2009.11.02
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Elevare l'improduttività fino a conferirle dignità politica.
— Gilles Clément - Manifesto del Terzo paesaggio (Sul rapporto con la società)
- L'università del merletto. I corsi di macramè della signora Edera Timoncini 20:31 (JornaLugo#165) (HacKnitting#96)
- Orti, l'arte di coltivare il pomodoro in città 18:23 (AgriCultura#15)
- Bioregioni, la consapevolezza di abitare un luogo di relazioni 15:42 (ProgettoLugo#26)
- Biodiversità alimentare, autosussistenza con le piante spontanee e decrescita 14:43 (ProgettoLugo#25)
- Ri-abitare l'Europa: una intervista con Gary Snyder 14:42 (PianetaVerde#96)
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Giorno dei Morti
[FiloDiPaglia] ritirare i prodotti Hierba Buena
il lune c'e' BiKe su ResonanceFM ( http://thebikeshow.net/ )
Notes
L'università del merletto. I corsi di macramè della signora Edera Timoncini (JornaLugo#165)
Dal 2003 l'appuntamento è fisso: ogni martedì pomeriggio dalle 14 in poi ci si incontra a Maiano, a casa della signora Edera Timoncini per imparare l'arte del macramè un merletto a nodi di origine araba, importato in Italia dai marinai che approdavano ai porti genovesi. Una scuola nata per caso; Giuseppina, figlia della signora Edera, faceva volontariato in alcuni negozi equo solidali della zona e la mamma, da sempre appassionata di macramè, fece avere in negozio alcuni suoi lavori: «Non si faceva in tempo a esporli in negozio che già andavano venduti - racconta la signora Giuseppina -, così abbiamo pensato che sarebbe stato un vero peccato perdere quest'arte».
(continua)
Orti, l'arte di coltivare il pomodoro in città
[Avvenire]
... il settimanale francese L'Express nel 2005 ha inserito l'orticultura tra le settanta pratiche del moderno snobismo.
Certamente non è snob Will Allen. Ex giocatore di basket negli anni Settanta, si è reinventato una vita da urban farmer , da contadino urbano, e una corazza da paladino dell'agricoltura di città. Quando nel 1993 aprì la sua fattoria, Growing Power, nella periferia nord di Milwaukee, Allen sembrava un pazzo alle prese con un ettaro di terra in mezzo a un deserto di povertà, gang giovanili e fast food.
Oggi la sua azienda fornisce cibo biologico a diecimila persone, è diventata un laboratorio di economia sostenibile. In quell'ettaro tra casermoni grigi ci sono serre per frutta e verdura, stalle per capre, aie per tacchini e vasche per il pesce persico in cui lavorano molti ragazzi strappati alla violenza delle strade. La domanda da scuole, ristoranti e mercati supera l'offerta, anche perché parte del cibo rimane a disposizione delle case popolari del quartiere.
(continua)
Bioregioni, la consapevolezza di abitare un luogo di relazioni
"ri-abitare vuol dire imparare a vivere in un posto, in un'area che è stata infranta e lesa da un passato di sfruttamento. Significa ri-diventare nativi del posto ed essere consapevoli della miriade di relazioni ecologiche che operano dentro e attorno ad esso. Significa comprendere le attività e i comportamenti sociali che in prospettiva arricchiranno la vita di quel posto, ne ripristineranno i sistemi di supporto vitale e stabiliranno al suo interno uno schema di esistenza ecologicamente e socialmente sostenibile. In poche parole, diventare pienamente vivi nel e con il posto e darsi da fare per diventare membri della comunità biotica e smetterla di essere i suoi sfruttatori."
... La mia idea era di ritornare alla pratica dei significati base della vita: spaccar legna per cucinare e riscaldare la casa, raccogliere erbe e frutti spontanei per soddisfare, almeno in parte, le esigenze alimentari della mia famiglia, seminare migliaia di semi e coltivare la pazienza finché non giungano a maturazione, nutrirci dell'intreccio vitale con gli esseri del posto e... ringraziare appropriatamente.
Col passare del tempo tutto questo si rivelò come una vera e propria introduzione allo spirito del posto...
(continua)
Biodiversità alimentare, autosussistenza con le piante spontanee e decrescita
... la perdita dell'autosufficienza è, in generale, un requisito indispensabile per l'affermarsi del capitalismo e di un sistema tentacolare che avvolge gli individui rendendoli totalmente dipendenti da esso; al contrario, l'attivazione di un processo inverso, volto all'espansione dell'autosufficienza, ha un valore strategico insostituibile: le persone tornano a familiarizzare con i mezzi di sussistenza (almeno con una parte di essi), cresce la loro autonomia e decresce la dipendenza dai grandi apparati, presupposto basilare per una migliore società capace di valorizzare la responsabilità e la partecipazione attiva dei membri che la costituiscono.
