’è nessuna
riforma in atto, è Tremonti il pedagogo
di riferimento della Gelmini. Bisogna fare cassa?
Tagliamo le spese e gli stipendi dei militari!
E’ venerdì 26 settembre, quando dopo
una settimana di occupazione e una di assemblea
quasi permanente, usciamo dal cancello dell’Iqbal
Masih e attraversiamo il quartiere Centocelle con
più di duemila persone! E chi se le aspettava.
Con 38 scuole al nostro fianco. Dobbiamo resistere.
Riguardo le foto di quelle prime notti di occupazione
e mi commuovo, ma non c’è un minuto
da perdere. Dobbiamo intensificare le azioni. In
questi giorni il decreto arriva in parlamento per
l‘approvazione alla camera. Abbiamo sentito
istituti della Puglia e di Milano, maestri del
Veneto, a Bologna la scuola elementare XXI aprile
ha occupato e anche a Quartu S. Elena vicino Cagliari
(e si chiama anche lei Iqbal Masih). Una scuola
di Torre in Pietra ci dice che sono pronti a entrare
in occupazione. La situazione è bollente.
Dopo un veloce consulto collettivo lanciamo per
giovedì 2 ottobre prossimo in tutta Italia
un “No Gelmini Day”. E’ un modo
per far parlare insieme queste scuole e le università,
per produrre uno sciame di azioni diffuse. Chi
può presidiare oltre l’orario scolastico è il
momento di farlo. Anche chi si sente isolato può fare
qualcosa. E che sia il giorno prima o quello dopo
va bene uguale. Attacchiamo striscioni ovunque
perchè sia chiaro e visibile il nostro NO!
Ricordate le bandiere dell’arcobaleno appese
alle finestre? Che ogni scuola abbia il suo striscione.
Sarebbe bello che ognuno faccia una foto scrivendo
il nome della scuola e la città e la invii
a questa mail: nonrubatecilfuturo@gmail.com. Poi
chiederemo a trasmissioni “amiche” come
Blob o Striscia o le Jene o la Dandini se possono
mandarle tutte con la musica di sottofondo dell’intervallo
di un tempo (quando appunto c’era il maestro
unico) a rappresentare una rete di scuole in lotta
e degne che sono la nostra Repubblica. Come uno
spot contro il decreto. Mettiamo sotto pressione
la Gelmini. Noi amiamo e difendiamo la nostra scuola.
Articoli
di stampa di qualche giorno fa, ricalcando schemi
già noti,
hanno annunciato l'ennesima "estate calda dei
centri sociali", per i quali "si avvicina
l'ora X di sfratti e sgomberi".
In merito, possiamo
confermare che la giunta comunale, con delibera del
20.06.2008, ha dato mandato ai suoi avvocati di avviare
le pratiche per ottenere il rilascio dello stabile
di via Conchetta 18.
Con
questa nostra prima "notizia" riconosciamo
pubblicamente che il CSOA Cox 18 ha commesso tre
errori, imperdonabili per questa giunta di fascisti,
xenofobi, voltagabbana e affaristi.
Da
quando è nato,
il Centro ha sempre svolto iniziative libere dai
vincoli del denaro e dalla spettrale ideologia del "vincente". È cioè un
luogo in cui le attività scaturiscono da una
pratica di autogestione, svincolata da ogni "cordata" paraistituzionale.
Le sue scelte non sono dipese mai da quella logica
utilitaristica che è andata sempre più impregnando
i pori e gli alveoli di questa città, fino
ad asfissiarla. Sia che si trattasse di un concerto,
di un dibattito politico, di una iniziativa di solidarietà,
di un film e di quant'altro è stato qui fatto.
Ieri, oggi, domani.
Il
Centro è cresciuto
mantenendo vivo un legame con la memoria, cosa rara
e di per sé trasgressiva in questi tempi che
vanno controcorrente. Ha ospitato con reciproco affetto,
comprensione e pazienza la libreria Calusca di Primo
Moroni; e di quella esperienza conserva il mestiere,
la Calusca City Lights e un Archivio unico in Italia.
Da sempre, ha dato spazio a momenti di discussione
e confronto che tenessero accese le "Luci di
questa città".
Infine,
il terzo, è un
errore di leggerezza. Il Centro si è collocato
da subito in un luogo improprio. Un quartiere d'illustre
storia, già proletario e malavitoso, "fiammeggiante
di bandiere rosse e rossonere", prima d'essere
ricondotto a ragione (mercantile) e abbassarsi a
luogo pittoresco pieno di locali in cui si "vendono
vino e panini senza amore e senza memoria",
come scriveva lo stesso Primo. Dove, se va bene,
i residenti storici che ancora sopravvivono prendono
500 euro al mese di pensione, quando le immobiliari
valutano più di 5.000 euro a metro quadro
il prezzo degli appartamenti. Mentre, a cento metri
di distanza, via Tibaldi segna la nuova demarcazione
con l'altro, il diverso, lo straniero.
