aprile 1992
LA SITUAZIONE: I PAESI DELL'EX EST. POLONIA
Ci sono diverse ragioni per dare una priorità al caso polacco. La prima è quella che la Polonia, per le dimensioni fisiche, per la importanza economica e strategica, occupa un posto centrale nel sistema dei paesi europei ex comunisti.
Nello stesso tempo si tratta del paese che oggi si presenta come il più "avanzato" sulla strada del passaggio al capitalismo, e perciò del punto centrale di intervento del mondo occidentale in tutta l'area ex comunista d'Europa e come il "modello" a partire dal quale si caratterizza l'intervento in URSS (ex). E forse persino in Cina. Infine si tratta del paese dell'area nel quale il movimento operaio ha esercitato da tempo un ruolo fondamentale nello sviluppo delle contraddizioni, il che non si può dire di tutti gli altri paesi. Ciò anche a prescindere dalla presenza di una forza di lavoro contadina assai rilevante (e poco socializzata), da una influenza del cattolicesimo molto rilevante, e da precedenti politici non certo brillanti, ivi compresa la storia del partito comunista polacco (di cui ora molto si parla) e della ambiguità dei rapporti dei polacchi con i tedeschi nazisti (ivi compresi i campi di sterminio).
Argomenti "storici" su cui si dovrebbe tornare, trattando in modo tematico il caso polacco.
Ma ora ci interessa un esame della situazione attuale e del suo ruolo in tutta l'area dei paesi ex comunisti, specialmente europei e della stessa Unione Sovietica (ex).
Si deve tenere presente che l'equipe di consiglieri economici occidentali impegnata in Polonia è per gran parte la stessa che si sta interessando dei problemi del passaggio al capitalismo in Unione Sovietica (ex).
Se la Polonia, grazie all'Armata Rossa, diviene un paese socialista nell'immediato dopoguerra (1947), è anche il paese in cui le contraddizioni di classe nel socialismo si manifestano con maggiore precocità. Se escludiamo Berlino del 53, Polonia ed Ungheria del 56 costituiscono i casi più rilevanti. Con la differenza che in Ungheria nel 56 il progetto "troppo avanzato" di Nogy (di precipitare una riforma politica insieme ad una riforma economica) provocherà le reazioni più dure degli stessi revisionisti sovietici, mentre in Polonia le tensioni sociali e politiche saranno risolte dall'iperrevisionista Gomulka, che fin da allora darà luogo ad una fase esemplare di passaggio fuori dal socialismo, quale ancora in URSS solo timidamente Krusciov tentava.
Dunque la nostra prima assunzione è quella che in Polonia il "revisionismo" prende piede fin dal 56 e che tutto il resto della storia di questo paese è quello del fallimento di questa esperienza e della svendita del paese alla borghesia imperialista internazionale. Fino alla situazione estrema e catastrofica dei nostri giorni.
Ma in che cosa consiste questo passaggio al revisionismo?
La lotta di classe continua nel socialismo, cioè nella fase della transizione dal capitalismo al comunismo. Il che significa che nella fase di transizione le classi continuano ad esistere. Ma quali classi? Con riferimento all'esperienza storica concreta dobbiamo ritenere che nel secondo dopoguerra nei paesi conquistati alla fase di transizione (o che vi erano pervenuti con le loro proprie forze - come la Yugoslavia o la Cina), quanto meno in una prima fase, almeno una frazione della classe dominante (quella legata agli interessi dell'imperialismo internazionale) è stata economicamente espropriata e politicamente neutralizzata, anche se non si può dire che sia stata sempre socialmente annullata. Dunque il conflitto di classe in questi paesi non vede più presente una frazione efficace della borghesia imperialista. A fronte dunque del proletariato operaio ed agricolo, e di una piccola e media borghesia, soprattutto i contadini piccolo e medio proprietari, artigiani ed intellettuali e professionisti concentrati nelle grandi città, si pone lo strato dei funzionari dello Stato "socialista", in primo luogo lo strato dei funzionari amministratori della produzione industriale statale, ai quali fanno da corte tutte le altre categorie della pubblica amministrazione ai livelli più alti, quella che la pubblicistica borghese ha chiamato la "nomenklatura". Si può porre la questione di sapere fino a che punto la deformazione revisionista delle relazioni fra Stati della comunità "socialista" abbia dato luogo a rapporti interni a questa comunità di tipo imperialista (con al centro l'URSS revisionista) e perciò, di conseguenza a strati sociali direttamente legati (come una qualsiasi borghesia compradora) al socialimperialismo. In effetti nel caso polacco fin dal 56 la crisi economica e le tensioni sociali (specialmente operaie) hanno portato al potere con Gomulka un ceto politico rappresentativo di "interessi nazionalisti" in conflitto sempre più aperto con i russi, benché i relativi sistemi politici fossero sostanzialmente omogenei. Perché questi strati sociali possano essere considerati come costituiti in classe, la borghesia nuova, occorrono alcune condizioni. In primo luogo l'assenza di qualsiasi dimensione di potere "sovietico", ed in secondo luogo l'assenza di un partito comunista con una profonda radice leninista. Condizioni del genere si può ritenere che in Polonia fossero tutte pienamente presenti, e che pertanto la analisi degli strati sociali dirigenti ai massimi livelli, come una vera e propria classe, un tipo di classe borghese, sia pienamente legittima.
