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LA RISTRUTTURAZIONE CAPITALISTICA DELLE FORZE PRODUTTIVE - L'ATTUALE CASO FIAT ('85)

A) interesse dell'argomento


L'interesse di questo argomento deriva dal fatto che la propaganda borghese insiste sulla tesi che la ricostruzione capitalistica è l'unica strada per uscire dalla crisi e cioè per ricominciare a sviluppare le forze produttive. Mentre è vero il contrario. È vero ciò che, seppure la ristrutturazione capitalistica può salvare i profitti della Fiat e di altre grandi imprese, provoca un consolidamento degli effetti della crisi, nel senso di un blocco dello sviluppo di altri sempre più grandi settori di imprenditorialità capitalistica. La tesi della propaganda borghese passa facilmente anche in mezzo al proletariato, poiché non è per nulla contrastata da efficaci azioni di propaganda ed agitazione. I revisionisti la appoggiano apertamente, sia attraverso i loro partiti, che attraverso le loro strutture sindacali. La versione più sofisticata della propaganda borghese, consiste in questa tesi: è vero che in un primo momento la grande impresa si salva a danno delle altre più piccole, ma successivamente lo sviluppo della grande impresa provoca un nuovo sviluppo di tutta l'economia capitalistica e così in generale uno sviluppo compressivo delle forze produttive. Questa tesi ha dei fondamenti storici. In effetti nella sua storia il sistema capitalistico ha conosciuto un evoluzione attraverso l'alternanza crisi-sviluppo-crisi. Ma questo meccanismo presenta una caratteristica rilevante: quella per cui lo sviluppo che succede ad una crisi è uno sviluppo diseguale. La crisi inghiotte una grande parte del sistema economico (1); la successiva ripresa restituisce allo sviluppo (capitalistico) solo una parte del sistema che era stato inghiottito dalla crisi, polarizzando ad ogni ondata sempre di più le aree di sviluppo, contro il continuo ampliamento delle aree di stagnazione e di povertà di massa. Si deve anche aggiungere che fino ad un certo momento storico (la Rivoluzione d'Ottobre) c'erano seri dubbi che a questo tipo di meccanismo (crisi-sviluppo parziale- crisi-sviluppo sempre più parziale-crisi etc.) vi fosse una alternativa. Ma della Rivoluzione d'Ottobre si conosce praticamente un sistema (prima conosciuto solo teoricamente) di evoluzione, quello [comunista], che evita totalmente questa fatalità di dirigersi verso una società sviluppata in poli sempre più ristretti, in mezzo ad un deserto di stagnazione e di povertà sempre più grande. La tesi della propaganda borghese va perciò oggi combattuta, perché palesemente infondata.

La Fiat è all'origine una fabbrica di automobili italiana. Oggi è una grande società finanziaria internazionale che investe anche in fabbriche di automobili in Italia. Quello che interessa sono gli avvenimenti recenti nelle fabbriche di automobili italiane della Fiat, che sono, come è noto, una delle industrie più importanti in Italia. Il fatto che la Fiat sia oggi una società finanziaria internazionale ha come conseguenza che ha molte scelte e non è più obbligata a salvare a qualsiasi costo le fabbriche italiane di auto (cioè anche lavorando, in certi periodi, a bassi tassi di profitto, in attesa di tempi migliori. Ciò è quello che una volta dovevano fare gli industriali vecchio tipo, che nati fabbricanti di scarpe, non potevano riconvertirsi di punto in bianco in pasticceri per inseguire migliori prospettive di guadagno. Il capitale finanziario invece può farlo). Se il profitto delle fabbriche italiane di auto non è soddisfacente, la Fiat può benissimo spostare altrove i suoi investimenti e chiudere queste fabbriche auto. La Fiat è, per così dire, il principale banchiere delle sue diverse attività industriali nel mondo. (esagerazione)