Che
la giunta delle retate contro i "clandestini", delle
cartolarizzazioni sfrenate, dell'EXPO, del "disastro
dei derivati" e della chiusura di ogni spazio
sociale riservi anche a noi le sue moleste attenzioni
non ci stupisce né ci spaventa.
Quest'estate,
come sempre, il Centro sarà aperto. Gira la
mola dell'arrotino, e il vento fa il suo giro.
APPELLO
ALLA MANIFESTAZIONE DEL 17 MAGGIO A VERONA
Nell'odio e nella violenza, nella esasperazione,
nella paura, nella diffidenza, nel rancore, nel
chiudere gli occhi.
il presagio ti è già stato raccontato
una tensione che hai percepito sulla pelle e negli
sguardi addosso.
Lo hanno gridato nei cortei, nelle manifestazioni,
nei comunicati:
Verona è una città malata, cova rancore
e fiele, nutre e alimenta sentimenti pericolosi
e fuori controllo,
mette in scena il pamphlet della violenza scellerata
terrorizzata
sbraita e dice convulsa che è inevitabile,
conseguenza dei tempi, delle ondate,
dice che bisogna reagire, anticipare, estirpare.
Nell'odio e nella violenza, nella paura, nella
diffidenza, nel rancore, nel chiudere gli occhi
Verona ha deciso di affidarsi e di crescere.
Il presagio ti è già stato raccontato:
il vento che soffia a verona non promette niente
di buono.
Che Verona genera mostri, li allatta, fomenta,
protegge
che ora non ha nient'altro da dargli, se non paura,
orrore, odio.
Non ha nient'altro,
s'inventa e partorisce identità assassine,
bestie, senza testa.
La linea di confine tra possibile e impossibile è sottile,
l'orizzonte aperto delle possibilità, degli
scambi, è chiuso.
Verona è un sentimento diffuso, un lombardo
veneto esteso, facile, comunicabile e nazionale.
Il presagio che ti è già stato raccontato.
NON
SI PUO’ COSTRUIRE UN FUTURO FATTO SOLO DI
ASFALTO E CEMENTO
Questa
domenica (30 Marzo) cittadini, primi cittadini,
25603 folletti, contadini, trattoristi, rappresentanti
di amministrazioni, comitati locali, ecologisti,
marziani si sono dati appuntamento a Magenta (Piazza
del Mercato ore 9.00) per raggiungere insieme lo
svincolo di Vanzaghello, dove avrà luogo
l'inaugurazione (con la I maiuscola e alle ore
10.00) del nuovo tratto di tipo autostradale fra
Malpensa e Boffalora, alla presenza di Di Pietro,
Formigoni e Penati.
Si chiedera' che i lavori, arrivati a quel punto,
si fermino, e che quella soglia (Magenta) non sia
mai oltrepassata.
Ci saremo anche noi.
Riteniamo
questo momento cruciale, lo abbiamo piu' volte
ribadito, come quelle scelte che se si fanno diventano
gravemente irreversibili.
Non
e' solo natura che scompare, non e' neanche romantica
ideologia ecologista,
e' di piu', è cultura, ragione sociale.
Un territorio sommerso da una valanga di cemento
sta perdendo - ha gia' perso - identita' e io (diffuso)
che lo abito, in questa scala di grigi, non so piu'
dove vivo, perdo orientamento e memoria di me.
Periferie tutte uguali, villettopoli diffuse, centri
commerciali.
Lo sguardo scandito da insegne pubblicitarie, rotonde,
svincoli, cartelli stradali, perde la misura del
luogo.
Stravolgimento dei sensi, del gusto, dei sapori.
Veneto, Lombardia, Piemonte. Un casermone raccordato
diffuso.
Si
aggiunge la rabbia della gente, la stanchezza,
la negazione e la delusione di un qualunque agire
politico.
Ci piace come lo ribadisce Paolo Rumiz, con chiarezza
'che i politici scendano dagli elicotteri e imparino
a camminare; o l'Italia diverra' in breve una terra
di locuste e avremo non una, ma mille banlieues di
furore.'
Domenica
le modalita' del dissenso saranno - immaginiamo
- varie, eterogenee, come le persone fisiche che
parteciperanno.
Ma crediamo ci sia in tutti la voglia/necessita'
comune di lasciarsi coinvolgere insieme, come era
gia' stato anni fa, ancora contro la tangenziale.
Noi porteremo il nostro contributo, piu' o meno condensato
nel comunicato che trovate a seguire, e qualche striscione.
Folletto25603
- La Terra Trema
www.inventati.org/folletto25603 NO
TANGENZIALE
NO INCENERITORE
NON
SI PUO’ COSTRUIRE UN FUTURO FATTO SOLO DI
ASFALTO E CEMENTO
Folletto25603
For High Quality Life
Abitiamo
in luoghi che mancano di un ragionare sociale
e urbanistico, in citta' che si costruisco intorno
ad interessi di altri, in nome di qualcosa di
non civile, imposti da oneri di urbanizzazione,
speculazioni, grandi opere piovute dall'alto,
continui stravolgimenti che offendono la terra,
campagne, corpi che vivono e lavorano, tutto
quanto sia coltivabile.
