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E rispetto a tutto ciò, in cosa si differenziavano le richieste
dei giovani dei Circoli del proletariato giovanile?
I giovani dei Circoli, ma più in generale il movimento del '77, avevano
un universo socioculturale diverso. Non credevano più nella fabbrica,
facevano il possibile per non andarci (anche se più tardi molti di loro vi
saranno costretti), diffidavano fortemente della politica e realizzavano
preferibilmente i loro universi vitali all'interno delle compagnie di
quartiere, dei piccoli gruppi in cui erano cresciuti e di cui si fidavano.
Prima era un punto di onore andare in fabbrica: il massimo era l'essere
laureati ma fare lavoro politico in fabbrica o addirittura andare a fare
l'operaio. Tutte queste scelte tendono invece a cadere con il movimento
del '77. Non si deve però pensare che fosse esclusivamente un fatto
culturale, in realtà, come ho detto prima, la fabbrica si stava disgregando
sotto l'offensiva padronale della ristrutturazione dei cicli produttivi e
questo processo era principalmente favorito dagli stessi vertici sindacali
che progressivamente avrebbero delegittimato gli stessi consigli di
fabbrica. In parallelo iniziava il grande ciclo del decentramento
produttivo con la conseguente diffusione dell'economia sommersa e del
lavoro nero, ed è proprio a questo comparto del mercato del lavoro che i
giovani dei Circoli si sentivano destinati mentre la grande fabbrica veniva
vissuta come un luogo del disciplinamento e del lavoro poco gratificante.
Questo spiega l'importanza data dai Circoli alle ronde contro il lavoro
nero, o ronde proletarie, e anche la tendenza o la scelta a radicarsi nel
territorio di appartenenza (quartiere, rione o zona della città), proprio
perché lavoro, quartiere, tempo vissuto e realizzazione di sé venivano
a essere riterritorializzati e, in questo spazio, occorreva, o meglio era
indispensabile, produrre il conflitto e l'autodeterminazione della propria
esistenza. Questo spiega perché il movimento dell'autonomia diffusa
ebbe tanto seguito. Assai meno ne ebbe quello dell'autonomia
organizzata nonostante i continui tentativi di egemonizzare queste nuove
soggettività. Nel caso milanese occorre dire che per ciò che riguarda
l'area dell'autonomia non c e mai stato un gruppo egemone come invece,
per esempio, a Padova con i Collettivi Politici o a Roma con i Volsci; a
Milano c'erano molte componenti diverse. C'era Rosso, il cui
riferimento intellettuale (ma non l'unico) era Toni Negri, c'era Senza
Tregua, formato essenzialmente dall'ex corrente operaia di Lotta
Continua oramai autonomizzata. Poi c'era il Coordinamento Organismi
Autonomi Zona Sud, che aveva sede nel CoCuLo, ovverosia del
Comitato Comunista di Unità e di Lotta, che aveva grandi esponenti
intellettuali come il mitico avvocato Giuliano Spazzali o Rudi
Pallabazzer (che si firmava Paolo Frignano perché era nato nel paese
omonimo vicino a Napoli). Nel frattempo si era anche sciolto Servire il
Popolo e i suoi militanti avevano dato vita alla rivista La Voce Operaia,
una sorta di autonomia marxista-leninista. Quindi c'erano almeno quattro
componenti milanesi dell'autonomia che non andavano granché
d'accordo tra di loro ma che erano comunque molto massicce nelle
azioni di lotta. Orizzontarsi dentro questo puzzle milanese era quindi
come muoversi in un labirinto. In questa situazione i Circoli si
muovevano con molta circospezione e pur frequentando alcune sedi
dell'autonomia (soprattutto Rosso e il CoCuLo) non sono mai stati
riconosciuti completamente nella loro progettualità politica.
La libreria come vive quel periodo?