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La Fiat ha radicalmente ricostruito, finita la 2° guerra mondiale, le fabbriche di automobili di Torino (anni 50/60). La principale novità è stata l'estensione del sistema della catena e la produzione di nuovi modelli medio/piccoli di vetture ad uso privato, in grado di affrontare il mercato internazionale. Notevoli cambiamenti sono intervenuti nella composizione della classe operaia. Sono entrati in fabbrica molti giovani operai non qualificati (immigrati dal sud e dal Veneto), ed il peso dei vecchi operai professionali è diminuito. Questa operazione ha implicato grandi investimenti da parte della finanziaria Fiat ed ampio ricorso al credito di altri istituti finanziari pubblici e privati. La partecipazione di denaro della Fiat, denaro di banche pubbliche e di banche private, avviene di necessità a tassi di interesse uguali o molto vicini (2). Si deve dunque sottolineare che la finanziaria Fiat non può investire nella sue stesse fabbriche di auto ad un tasso inferiore a quello di mercato (cioè ad una specie di tasso di favore), perché, potendo scegliere i suoi investimenti, quelli che piazzasse a livello di interesse più basso di quello di mercato, contribuirebbero ad abbassare sotto il livello medio di profitto l'intero rendimento della finanziaria nel suo complesso: il che non avrebbe senso. In un primo momento (anni '60 e inizio '70) la situazione è stata caratterizzata da un prodotto a bassi costi industriali (mano d'opera, materie prime), vendibile a prezzi di mercato relativamente elevati, comprensivi di notevoli sovraprofitti di monopolio (cioè di profitti più alti della media a ragione della posizione di monopolio del produttore). La presenza di rilevanti oneri finanziari (interessi sui prestiti) risultava affrontabile proprio per mezzo dei sovraprofitti di monopolio. Ma in un secondo momento (anni '70), i capitali concorrenti a livello mondiale hanno investito nel settore auto (è comparsa anche la nuova industria giapponese), provocando un abbassamento dei prezzi di mercato, una riduzione dei sovraprofitti di monopolio e una conseguente difficoltà per la Fiat di sopportare gli oneri finanziari elevati di cui sopra. A rendere più difficile la situazione, si profilava la necessità di provvedere ad un ammortamento anticipato (in pratica ad una sostituzione anticipata) degli impianti, che a causa della concorrenza sempre più aggiornata, invecchiavano (dal punto di vista tecnico) più presto del previsto, con ulteriori oneri finanziari supplementari. Sarebbe stato indispensabile per la Fiat, per prevenire questa situazione, impedire la generalizzazione della modernizzazione (cioè ovviamente frenare il progresso tecnico) nel settore (modernizzazione nella quale è stato un pioniere in questo periodo), ma ciò non era certo possibile di fronte ai giganti delle imprese tedesche, francesi, americane e giapponesi. è in dubbio che la Fiat si è battuta aggressivamente sul piano mondiale, costruendo fabbriche in Spagna ed in America Latina e vendendo impianti e tecnologie anche nei paesi dell'EST (il caso dell'impianto costruito in Russia a Togliattigrad è esemplare).
La prima tentazione della Fiat sarà stata quella di abbandonare il settore auto, ma nello stesso periodo il ciclo economico dell'auto si inseriva in un ciclo di crisi profonda di tutta l'economia capitalistica (dal 73 in poi) a livello mondiale (dovuto grosso modo alle stesse ragioni della crisi Fiat), e una tale scelta non sarebbe stata neppure praticabile. È stato fatto credere che la crisi economica di quegli anni sarebbe stata causata dallo aumento del prezzo del petrolio, che avrebbe in particolare danneggiato l'industria automobilistica. Ciò non è vero. La tendenza alla caduta del saggio di profitto, per le ragioni suddette, era già presente prima del primo aumento del prezzo del petrolio, e l'aumento del prezzo del petrolio ha provocato essenzialmente il drenaggio di una massa enorme di capitali, che, con la mediazione compiacente degli stati produttori (i c.d. sceicchi) si sono concentrati nelle banche europee e americane (i petrodollari) a disposizione dei nuovi investimenti diretti al superamento della crisi generalizzata che si stava profilando. È ben vero che anche l'industria automobilistica ha pagato il suo scotto alla generale operazione di drenaggio di soldi, ma né più né meno di tutti gli altri soggetti economici, fino al più demunito dei proletari. Insomma l'aumento del prezzo del petrolio è stato più un inizio di rimedio alla crisi generalizzata che una causa di questa stessa crisi.
Per uscire dalla situazione la Fiat non ha avuto dunque che una sola possibilità; quella di far fare un nuovo salto alla composizione organica del capitale nelle fabbriche auto, introducendo l'automazione nel processo lavorativo, diminuendo drasticamente il lavoro vivo, decentrando una parte della lavorazione nelle aree del lavoro nero sottopagato, realizzando accordi di monopolio internazionali per mettersi al riparo di nuovi nefasti effetti della concorrenza. Nello stesso tempo la Fiat ha sviluppato la tendenza a produrre in proprio la ricerca e i prodotti della nuova tecnologia , aumentando così le barriere contro la concorrenza. è questa la operazione con cui iniziano gli anni 80. Ma prima di parlare di questa operazione, dobbiamo affrontare un altro problema. (nascita holding)