Crescono
il malessere e la rabbia. Le cose, i luoghi, le
priorita', si deformano in un disagio che si diffonde
sotto strati di cemento, asfalto, merci da distribuire.
Sono momenti cruciali, questi 25 km da Milano sono
una preda ambita. Sono momenti cruciali che valgono
o una presa di coscienza diffusa e producente o
periferia e cemento per sempre.
Parliamo
di un vivere che è precario già nella
sua geografia minima, fuori dalla porta di casa.
E di orizzonti che cambiano. Da un giorno all’altro.
Cambia
la città, la campagna, la strada. In un
equilibrio neanche acrobatico che tiene sospese
storie e destini del territorio. E il lavoro, le
vite, gli inganni, le illusioni che scorrono su
questo filo. Che ne chiamano altri e ne seppeliscono
di vecchi.
Nel
cemento. Nel territorio eroso che quantuplica i
capitali.
Nel
cemento. La condensazione di cose già viste,
sbagli già fatti, parole già sentite.
La terra trema.
Riempire.
Più di così non si dovrebbe. Qualche
contadino direbbe che è insensato. Che hanno
già fatto abbastanza e che la misura è colma.
Ma questa parola non compare nei bandi, nelle gare
d’appalto, negli uffici delle holding.
Ancora
più strade, ancora più case, ancora
più ipermercati. Anche se lo spazio è saturo.
Non
abbiamo bisogno di strade, ma di scegliere come
muoverci. Non abbiamo bisogno di case, ma di affitti
plausibili. Non di supermercati, ma di forme nuove
di consumo e produzione che sappiano rendere il
valore giusto al lavoro di piccoli produttori e
di piccoli territori che resistono.
Folletto25603 - La Terra Trema
NO INCENERITORE
NO TANGENZIALE
Con
una mail in redazione hanno chiesto un appuntamento
per dire la loro su diversi argomenti che riguardano
il nostro territorio. Ci incontriamo mercoledì mattina,
si presentano Paolo, Luca e Simone. Sono reticenti
ad apparire personalmente, spiegano di rappresentare
un gruppo di una ventina di giovani e meno giovani
che da tempo, anni ormai, condividono tra loro
e con la città progetti, eventi musicali,
proposte culturali, battaglie. Loro punto d’incontro
l’ex casello ferroviario occupato in zona
Folletta. In questo momento sentono il bisogno
di intervenire su due argomenti in particolare:
la strada per Malpensa ed il termovalorizzatore
dopo che la stampa ha riportato diverse notizie
e novità al riguardo.
Paolo: “Recentemente
si è saputo che il ministro Di Pietro avrebbe
confermato il finanziamento della strada per Malpensa
così come sembra che un nuovo inceneritore
sia concretamente realizzabile ad Abbiategrasso.
Due argomenti che riteniamo importanti per la trasformazione
che il nostro territorio sta subendo. Stiamo lavorando
con gli agricoltori della nostra zona, partecipiamo
al progetto nazionale “La Terra Trema” che
vede coinvolti centinaia di piccoli produttori
di vino “resistenti”.
Simone: “Abitiamo in luoghi che mancano di
un ragionare sociale e urbanistico, in citta' che
si costruisco intorno ad interessi di altri, in nome
di qualcosa di non civile, imposti da oneri di urbanizzazione,
speculazioni, grandi opere piovute dall'alto, continui
stravolgimenti che offendono la terra, campagne,
corpi che vivono e lavorano, tutto quanto sia coltivabile."
Paolo: “Crescono il malessere e la rabbia.
Le cose, i luoghi, le priorita', si deformano in
un disagio che si diffonde sotto strati di cemento,
asfalto, merci da distribuire.”
Cosa
dite ai pendolari che ogni giorno percorrono
strade intasate, spendendo molte ore nel traffico?
Simone: “E’ un
bluff pensare che le strade risolvano questo problema,
vale la legge fisica come per l’idraulica:
più il tubo è grosso e più acqua
passa. Porterà più traffico, si riempirà comunque."
Paolo: ”Costruire una strada è solo
una questione di businnes come l’inceneritore
che non brucerebbe solo i rifiuti di 30.000 abitanti
ma significherebbe un andirivieni quotidiano di camion
che attraversano le nostre strade."
Luca: “Basta vedere il polo logistico Bartolini,
sulla Mi-Baggio quanto traffico e inquinamento comporta..."
Le
strade sono segno di civiltà, i Romani
hanno costruito strade ancora oggi importanti
collegamenti per scambi, incontri, conoscenza
e confronto oltre che commerci...
Paolo: ”Sì ma
lungo le strade non crescevano i centri commerciali,
la logistica, grandi insediamenti produttivi o
residenziali”.
Quali
alternative al termovalorizzatore?
Luca: “Bisogna
puntare sulla raccolta differenziata che ad Abbiategrasso
non è mai stata fatta seriamente ed è una
delle più basse della Lombardia.. Bisogna
riciclare, ridurre i consumi e di conseguenza i
rifiuti.Bisogna cominciare a ragionare su come
produrre, consumare e distribuire il prodotto."