In questo clima, mentre si passa dal '76 al '77, la vita quotidiana della
libreria registra trasformazioni considerevoli. I giovani del movimento
'77 si mischiano con i vecchi militanti, le componenti libertarie e
situazioniste si rinnovano e si diffondono. A fianco poi c'è l'estensione
generalizzata delle pratiche femministe che dopo e durante la
sperimentazione dei gruppi di autocoscienza si dotano di giornali, riviste,
sedi proprie. Certamente l'emergere delle tematiche femministe
contribuisce a dare il colpo definitivo ai gruppi verticali. Molte
militanti uscirono dalle organizzazioni e altre rimasero all'interno ma
anche queste ultime con profonda e rinnovata autonomia. Tutto ciò che
riguardava l'autorità maschile sia in politica che nel privato venne
rimesso in discussione dalle fondamenta. La battaglia contro i ruoli
produsse sfracelli sia in politica che tra le coppie dei compagni. Ci furono
moltissime separazioni con conseguenze spesso drammatiche sulla vita
dei militanti maschi. In realtà la gran parte della politica militante era
stata fortemente caratterizzata da un maschilismo strisciante, o di
contenuti, e la rivolta delle donne trovò gli uomini totalmente impreparati
a fronteggiare queste nuove identità. Comincia così in Calusca una
processione di compagni più o meno giovani che hanno in crisi la
coppia e di conseguenza fanno un uso accelerato di psicoanalisi e di
testi sulla sessualità per capire dove diavolo vanno a finire o meglio che
cosa è successo alle loro esistenze private investite dal ciclone
femminista. E' un periodo, e durerà molto, di grande malessere per gli
uomini. Il '77 sarà dunque un anno assolutamente faticosissimo da vivere
in libreria. Faticoso proprio nei rapporti interpersonali quotidiani anche
se, come riscontro, vi è una grande ricchezza derivata dall'inquietudine e
dalla ricerca di nuove vie e di nuove culture. In questo quadro ci sono i
drammatici scontri di Bologna, la grande e violenta manifestazione di
Roma e le prime sperimentazioni dei nuovi modelli repressivi prodotti
dai governi di unità nazionale. Partono cioè i vari teoremi che fanno
un tutt'uno della complessità del movimento, che tentano di appiattire
le culture politiche sulla tematica del complotto unitario o del
fiancheggiamento degli allora ultra-minoritari gruppi armati. In prima fila
a soffiare sul fuoco o a gestire direttamente la repressione è, come
avevamo previsto, il PCI, oramai nell'area governativa. Partono così le
prime incriminazioni per associazione sovversiva a Bifo e agli altri di
Bologna, viene chiusa manu militari Radio Alice e Toni Negri si rifugia
una prima volta in Svizzera perché inquisito anche lui per una
fantomatica associazione sovversiva. Il PCI usa tutta l'efficacia dei
propri mezzi di comunicazione e tutta la forza che ha in fabbrica per
criminalizzare qualsiasi cosa si muova alla sua sinistra. Famosi sono
per esempio i questionari distribuiti dalle varie federazioni del PCI nelle
fabbriche e nei quartieri. Il loro contenuto era un vero e proprio invito
alla delazione, a denunciare cioè attraverso la cultura del sospetto
chiunque non rientrasse nella linea di collaborazione con il PCI stesso. In
questa direzione si può dire che più che la classe operaia che si fa stato
di berlingueriana memoria, si determina piuttosto il PCI che si fa
magistratura e forza di polizia. Nella pubblicistica ufficiale comunista e
democristiana (ma anche degli altri partiti), il pentitismo e la delazione
diventano categorie e valori morali. Le conseguenze, nel tempo, sul piano
della cultura giuridica e in genere degli universi etici del paese saranno
terribili e i suoi esiti sono fin troppo evidenti ancora oggi. Tornando a
quegli anni, personaggi come Pecchioli e Violante sono i diretti ispiratori
dei magistrati inquirenti e il sistema politico sembra voler delegare alla
magistratura il ruolo vicario del parlamento mentre nelle aule dei
tribunali si consumeranno qualche anno dopo autentiche infamie
giuridiche. Avviene nei fatti il passaggio, intuito precedentemente, dalla
strategia della tensione alla politica dell'emergenza. Tutto ciò che
non rientra nella compatibilità del sistema viene sussunto dentro la
categoria di emergenza per essere represso o intimidito. Vengono
effettuate in continuazione moltissime perquisizioni in tutta Italia: a me
smontano sette o otto volte la casa e la libreria. Perquisire la libreria
era poi un problema perché ci volevano giorni interi di lavoro: c'era una
montagna di carta da esaminare e quindi, regolarmente, arrivavano 10
carabinieri che per ore si mettevano a cercare documenti sovversivi.
E li trovavano?
Indubbiamente c'erano anche documenti sovversivi ma erano anni che
circolavano. Per un periodo c'era stata sulla legge della stampa
un'impunità conquistata nelle lotte e quindi anche i gruppi clandestini
avevano l'abitudine di arrivare in libreria, soprattutto al sabato quando
veniva moltissima gente, portando i loro comunicati che poi tu te li
trovavi lì, in mezzo alle riviste, senza sapere chi te li avesse lasciati. E
c'erano anche le risoluzioni strategiche con la stella delle BR. A questo
proposito c'è da dire che, fino al '76, questi gruppi erano in realtà
minoranze assolute, non credo che ci fossero più di cento clandestini in
tutta Italia. Per chiunque fosse dentro al movimento, un incontro con un
brigatista o con un altro clandestino era sempre possibile. Due anni dopo
sarebbe stato una tragedia, ma in quel momento non era così grave:
qualcuno ti veniva a chiedere se volevi fare una riunione in un posto
qualsiasi alla periferia di Milano o di Torino e capivi che lì ci trovavi
anche i clandestini. Ma tutto ciò non era vissuto come una dimensione
pericolosa, non c'erano ancora le leggi speciali e fino a quel punto
c'erano stati solo due morti, due missini ammazzati a Padova, un evento
che, tra l'altro, venne considerato un errore dalle Brigate Rosse, niente di
più di questo. Qualche rapimento, Sossi per esempio, azioni dimostrative,
la propaganda della lotta armata, gli incendi delle macchine dei
caporeparto ma non ancora una vera e propria strategia di azioni di lotta
armata. Il '77 nel vissuto quotidiano ti costringeva così a un superlavoro
straordinario per essere presente in cento luoghi diversi. A differenza
degli anni precedenti, l'universo dei punti di riferimento era stato
sostituito da una moltiplicazione della soggettività di massa talmente
ricca che ti costringeva a un continuo aggiornamento nella tua vita
quotidiana anche fuori dal lavoro della libreria. Ricordo di aver fatto in
quell'anno, 80-90 viaggi in giro per l'Italia per le cose più diverse tra
loro: convegni, seminari, conferenze, da quelli piccolissimi per addetti
ai lavori a quelli grandi. Era in atto un grande laboratorio sociale e,
conseguentemente le aspettative erano moltissime. Però, com'è noto,
tutto finì malissimo: teoricamente quella grande elaborazione avrebbe
dovuto confluire nell'assemblea del '77 a Bologna ma, a fronte del
tentativo dell'autonomia più dura di gestire politicamente questa
soggettività, che in realtà non era gestibile secondo i criteri politici
tradizionali, tutto finì in una disgregazione totale.
