SU PROBLEMI CRUCIALI quali la socialità, i conflitti, il terzo
settore e i Centri sociali si va dipanando una discussione di grande
interesse.
Relativamente al non profit alcuni problemi sollevati da Alberto
Burgio e da Rossana Rossanda su questo giornale sono reali. Le
imprese non profit occupano spazi che il welfare abbandona, ma senza
i finanziamenti pubblici scomparirebbero. Lo stato rispetto al non
profit svolge il ruolo della multinazionale rispetto all'indotto
alla fine del fordismo: tende a portare all'esterno tutto ciò che
può al fine di ridurre i costi e il conflitto. Inoltre,
flessibilità, individualizzazione, carenza di tutele giuridiche ed
economiche riguardano anche il lavoro non profit e costituiscono il
lato oscuro del volontariato. Alcuni settori del non profit, ad
esempio quello della cooperazione internazionale, a volte svolgono
la funzione di apripista per investimenti multinazionali. Il
rapporto con la politica ondeggia tra autonomia possibile e simbiosi
necessaria, viste le tante relazioni che occorrono onde avere
commesse e finanziamenti. Tralasciamo, infine, che nel non profit
sono molti i furbi che di profitti - in forma di intrallazzi - ne
fanno eccome.
Il terzo settore
I Centri sociali stanno subendo una rapida trasformazione, ma quanto
viene generalmente colto ingenera spesso fraintendimenti. Fino
all'altro ieri li si assimilava a residui identitari speculari al
fenomeno dei Comitati dei cittadini, oggi li si etichetta come
speciali imprese non profit. L'errore di prima era mostruoso, quello
di oggi grossolano. Tra centri sociali e settore non profit c'è una
similitudine apparente, perché entrambi funzionano senza fini di
lucro.
Tuttavia, i centri sociali, diversamente dalle imprese del terzo
settore, non ricevono alcun finanziamento; in compenso la loro
multiforme attività viene inibita da tonnellate di denunce e da
qualche non sempre pacifico sgombero. Ma ciò che importa chiarire è
che i centri sociali non sono assimilabili ad alcun che, neanche a
nobili e gloriose associazioni del volontariato; essi tendono a
scrivere per sé un'autonomia che ne evidenzi la specifica differenza
e l'irriducibilità al mercato, fosse pure solidale. Per svolgere una
funzione creativa e innovativa, alternativa all'economia di mercato
- come ha ipotizzato giustamente Marco Revelli tra le possibilità
insite nello sviluppo del terzo settore - non è detto che i centri
sociali debbano seguire il modello delle imprese non profit, semmai
è augurabile che succeda il contrario, che nel campo
dell'assistenza, della cooperazione, della solidarietà, della cura
si scoperchi quanto di concentrazionario, di business, di coercitivo
vi giace. Già alcuni lo fanno, ma molti altri sarebbe augurabile che
lo facessero.
Per questi motivi, e visto che siamo in una fase storica di
transizione, dobbiamo porci il problema, in presenza di più opzioni
teoriche, quale di esse può fornire la linfa vitale a futuribili
processi di trasformazione.
Ora, a noi pare che il discorso di Revelli presta il fianco a molte
critiche. Tuttavia, la grande differenza tra lui e Rossana Rossanda
è che Revelli farà pure degli errori, ma si capisce qual è
l'orizzonte che tenta di aprire, mentre Rossanda, pur facendo un
discorso a tratti perfetto, si limita a constatare che Revelli
sbaglia. La vita è maestra di paradossi: gli errori invitano alla
prassi, troppe verità, loro malgrado, conducono all'immobilismo.
Allegoria della città
I Centri sociali dall'autocompiacimento del ghetto alla forza del
progetto; da simbolo del disagio giovanile e di resistenza politica
ad elemento allegorico della città: queste sono le più vistose
trasformazioni agite dai centri sociali. In questo passaggio si
situa il delicato rapporto tra socialità e conflitto. Non è vero che
lo scopo del conflitto dev'essere la produzione di socialità.
Piuttosto è vero che la produzione di socialità può essere una forma
del conflitto; e che tra quest'ultimo, la socialità e centri sociali
c'è un rapporto complesso determinato dall'attuale composizione
sociale di classe. Per molti soggetti è impossibile confliggere sul
posto di lavoro se non nella forma individuale data dal grado di
sostituibilità della propria funzione. Anche nel lavoro dipendente e
pubblico ciascuno tende a negoziare tempi e redditi come se
lavorasse su commessa. Le forme del lavoro autonomo -
autoimprenditoria, flessibilità, mobilità e conseguente riduzione
delle tutele giuridiche, precarietà e contrattazione individuale -
non riguardano un settore della forza lavoro, ma formano il
paradigma della nuova composizione della forza-lavoro.
Il conflitto tende dunque a separarsi dalla collocazione nel mercato
del lavoro. Ciò è inevitabile e rincorrerlo solo in lotte settoriali
e di resistenza è un obiettivo mobile, ma destinato a sicura
sconfitta. Ciò che è necessario fare è aggredire il problema sul
piano generale attraverso la rivendicazione di una nuova carta dei
diritti d'esistenza che non discrimini, sul reddito e il lavoro, gli
occupati dai disoccupati, gli uomini dalle donne, i giovani dagli
anziani, i comunitari dagli extracomunitari.
Incontro a tema
Una battaglia di civiltà e di carattere strategico simile ha bisogno
di idee, ma anche i luoghi capaci di rompere gli steccati
ideologici, in cui sperimentare nuove forme dell'agire politico. Ciò
a cui i centri sociali alludono è proprio la formazione di un
soggetto politico che nella polis si scontra con i potentati
economici e le istituzioni culturali e politiche dominanti.
Il problema della socialità invece è stato sempre importante per
ogni società, per ogni movimento sociale. Oggi, però, è il rapporto
tra socialità e conflitto che è mutato, mentre il conflitto è stato
mimetizzato dalle trasformazioni produttive. Sarà per questo che i
centri sociali sono sommersi da una valanga di richieste di soggetti
sociali diversissimi fra di loro. Il resto - le autoproduzioni, le
associazioni, le testate, le cooperative che vanno proliferando
nella loro galassia - è solo funzionale alla solidità e alla
continuità di un'impresa, quella dei centri sociali, che punta a
produrre un soggetto politico.
Su socialità, solidarietà e conflitti avremo occasione di discutere
sabato 6 luglio a Milano, alla Calusca di Via Conchetta 18, nel
seminario cui parteciperanno, oltre ai sottoscritti, Aldo Bonomi,
Alberto Burgio, Cristian Marazzi, Primo Moroni, Pier Paolo Poggio,
Marco Revelli e Alfredo Salsano.