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Come ha fatto la Fiat a trovare nuovi finanziamenti in un momento di crisi e quando la sua stessa capacità di accumulare profitti stava diminuendo? (questo stesso problema riguarda sia la fase del dopoguerra -50/60- che la fase attuale 70/80). la spiegazione è semplice: quando la crisi di una impresa coincide con una crisi generalizzata, se la impresa in questione è grande essa si giova della crisi delle più piccole, per assorbire tutti i capitali disponibili che normalmente si sarebbero diffusi in tutto il tessuto economico. I capitali disponibili che non trovano facilmente un impiego redditizio nel momento della crisi generalizzata, si orientano, soprattutto attraverso il sistema bancario, verso la impresa più grande che ha maggiori possibilità di uscire dalle difficoltà. In generale è noto che nei periodi di crisi si formano grosse fortune finanziarie nate da puri fenomeni di speculazione (cioè di intermediazione sui prezzi presenti in diversi settori di mercato, che sempre a causa della crisi, comunicano male fra di loro: nella forma ad es. di contrabbandi vari di merci, di compra e vendita di valuta, di metalli preziosi etc.). L'operazione "aumento del prezzo del petrolio" (di cui abbiamo già parlato), assomiglia molto ad una gigantesca speculazione organizzata artificialmente. Nei paesi produttori, il prezzo non è realmente aumentato perchè i benefici dell'aumento non si sono riversati sui sistemi economici di questi paesi (eccezione fatta naturalmente per i benefici personali degli agenti speculatori); l'aumento è stato reale per i sistemi economici dei paesi consumatori che l'hanno duramente pagato. Qui, cioè negli stessi paesi consumatori che l'hanno duramente pagato. Qui, cioè negli stessi paesi consumatori, i benefici si sono concentrati negli istituti finanziari più importanti che sostengono le imprese industriali più grandi. (si deve tener presente che in forma minore, analoghi fenomeni si sono verificati nello stesso periodo sui mercati di altre materie prime). Queste fortune debbono prima o poi depositarsi in qualche ciclo produttivo: appunto quello della impresa più grandi lasciando morire le più piccole (3). Si tratta del noto fenomeno della concentrazione industriale che segue ogni depressione.

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Dunque all'inizio degli 80 la Fiat realizza il suo secondo grande ciclo di ristrutturazione del dopoguerra.