Paolo: “Ci
stiamo abituando a consumare prodotti che prima di
arrivare a noi attraversano mezzo pianeta. Colti
acerbi, trasportati per giorni su mezzi inquinanti.
Per noi è importante supportare una filiera
corta. Per esempio l’acqua di Abbiategrasso è buona,
controllata e migliore di molte acque in bottiglia.
Sai perché non si fa una seria campagna informativa
e promozionale riducendo il consumo di acqua in plastica?
Perchè nessuno ci guadagna."
Ma
per i rifiuti che comunque rimangono da smaltire,
che non sono riciclabili cosa proponete?
Paolo. “Gli
inceneritori che già esistono bastano e
avanzano. Gli inceneritori come i grandi centri
commerciali, la TAV, il Ponte sullo stretto e tutti
questi mega progetti infrastrutturali sono solo
il simbolo della devastazione planetaria. Ribadisco
il concetto di attenzione al territorio: questi
25 km da Milano sono una preda ambita. Questi sono
momenti cruciali che valgono o una presa di coscienza
diffusa e producente o periferia e cemento per
sempre. Si sta decidendo se conserveremo le nostre
peculiarità o se diventeremo una banlieu
con tutte le problematiche di una periferia di
una metropoli."
E
per il traffico locale cosa proponete?
Simone: “Una
riqualificazione al posto di uno stravolgimento
a 4 corsie, l’aggiunta di una sola corsia
riservata ai mezzi pubblici, non obsoleti come
ora, ma efficienti, che trasportino ogni mezz’ora
da e verso Milano.
Paolo: “Su questi temi non c’è contraddittorio
perché nessuno sa cosa succederà veramente
compresi il sindaco e le forze politiche, ognuno
ha la sua visione, i suoi interessi e le scelte non
vengono analizzate e condivise con i cittadini.”
-
13/gen/oo8
Folletto25603
e Leoncavallo s.p.a.
LA
TERRA TREMA al LEONCAVALLO Vini
critici e vignaioli autentici, agricoltori periurbani,
produzioni agricole di qualità
Considerazioni
e bilanci
Quanto
segue è prima di tutto un ringraziamento.
A chi ha partecipato (a chi avrebbe voluto),
chi ci ha creduto, chi ha dato fiducia, chi ha
sorriso, chi ha faticato.
Cerca di racchiudere quanto non è stato possibile
dirvi nei tre giorni e quanto è stato rimuginato
nei mesi a seguire su questo evento.
L’importanza
di fare.
La necessità e la voglia di portare l’esperienza
piccola e locale de La Terra Trema da Abbiategrasso
a Milano e di farla confluire nell’evento annuale
che è stato laFiera dei Particolari/Critical
Winele abbiamo spiegate spesso. Ci siamo ritornati
in questi giorni per fare i conti con quello che
rimane.
Abitiamo
tra il Parco Sud Milano e il Parco del Ticino,
lo stato delle cose risulta profondamente alterato.
Crescono il malessere e la rabbia. Le cose, i luoghi,
le priorità, si deformano in un disagio
che si diffonde sotto strati di cemento.
Per tanti è quasi un sentirsi sperduti. In
luoghi che mancano di un ragionare urbanistico e
in città (servizi, socialità, sicurezze)
che si costruisco intorno ad altro, qualcosa di non
civile, oneri di urbanizzazione, speculazioni di
vario genere, grandi opere, stravolgimenti che offendono
terra, campagne, corpi che vivono e lavorano, tutto
quanto sia coltivabile.
La
terra.
Per chi lavora qui, la terra è difficile.
Per tanto altro. C’è, attorno a noi,
un’agricoltura che non è più sufficiente,
non è più sufficiente per prima cosa
a se stessa.
Che abbiamo super bisogni da super mercati, vogliamo
troppo. Le necessità sono dopate. Vogliamo
quello che il mercato ci offre e il mercato ci offre
tutto.
Il contadino deve fare i conti con questo anche.
Con la comodità di avere ognicosa subito,
di avere tutto a un prezzo che sembra modico, di
avere tutto pulito, congelato, precotto, tagliato.
E allora gli sembra che deve cambiare. Adeguarsi,
evolversi, offrire altro. Agriturismi, accoglienza,
benessere e natura, cicloturismo, didattica scolastica,
gli sembra che ora deve mettere in scena la campagna.
E pazienza se non c’è più farina
in loco da vendere.
Quanto si può resistere?
Ci sembra che questi siano anni cruciali, questi
25 km da Milano sono una preda ambita, comoda dimora
notturna per chi lavora nella metropoli, per chi è disposto
al quotidiano vai e vieni, perché Milano è invivibile,
e questo significa affari sicuri per l’industria
immobiliare.
Sono momenti cruciali che valgono o una presa di
coscienza diffusa e producente o periferia e cemento
per sempre. I grandi industriali comprano i terreni
in comoda attesa di tempi a loro favorevoli, di modificazioni
della destinazione d’uso, di caduta di vincoli.