Il revisionismo polacco rappresenta una lunga e complessa esperienza che va dal 56 all'89, un periodo di oltre trent'anni di gran lunga più lungo del decennio del fallito tentativo di avviare una fase di transizione nel secondo dopoguerra, ed alla fine del quale, come vedremo, inizia il triennio in corso (90, 91, 92) quello del vero e proprio passaggio nella sfera dell'imperialismo occidentale, con le relative conseguenze sulle strutture sociali.
In tutto il periodo le tensioni sociali, fra la nuova classe borghese e specialmente la classe operaia, si sviluppano in modo sempre più acuto seppure la classe operaia manchi di una guida politica organizzata e subisca continui tentativi spesso riusciti di manipolazione da parte dell'imperialismo occidentale, dalla chiesa cattolica e da strati di intellettuali, relativamente privilegiati, legati a prospettive di "occidentalizzazione", mentre allo stesso tempo, gli interessi economici, politici e strategico-militari del socialimperialismo russo si sforzano di contenere la deriva "nazionalista" del paese. Il fallimento del revisionismo "nazionale" polacco è esemplare e meriterà ulteriori approfondimenti, in relazione ad altre analoghe esperienze in altri paesi.
Fino all'80 (fondazione di Solidarnosc ed accordi di Gdansk) si può parlare di un tipico caso di tentativi successivi di riforme economiche, senza riforme politiche per non mettere in pericolo potere e privilegi della nuova classe, nel contempo tentando qualche manovra conciliatrice nei confronti della classe operaia e nello stesso tempo una schermaglia per tenere a bada il potente vicino russo.
Nel 70 Gierek sostituisce alla leadership Gomulka, e si amplia una strategia di dipendenza dall'occidente (indebitamento crescente) ed una prima fase di politica della austerità diretta a migliorare la competitività del sistema economico sempre nei confronti dell'occidente. 75 e 76 sono anni di grave crisi economica e sociale, in coincidenza per nulla casuale con l'inizio della lunga fase di crisi economica dell'occidente. Gierek dovrà fare marcia indietro ed aprire un poco la borsa per cercare di calmare la tensione sociale, ma senza risultati apprezzabili. Non si profilano i tempi del "revisionismo" dal volto umano. La Polonia continua ad essere alle soglie di una vera e propria guerra civile, situazione che si andrà perpetuando fino ai nostri giorni, con ricorrenti episodi di autentica "guerriglia". Il fallimento di questa esperienza di "revisionismo" dal volto umano è clamorosa, probabilmente la più clamorosa di tutto il mondo dell'ex Est.
La realtà materiale della lotta di classe, inquinata dalle forti influenze occidentali e clericali, produrrà la formazione di un embrione di organizzazione operaia, nella forma del "sindacato indipendente" di Walesa (1980). Si tratta molto più di un sindacato, in realtà si tratta della forza motrice per il passaggio dalla riforma economica alla riforma politica. Ma quale riforma politica?
Ancora adesso probabilmente Deng studia le esperienze polacche per trarre sempre e di nuovo la conclusione che la nuova classe (i revisionisti moderni, di cui egli in Cina è il massimo degli esponenti) non può permettersi alcuna riforma politica senza far correre il rischio alla nuova classe di vedere sbriciolarsi il suo potere ed il paese piombare nel caos.
In un primo momento la nuova classe reagisce con una certa energia. Alla legalizzazione di Solidarnosc, solo un anno dopo segue il colpo di Stato "militare" di Jaruzelski.
Secondo la terminologia stessa di Walesa (fra il dicembre 81 ed il settembre 89) si svolge un periodo di "guerra civile fredda".