I risultati sono noti: licenziamenti di massa (4), aumento del lavoro nero sottopagato nell'indotto, aumento degli oneri assistenziali per lo stato (la cassa integrazione ha portato l'INPS sull'urlo della bancarotta). Ma anche aumento dei ritmi nella fabbrica centrale e diminuzione dei salari reali. Nello stesso tempo la Fiat sviluppa una intensa rete di contatti internazionali, in vista di realizzare delle intese con tutti i maggiori concorrenti (nazionali, es. Alfa Romeo; esteri es. Ford), salvo, a quanto pare, i giapponesi che invece intrecciano i loro rapporti con l'Alfa Romeo, Italtel per evitare la concorrenza nei settori tecnologicamente avanzati. In questi accordi la tecnologia avanzata viene prodotta congiuntamente dai concorrenti. Così da una parte essi si risparmiano di duplicare le spese di ricerca e dall'altra parte si accordano per far incidere il contro delle tecnologie avanzate su rispettivi processi di produzione in misura uguale, per evitare che i benefici derivanti dalla introduzione delle nuove tecnologie spingano uno di loro a fare, all'altro, della concorrenza abbassando i prezzi del prodotto finito. Così anche evitano il rischio che nuovi concorrenti potenziali entrino sul mercato impadronendosi delle nuove tecnologie. La ricerca sulle tecnologie del futuro viene sempre più direttamente controllata dalla rete composta dalle grandi finanziarie internazionali e dai grandi oligopoli cartellizzati, in modo da evitare la diffusione di queste tecnologie del futuro, di rinviarne a piacere l'impiego, o, al massimo, indirizzandone l'impiego nel settore militare, a partire dal quale rischiano meno di essere diffuse, perché tenute segrete esigenze di sicurezza. Così la Fiat, ed i suoi concorrenti, cercano di evitare che le nuove tecnologie da loro introdotte si diffondano provocando la caduta del saggio del profitto. Si battono per evitare lo sviluppo delle forze produttive nell'intero sistema economico, per tenere i benefici nelle loro esclusive mani.
I possibili vantaggi che in questo modo di ristrutturazione vanno perduti per la società, sono abbastanza chiari. Basta pensare all'immenso impiego che avrebbero in ogni attività produttiva, dei motori industriali a basso prezzo come potrebbero essere prodotti in quantità con le nuove tecnologie, ed all'aumento della occupazione che potrebbe derivare nei più vari settori produttivi. Ma ciò non è avvenuto e non avverrà mai (e non c'entra che Agnelli sia buono o cattivo) perché la ristrutturazione Fiat ha necessariamente come unico scopo quello di ricostruire e conservare il più alto margine di profitto possibile. Una economia pianificata potrebbe fare diversamente. (Per intenderci intendiamo per "economia pianificata" una economia nella quale le imprese non sono più in concorrenza fra di loro, perché sottratte al controllo privato e tutte sottoposte al controllo collettivo unificato). La necessità di finanziare il rinnovamento tecnologico di una impresa come la Fiat, potrebbe essere affrontata con un finanziamento pubblico a basso tasso di interesse, con l'ovvia intesa che il sistema economico nel suo insieme sarebbe compensato dal sacrificio costituito dal finanziamento a basso tasso di interesse, per mezzo della immediata disponibilità a bassi prezzi di mercato dei motori Fiat e della generale disponibilità della tecnica per la loro produzione. La impresa Fiat non sarebbe obbligata ad agire con la logica del monopolio per accaparrarsi sovrapprofitti esorbitanti, necessari a coprire degli esorbitanti oneri finanziari. I benefici che l'intero sistema economico otterrebbe dalla disponibilità di motori a basso prezzo (per esempio) creerebbe le possibilità di nuovi posti di lavoro che la nuova tecnologia avrebbe soppresso nella fabbrica Fiat. Naturalmente non è tutto così semplice, ma il nocciolo della questione è qui. Una economia pianificata contribuirebbe ad un generale sviluppo delle forze produttive (forza lavoro compresa). Ma per fare ciò sarebbe necessario decapitare la finanziaria Fiat: il che vorrebbe dire mutare radicalmente i rapporti di produzione, e cioè fare una rivoluzione politica radicale. (5)


1) Fluidità del capitale finanziario
chiude
vende
2) Fonti di finanziamento della ristrutturazione fiat 50/60 (controinformazione)
3) Tassi di interesse praticati all'interno del gruppo [influsso della rendita]
4) Posizione di monopolio Fiat ? Quando è quanto - concorrenza internazionale
5) Formazione della holding
6) Politica salariale nell'indotto
7) Strategia degli accordi oligopolistici
8) Quadro di tutta la holding


Note:

(1) con enormi costi sociali (miseria di massa) e con regolari ricorsi alla guerra in forme sempre più distruttive

(2) per la ragione che tutti indistintamente gli istituti finanziari dei più diversi tipi debbano "retribuire" coloro che hanno investito denaro per loro tramite. Se prestano ad un più basso tasso possono "retribuire" meno e quindi allontanano gli investitori da sé e li spingono verso gli altri. Una unica eccezione apparente esiste: quella in cui lo stato integri a fondo perduto i prestiti a basso interesse.

(3) Per quanto riguarda i pretesi danni subiti dall'industria auto a causa dell'aumento del prezzo del petrolio, basta ricordare che la Fiat ha aperto le porte a più coriacei fra i produttori di petrolio (i libici), accogliendoli come soci a prezzo del versamento di ingenti capitali, appunto derivati dagli aumentati prezzi del petrolio.

(4) nell'autunno 80, preceduti dal licenziamento di un gruppo di avanguardie politiche operaie (a cominciare dai c.d. 61), diretto a indebolire il livello di resistenza che avrebbe opposto la collettività operaia dalla fabbrica alla ristrutturazione.

(5) Per questo che diciamo che per sviluppare le forze produttive è necessario cambiare i rapporti di produzione.


(giugno '85)

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