La forma Milano aggredisce. Impone il suo modus
vivendi, commerciale, largo, diffuso, veloce.
Ci sembrava giusto mollare il nostro colpo. Contro
il suo naso rifatto. Fare tutto questo, al Leoncavallo,
ci sembra potente e ci piace.
Da dove siamo partiti.
Milano/Abbiategrasso/Parco Agricolo Sud Milano/Parco
del Ticino (al Tesinn, el nost Tesinn).
Qui che la maggior parte di noi vive. Qui che incontriamo
gli agricoltori, alcuni di noi lo sono.
Cemento, asfalto e merci da distribuire. Un territorio,
una storia e una cultura contadina che velocemente
stanno sparendo. Milano è vicina: nel bene
e nel male.
Milano da indagare. Per capire quel sistema urbano
e sociale contorto che più che altrove in
Italia addensa attività editoriali, di comunicazione,
imprese, impresine, moda, fiere e finanza. E dietro
questo: la vita di migliaia di precari atipici, sotto
scacco, interinali, giovani e non, tanti migranti
senza diritti. Il costo della sopravvivenza è alle
stelle.
A
una manciata di chilometri, altre contraddizioni:
chiudono le grosse fabbriche metalmeccaniche, crollano
ancora le cascine tra i campi e resistono e si
reinventano i piccoli agricoltori.
Abbiategrasso. All’orizzonte lo smog di Milano
e le Alpi.
La Terra Trema viene da qui, nel lembo di terra ai
margini di Milano. Vuole arrivare a quei territori
che narrano di altre resistenze, parallele. Vuole
portare a Milano porzioni di questo, periferie capaci
di tenere vivi i territori e di impedirne la devastazione
finale. Le tracce di un rapporto conflittuale e vivo
tra città e agricoltura periurbana. E’ un
invito ai guardiani dei territori ad uscire temporaneamente
dai propri ambiti e darsi al racconto.
Il
Circulòn.
La prima edizione de La Terra Trema ha luogo al Circolo
dei Contadini detto anche Circulòn,
uno spazio nel centro storico di Abbiategrasso, fondato
più di cento anni fa da una società di
mutuo soccorso di contadini ed ora cooperativa. Attraverso
questo evento si è ridato senso e contenuto
a questo bel luogo e alla sua bella storia. In quella
occasione viene presentato ad Abbiategrasso il progetto
Critical Wine.
Folletto,
Leoncavallo, aziende agricole, cascine: luoghi
di resistenze.
Centri sociali nelle metropoli, nelle periferie,
cascine nelle campagne, nei territori periurbani.
Luoghi, distanti geograficamente e non solo, che
s’incontrano. Non per caso.
I centri sociali hanno rappresentato, materializzato,
catalizzato certe trasformazioni sociali avvenute
nelle metropoli più o meno estese del nostro
paese: il desiderio, la sensibilità, la creatività e
il conflitto di un vivere altro (più negli
anni ‘80 e ‘90, meno negli ultimi 7/8
anni). Se poi siano riusciti a reggere la sfida è un’altra
storia.
In questi ultimi anni le esperienze, legate all’agire
militante, e, prima ancora, le organizzazioni strutturate
come i partiti, hanno faticato ad essere e rimanere
riferimento e produttori di stili, analisi, pensieri
e pratiche di trasformazione sociale e vitale.
I centri sociali hanno faticato, soprattutto tenuto
conto del dato anagrafico di queste esperienze ancora
sospese nella lotta per la sopravvivenza.
Il Leoncavallo, storia trentennale, a breve riceverà l’ennesima
ingiunzione di sgombero, la quattordicesima.
Uno spazio relativamente giovane come il Folletto25603
di Abbiategrasso (6 anni di attività) è ad
oggi spazio occupato abusivo con l’incognita
di sgombero nel prossimo futuro.
Sono esempi di spazi che hanno prodotto ricchezza
sociale e culturale, che continuano a farlo, resistono e
in un sistema e in un tempo sociale ed economico
che non li vuole e che non sa cosa farsene (se non
come soggetti strumentalizzabili o culture da sussumere).
Le
cascine. Altra storia sembrano subire le cascine
e le aziende agricole. Sembra che in pochi e in
rare eccezioni di nicchia ci si ricordi il patrimonio
che questi luoghi rappresentano: storico, culturale,
saperi e tradizioni centenari che spesso si tramandano
da generazioni in generazioni. Luoghi della produzione
di beni primari prevalentemente forniti dal lavoro
dei componenti di una famiglia. Spesso devono trasformarsi:
in luoghi del terziario quando va bene, inglobate
dall’agroindustria, in residenze per la borghesia
che arriva dalla città, oppure accerchiate
dall’urbanizzazione, crollano abbandonate,
dismettono le loro attività abituali.
In altri casi sono luoghi simbolo della resistenza
alla modernità, all’annientamento e
alla devastazione dei territori.
Continuità o
discontinuità con Critical Wine.