Ma quale è l'obiettivo della richiesta di riforma politica? Evidentemente quello della introduzione del pluralismo e della eliminazione del ruolo del partito unico. Ma una apertura al pluralismo politico a chi è destinata a giovare? Altra cosa è infatti la apertura di spazi ad una organizzazione operaia con ambizioni di esercizio del potere, ed altra cosa è una apertura alle influenze politiche dell'imperialismo occidentale, destinata a far crollare le ultime barriere alla penetrazione ed espansione della borghesia imperialista e delle sue clientele locali. Solidarnosc è un conglomerato troppo vario, come il suo attuale disgregamento dimostra a sufficienza, per poter rappresentare una chiara opzione di classe. E tutto congiura, ivi compresa la evoluzione della situazione internazionale, alla prevalenza del più forte, che in questo caso non è certamente il proletariato operaio.
Così quando in definitiva Jaruzelski dovrà arrendersi all'evidenza della impraticabilità del suo "revisionismo dal volto umano" (altro che feroce dittatura militare, i nostalgici di Jaruzelski oggi si moltiplicano anche fra i ceti più marcatamente proletari, con scarse prospettive di riemergere), la nuova classe lascia il passo alla grande riforma, sotto l'ingannevole apparenza di un trionfo di Solidarnosc. E' lo stesso Jaruzelski che nel settembre 89 nomina primo ministro Mazowieski, leader di spicco di Solidarnosc, ed è Mazowieski che due mesi dopo affida la guida dell'economia a Balcerowicz, uomo di grande fiducia degli occidentali. Ancora essendo Jaruzelski a capo dello Stato, il suo governo inizia una feroce politica deflazionistica che è tuttora in corso. Nell'ottobre 90 Walesa assume direttamente il potere, evince Jaruzelski, ed allontana (parzialmente e provvisoriamente) Mazowieski. Solo Balcerowicz resta fermamente in sella. Il trionfo di Walesa, in sostanza grazie ai voti dei seguaci di Mazowieski, significa la fine di Solidarnosc e lo smascheramento definitivo del suo bigotto leader. Sotto il regime di Walesa la situazione precipita ed inizia il triennio del grande shock o del big bang, in cui la definitiva evizione delle istanze borghesi nazionali e del loro revisionismo dal volto umano si consuma a vantaggio della penetrazione della borghesia imperialista. Ciò mentre nel quadro internazionale una analoga evoluzione si sta verificando in tutta l'area.
Sembra che nei primi mesi del 92 la situazione tenda a stabilizzarsi, ma ciò nel senso che può delinearsi un momento di arresto del crollo economico, solo in vista dell'approssimarsi del punto più basso della china. La conclusione del processo di terzomondizzazione. Naturalmente anche gli equilibri politici risentono di questa fase estrema. Il governo nei primi mesi del 92 governa senza maggioranza parlamentare ed anzi contro il parlamento (finalmente liberalmente eletto con una proporzionale perfetta), ed il controllo delle forze armate diviene argomento di espresso conflitto fra Walesa, il Governo ed il Parlamento. Vediamo sommariaente i dati economici presenti:
a) produzione industriale: all'inizio del periodo shock (90), la produzione industriale diminuiva di circa il 23% all'anno, nel 91 diminuiva del 20-25% in ragione di anno, nei primi mesi del 92 sta diminuendo del 40% in ragione di anno;
b) prodotto nazionale lordo: nel periodo 86/90 diminuiva in ragione del 3% all'anno, nel 90 è diminuito del 15%;
c) disoccupazione: nel 90 era del 6% della forza lavoro, nel 91 era l'11%, nei primi mesi del 92 del 20%;
d) inflazione: da un 700% all'anno negli ultimi anni del decennio 80, si è attualmente ridotta a circa il 70%.
L'esame di questi indici elementari mostra chiaramente gli effetti di una politica vigorosamente deflazionistica, che ha ottenuto i più calorosi plausi dal FMI e dagli altri organismi, esperti e consiglieri occidentali. La conseguenza fondamentale è stata una violenta deindustrializzazione ed un vertiginoso aumento della disoccupazione. Con l'avvertimento che non c'è da aspettarsi che le industrie chiuse in Polonia si trasferiscano a Singapore e che in Polonia si sviluppi un formidabile terziario. Non si tratta quindi di terziarizzazione alla maniera del centro imperialista, ma pura e semplice disgregazione dell'economia nazionale alla maniera della periferia terzomondista. Che cosa ne vogliano fare della classe operaia disoccupata le varie frazioni della borghesia imperialista non è difficile immaginare.
Mano d'opera per la propria industria decentrata.
Naturalmente le vantate riforme politiche liberali sono destinate ugualmente a sparire in un qualche regime autoritario del genere di quelli che sono in corso di realizzazione sia nel centro imperialista che in tutti gli ordini di periferie.