Torniamo perciò all'autosufficienza con le piante spontanee: questo è importante anche nella prospettiva della biodiversità, e al riguardo abbiamo molto da imparare dai saperi tradizionali dei popoli premoderni. Sappiamo infatti che essi erano in grado di conoscere e utilizzare migliaia di specie e di varietà per uso alimentare (e ancor di più per uso medicinale e per altri impieghi di sussistenza): la più imponente documentazione in proposito risulta essere quella raccolta dall'etnobotanico Glenn Wightman, in collaborazione con gli aborigeni australiani. Invece con l'affermarsi dell'agricoltura industriale rivolta prioritariamente se non esclusivamente al profitto, sono state selezionate poche decine di specie, maggiormente adatte alla coltivazione su grande scala ed economicamente redditizie, trascurando tutto il resto. Ciò ha determinato una crescente omologazione della produzione e dei consumi alimentari a livello planetario, perdendo di vista migliaia di specie e di varietà, ben note alle culture tradizionali. Mentre l'agricoltura industriale è antiecologica, poiché è aggressiva nei confronti dei ritmi naturali e degli ecosistemi, semplifica il suo campo d'azione promuovendo le monoculture e l'impoverimento della biodiversità, le economie di autosufficienza sono biomimetiche, cioè imitano i processi naturali, promuovono l'agricoltura sostenibile e la biodiversità, riconoscendo l'apporto degli ecosistemi e del maggior numero di specie, che quindi vengono riconosciute e custodite. In queste economie, nei secoli scorsi, venivano coltivate migliaia di specie e di varietà (e a queste bisogna aggiungere le specie spontanee oggetto di raccolta); oggi nei paesi occidentalizzati sono coltivate solo 150 specie, e tra queste alcune vengono largamente privilegiate nelle monoculture: "Il risultato di una simile strategia è che una manciata di specie nutre letteralmente l'intero Pianeta. Oltre il 90% del cibo mondiale è fornito da 15 specie di piante e quasi i due terzi da tre cereali: riso, granoturco e frumento".
Rivalutare le piante selvatiche ed i saperi connessi, nonché le numerose pratiche di autosufficienza che ne derivano, significa operare in controtendenza rispetto all'omologazione planetaria in atto. Nel nostro contesto, caratterizzato da una cementificazione oltremodo aggressiva del territorio, gli spazi naturali vengono continuamente ridotti e semplificati, e con essi anche le risorse spontanee disponibili. Ciò deve incentivare l'impegno per arginare la devastazione del paesaggio, così come prevede anche la Convenzione europea del paesaggio, trattato sovranazionale ratificato dal governo italiano nel 2006; parallelamente, è necessario diffondere, tramite coltivazione naturale, biologica, varie piante esistenti allo stato spontaneo, per non compromettere, con la raccolta eccessiva, la loro diffusione in natura. In piccola parte questo sta già accadendo con alcune piante: la pastinaca, il raperonzolo, l'allium tuberosum, l'aglio ursino, la bardana, la portulaca, il finocchietto selvatico, il topinambur, lo spinacio di montagna, alcune varietà di rabarbaro, l'arcangelica, il levistico...in Inghilterra si coltiva una varietà di consolida e vari tipi di allium esistenti anche allo stato spontaneo.
Gli incontri che si tengono ogni anno presso l'Orto botanico Locatelli di Mestre e presso alcuni CTP (Treviso, Mestre), le correlate escursioni naturalistiche in aree di pianura e di montagna, il campo di lavoro alpino... hanno tra l'altro lo scopo di far conoscere le piante selvatiche, di insegnare il loro impiego alimentare o medicinale, e in certi casi di incentivarne la coltivazione o la diffusione in natura, riattivando così un importante settore delle economie di autosufficienza in chiave vegetariana o vegana (in linea con lo stile delle maggiori scuole filosofiche occidentali premoderne, che hanno rappresentato le nostre tradizioni al livello più alto). Così facendo, si educa a mantenere leggero il più possibile l'impatto ecologico sulla Terra e nello stesso tempo si arricchisce la biodiversità in campo alimentare, mostrando molto concretamente che è possibile migliorare la qualità della vita senza far crescere il PIL, in una prospettiva di decrescita e di sostenibilità alla portata di chiunque.
A cura di "Radura Luminosa" (iniziative AEF per l'ecologia) / Redazione AEF(Associazione Eco-Filosofica)
Ri-abitare l'Europa: una intervista con Gary Snyder
di Giuseppe Moretti
L'Europa... ha una lunga storia, ciononostante abbiamo distrutto l'ambiente, abbiamo distrutto la natura. Perciò, pensi che l'idea bioregionale possa essere utile anche qui?
... non devi pensare che avete distrutto la natura, non si può distruggere la natura, quello che invece avete fatto è cambiarle direzione. Gli umani provocano un cambiamento e la natura si adatta, essa continua comunque il suo percorso attraverso vie diverse. Se tagli tutti gli alberi la collina si trasformerà in una macchia - quasi sempre qualcosa ricrescerà; non puoi distruggerla ma puoi spingerla in una direzione diversa. Noi umani abbiamo il potere di piegare la natura in questa o in quella direzione, e spesso lo facciamo per egoismo e ignoranza. La produttività e la diversità possono essere ridotte, ma dobbiamo rispettare l'energia e la creatività della natura e amarla sempre. Non commettiamo l'errore di odiare la macchia e amare invece solo la foresta bellissima - anche la macchia può essere bella. Dobbiamo rispettare la natura nella sua totalità...
(continua)