Senza l’esperienza di Critical Wine condivisa
al Leoncavallo (in questo luogo ma non solo) non
ci sarebbe stata La Terra Trema al Leoncavallo.
Luigi Veronelli e Critical Wine: l’intuizione
preziosa di guardare ai centri sociali metropolitani
come a luoghi di visibilità e di rappresentazione
per i temi della terra, per i piccoli vignaioli critici
e sensibili, il prezzo sorgente, l’autocertificazione,
il piacere di organizzare e partecipare a tre giorni
di festa assaporando vini buoni e scambiando saperi
e sapori, alimentare discussioni su certi temi come
le problematiche attinenti al settore vitivinicolo
o a possibili progettualità di filiera e distribuzione.
Quello che per noi ha rappresentato Critical Wine
non andava perso, un errore abbandonare un percorso
che coglieva tematiche importanti, strategiche, con
modalità di espressione mai viste prima in
Italia, in Europa.
Abbiamo attraversato questa esperienza, grande, vasta,
percorrendo strade nuove, muovendoci per l’Italia,
l’abbiamo conosciuta, esplorata e supportata.
Critical Wine è un movimento vasto costituito
da centinaia di produttori, persone vicine ai centri
sociali (e non solo) e attraversato da migliaia di
persone. Manca di uno spazio collettivo di condivisione
e confronto. Quanto è rimasto rischia di trasformarsi
in stigmate di un’etichetta, un nome che rimanda
ad un immaginario forte e bello, ma passato. Impossibilitato
a fare sintesi piena e veritiera delle varie visioni,
convinzioni e progettualità. Una moltitudine
di esperienze che è ingiusto far procedere
per dettami nazionali, perché forte della
molteplicipità che la compongono.
Per noi, che abbiamo condiviso, animato e attraversato
questa esperienza imparando e acquisendo competenze
e desideri, era naturale dare continuità e
poi sciogliere il vincolo. Avevamo voglia di continuare
ma anche di muoverci, verso nuove esperienze, sperimentare,
aggiungere e togliere pezzi.
C/W la grande Fiera dei Particolari al Leo, il viaggio
e l’incontro coi produttori, le storie, il
vino da assaggiare e capire. Ci hanno trascinato.
C’erano stati gli spasmi, le stilettate dolorose,
l’alito acidulo dalle bocche, le notti a rigirarsi,
le gastriti, il malumore. Ma la voglia di buttarsi
era più forte. Senza (con la) paura di farsi
anche male: qualcosa come scendere in corteo, scontrarsi
se si deve, scappare e spingere, come partecipare
arrivare ad una manifestazione in trattore, prepararsi
a uno sforzo incredibile, da chiedersi ogni metro
percorso se ne è valsa la pena: una gioia,
una sfida, una vittoria solo dentro. Incoscienza.
Di
pancia, di cuore.
Annegare nel groviglio di cose importanti da fare,
percorrere il salone del Leo circondati da storie,
ascoltare la gente che passa, le voci, gli accenti,
il sapore, le domande, cogliere sguardi, stordirsi,
di luci, odori, rumori, emozioni, impegni, responsabilità.
Non è un colpo facile.
È successo. Però.
Come/chi.
Una decina di folletti, le anime salve del Leo, e
figure più o meno estranee più o
meno entusiaste, più o meno costrette,
più o meno corrette. Siamo partiti tra
maggio/giugno. Ci abbiamo pensato tanto. Le forze
(economiche) erano minime e dovevamo osare.
In mente avevamo ben chiaro quanto bisognava costruire
(comunicazione, propaganda, logistica), sapevamo
quanto non avevamo rispetto alle precedenti organizzazioni.
Sapevamo quello che avevamo.
Quello
che avevamo.
Relazioni. Senza le relazioni intrecciate nel tempo
non sarebbe stato possibile. Non potevamo.
E la fiducia (fuori, oltre da noi) riposta nel progetto
(e in noi) era punto vitale della questione.
Ci abbiamo lavorato su per sei mesi, ritagliando
il tempo al nostro tempo.
In questi mesi abbiamo inciampato spesso, ci siamo
rialzati, tante volte ci hanno teso la mano.
Gli stands. Il legame di reciproco rispetto e amicizia
ci hanno permesso di collaborare con la Comunità Cascina
Contina per ideare e realizzare gli stand. Nel momento
del bisogno e dell’urgenza, quando occorreva
risolvere la questione fondamentale degli stands,
alternativa a service esterni per noi troppo
costosi. La soluzione l’abbiamo trovata nella
progettazione cooperativa artigianale in loco. Impagabile
immaginare, progettare, lavorare, insieme così;
impagabili le giornate trascrorse in Cascina Contina,
impagabile il contributo.
I
produttori. Coinvolgere più agricoltori
locali per noi non era scontato. Una parte del
lavoro è stata fatta dagli agricoltori che
già ci conoscevano, cha hanno voluto crederci,
che hanno tirato in mezzo nuovi agricoltori, vecchi
amici.
I vignaioli storici di Critical Wine: ci hanno spronato
a fare, con l’entusiasmo, la fiducia, le critiche,
hanno scherzato e giocato con noi, ci hanno protetti
e difesi.
La Terra Trema è successa.
Il nostro piccolo terremoto l’abbiamo fatto.
L’evento è avvenuto. Una festa di senso
e di sensi, che per noi è diventata anche
un momento di riflessione su quanto può, quanto
ha potuto, l’autogestione, l’autorganizzazione.
La
cucina del Leo.
La scommessa non l’abbiamo ancora vinta, la
cucina del Leo non è ancora convertita per
bene alla filiera zero. È un percorso lento
che trova un primo scoglio nella natura del luogo.
Nel corso dell’anno la cucina del Leo è il
luogo dell’accoglienza e del transito, è soprattutto
rifugio e tepore.
Migliaia di pasti caldi e costi contenuti. Per tutti
(studenti, lavoratori, migranti, disperati e esploratori
da ognidove).
Dalla cucina del Leoncavallo puoi guardare alle contraddizioni
del mondo.
La trasformazione avviene nei giorni di manifestazione.
Riusciamo a far acquistare alla cucina una buona
parte delle materie prime dai produttori presenti
(farine, orzo, riso, carne di maiale e manzo, verdure
).
Temi
concreti.
Comunicazione e propaganda. Molto ha fatto il passaparola.
Un bel modo che in parte si è rivelato efficace,
ma che certo non è abbastanza per arrivare
al maggior numero di persone coinvolgibili.
Il web è stato il mezzo che abbiamo potuto
curare di più, il più utilizzato e
in effetti abbiamo avuto dei buoni riscontri: il
sito ha avuto, continua ad avere, un buon numero
di visite giornaliere; l’informazione in rete è viaggiata
bene, soprattutto sui siti e sui blog di settore.
Dei giornali siamo meno soddisfatti. Bene la stampa
locale, meno quella nazionale (è disponibile
sul sito una piccola rassegna). Abbiamo comprato
spazi pubblicitari a pagamento sul Manifesto: sia
nella pagina locale che in quella nazionale. Pubblicità a
pagamento anche su Radio Popolare, sul network nazionale
e in quello di Milano. Abbiamo stampato 15000 flyers
e un centinaio di locandine. Non abbiamo attacchinato
per scelta (in primo luogo per i costi di repressione).
Incontri
con giornalisti scrittori e produttori.
Abbiamo scelto il Baretto come luogo degli incontri.
Uno spazio piccolo ma accogliente, lontano dal casino
e meno visibile. Per scelta. Interessava una certa
tranquillità. Siamo soddisfatti: a parte un
incontro, gli altri sono stati partecipati e interessanti,
in modo speciale gli incontri con i produttori e
le enodegustazioni guidate (sul sito sono disponibili
le registrazioni audio).
Le proiezioni video al Colda (spazio riscoperto nel
cortile del Leoncavallo), nonostante gli sforzi di
preparazione e la qualità dei video ricercati,
sono state poco seguite.
Sono andati molto bene i concerti (noi, i musicisti,
gli spettatori siamo soddisfatti).
Incontri
all’enoteatro e all’oltrevino.
La struttura degli stand ha facilitato questo compito.
Dialoghi a 360°, incontri e assaggi. Qui gran
parte dello spirito e degli obiettivi dell’iniziativa:
incontrarsi nella festa, relazioni, scambio, acquisti,
trovare finalmente sapori buoni e gustosi, trovare
clienti, vendere.
C’erano i nostri fratelli, le sorelle, gli
amici, i parenti, i compagni: un pretesto per incontrarsi
e scambiare chiacchiere. Compagni che non hanno perso
un giorno: venerdì, sabato, domenica, si sono
mossi tra gli stand ormai convinti esperti alla quarta
edizione. Ordinare il solito vino, scoprire qualcosa
di nuovo, portarsi a casa l’olio, il formaggio,
o il miele. Scambiarsi, chiedere il biglietto da
visita o l’indirizzo perché “poi
ti vengo a trovare”. Gli addetti ai lavori,
forse pochi, un magma strano e controverso: sedicenti
giornalisti, appassionati, sommelier che si prendono
troppo sul serio, proprietari di enoteche, ristoranti,
locali, quelli che già conoscono e che vengono
per salutare l’amico vignaiolo, per l’ennesimo
ordine e curiosare se c’è qualche novità.
Questo il progetto di distribuzione che abbiamo in
mente: diffuso, diretto e autorganizzato. A nostro
avviso più efficace, autonomo e meno dispendioso
di un ulteriore nodo distributivo sovradeterminato.
Quello che ci interessa è il confronto, l’adunata
critica e coscienziosa.
Contadini, allevatori, piccoli produttori si sono
rivisti, hanno parlato, in tanti. Un brusio felice,
un suono. La partecipazione dei produttori è multiforme.
Quanto si innesca è suscettibile a questa
natura: contadini critici, le figure storiche, vicini
di casa, amici, amiche, conoscenti, fratelli, compagni,
soci, cooperanti, associati, conterranei, uomini
e donne stretti da vincoli di parentela, ideologici,
sentimentali.
Per noi è una rete fitta e meravigliosa così.
Abbiamo cercato di non alterarla.
Abbiamo ascoltato, seguito.
Abbiamo fatto scoperte. Tra queste, una per tutte:
passione e conoscenza del giovane sedicenne figlio
di vignaiolo, a La Terra Trema per accompagnare il
padre.
Ancora: volevamo che tutto questo si aprisse a Milano,
alla gente, ai coproduttori (se vogliamo ancora chiamarli
così). Volevamo avvenisse uno scambio, tra
persone, parole e sapori, senza intermediari, senza
mediazioni.
Volevamo che tutto fosse chiaro una volta per tutte.
Per questo ci siamo accaniti sulle autocertificazioni:
tanta storia, tanta informazione, di fronte a un
bicchiere di vino, un pacco di riso, un vasetto di
miele difficilmente è possibile avere (le
autocertificazioni dei prodotti sono pubblicate e
disponibili sul sito).
Il
Bilancio.
Abbiamo fatto i conti. A guardarli non dovremmo dirci
soddisfatti delle entrate, di quanto abbiamo portato
a casa.
Messi in conto gli sforzi, l’impegno e il lavoro
fatto da ognuno di noi non saremmo arrivati a un
netto. Sottozero se avessimo messo in bilancio, come
lavoro retribuito, le mansioni svolte nel corso dei
mesi a precedere e durante la settimana dell’iniziativa.
Le uniche persone e mansioni pagate sono state: i
gruppi musicali che hanno partecipato, le pulizie
dei capannoni e dei bagni, i turni di sorveglianza
notturna e una piccola parte di facchinaggio, abbiamo
rimborsato per quanto possibile (c’è chi
l’ha fatto di tasca propria), le spese di viaggio
e/o di soggiorno di chi è stato invitato.
Sono state completamente gratuite e/o messe a disposizione
dal Leoncavallo e dal Folletto (non messe a bilancio
quindi):
- Segreteria
organizzativa: telefono, fax, internet,
il lavoro di contatto coi produttori e gli altri
invitati, l’ufficio stampa, la redazione
del sito, la grafica, i flyers, la preparazione
dei manifesti, la preparazione della cartella
stampa, il libretto informativo, l’organizzazione
intera dell’iniziativa (ore e giorni non
quantificabili)
- Ideazione e realizzazione degli stand (2
giorni lavorativi per 6 persone più 3 persone
della falegnameria della Cascina Contina)
- Carico, scarico, trasporto moduli stand (6
persone per 2 giornate)
- Montaggio e smontaggio al Leoncavallo degli
stand e dell’impianto elettrico, luci e audio (10
persone per 5 giorni)
- Scarico e carico del vino (6 persone a
turno per una settimana col picco durante i tre giorni
dell’iniziativa)
- Magazzino (2 persone fisse per una settimana
e 5/6 persone a turno durante i tre giorni)
- Accoglienza e infopoint (non quantificabile)
- Ingresso e cassa (12 persone a turno per
7 ore per tre giorni)
- Lavaggio dei bicchieri per le degustazioni
guidate e/o lasciati in giro (2 persone per
4 giorni)
Guizzi,
tracce per il futuro.
Qui, oggi, continuiamo a mantenere vive le relazioni
con gli agricoltori del territorio. Confrontandoci
sulle questioni che ci coinvolgono e che ci interessano,
acquistando i loro prodotti, andando a trovarli in
cascina. Vorremmo di più con i vignaioli,
le distanze non facilitano, siamo più lontani,
vorremmo avere più tempo.
Qui, oggi, continuiamo il lavoro iniziato più di
un anno fa di indagine e mappatura. Cerchiamo di
capire meglio le questioni essenziali, quelle su
cui noi possiamo agire.
Nel prossimo futuro vorremmo incrementare e valorizzare
la piccola e preziosa Carta dei Vini adottata al
Folletto, vorremmo crearne una su misura per il Bar
Centrale del Leoncavallo.
Nel corso dell’anno promuoveremo piccoli terremoti:
serate “enogastroautonome” nella cucina
del Leoncavallo, micro eventi La Terra Trema ad Abbiategrasso
e nei paesi limitrofi, e, finalmente, qualcosa anche
al piccolo Folletto.
Continueremo a muoverci, a vedere e confrontarci
con esperienze simili, altre e diverse in giro per
il Bel Paese.
Con l’augurio di saper reinventare nuove progettualità,
ulteriori sfide al mercato, alla società e
alla cultura ufficiali. Creare momenti di scambio
e di socialità.
Vogliamo favorire nuove forme di consumo e produzione,
vogliamo che tutto questo si sviluppi in miriadi
di tipologie, ambiti e luoghi diversi.
Speriamo si possa condividere questo percorso.
Ci
auguriamo di rivedervi presto. Ci auguriamo abbiate
voglia di tornare a Milano alla fine di questo
2008 per La Terra Trema al Leoncavallo la Seconda
Volta.
Un
caro saluto
Grazie
Folletto25603
Leoncavallo s.p.a.