E questo proprio mentre nel Paese avanzavano le leggi repressive
Nel '78 il clima cambia un altra volta. La sconfitta del movimento '77
lascia un grande vuoto. Molti pensano che non ci siano più spazi di
agibilità possibili per agire alla luce del sole. Sostanzialmente inizia una
lunga fase di clandestinizzazione del movimento. Inizia una nuova fase
storica. Le leggi speciali cominciano a funzionare, l'offensiva del Partito
comunista diventa sempre più dura: ci sono le schedature in fabbrica, ci
sono i militanti del Partito comunista che svolgono un ruolo di cardine tra
la magistratura e la polizia Quelli che provengono dalle precedenti
esperienze di militanza, soprattutto gli ex di Lotta Continua, quelli della
corrente di Senza Tregua, perdono potere in fabbrica perché l'azione
del sindacato è quella di far fuori il consiglio di fabbrica dei delegati
che era un po' il luogo della democrazia di base della classe operaia.
Facendo saltare quello, saltano automaticamente tutta una serie di
agibilità politiche sul posto di lavoro ed era ciò che voleva il padronato.
Per la ristrutturazione accelerata che avevano iniziato i padroni c'era
bisogno di eliminare la rigidità operaia, c'era bisogno di eliminare le
componenti sovversive interne, i gruppi che sostanzialmente tiravano a
volata le lotte. Quindi si mette in atto un processo distruttivo che viene
colto dai militanti, dagli operai politicizzati o dagli operai
intellettualizzati del periodo precedente come una impossibilità nel
proseguire la lotta con metodi legali. E così avviene un passaggio in
massa alla clandestinità: dai 100 presunti clandestini del '76 si passa ai
2-3 mila del '78. Significa che in un anno e mezzo avviene una scelta di
massa che coinvolge non solo gli ex operai di Lotta Continua, i militanti
delle zone periferiche della città ma anche una parte rilevante dei
collettivi autonomi o giovanili dell'hinterland metropolitano. Nel '78 ci si
ritrova ad avere, solo su Milano, almeno 150 o 160 sigle clandestine
armate, le più famose erano Prima Linea, Brigate Rosse ma vi erano
anche le FCC, le BCC, le Brigate Lo Muscio, con un'escalation di
attentati dimostrativi molto forti e con una moltiplicazione, anche a
livello nazionale, di omicidî. Tutto piomba dentro questo clima. Dopo la
ventata creativa del '77, nel 1978 avviene questo pesante giro di boa.
In libreria tutto ciò viene avvertito molto bene. Si verifica una scissione.
A fronte del disagio del vissuto quotidiano da parte di moltissimi
compagni, c'è come un ritorno su se stessi, cui si accompagnano il
consumo dell'alimentazione alternativa, della medicina alternativa,
dell'interpretazione della vita stessa in termini alternativi. Una casa
editrice come l'Astrolabio che pubblica psicoanalisi, esoterismo,
discipline del corpo quali yoga, zen e quanto di collegato a essi esista,
nella mia libreria, decuplica le vendite nel giro di un anno. Da un dato
così tu capisci che è in corso una modificazione profonda dei soggetti, un
disagio esistenziale drammatico. Il '77 era apparso come l'ultima grande
possibilità di ricomposizione tra sociale giovanile e progetto politico,
tra rivolta esistenziale e modello operaio. L'accumulazione dei saperi
prodotti nei cinque o sei anni precedenti aveva generato un soggetto che
non diventava sovversivo quando entrava nel posto di lavoro ma vi
arrivava già ribelle, sovversivo appunto. Ciò venne considerato
intollerabile dagli analisti del Partito comunista ma anche dalle élite
industriali e politiche. C'era, infatti, da parte di tutte queste forze un
grande lavoro intorno a questi temi e la sintesi di questa ricerca fu il
Rapporto della commissione Trilateral del 1976 dedicato all'Italia, in
cui si sosteneva che la conflittualità operaia aveva conquistato
un'estensione della democrazia cui bisognava porre limite sia nella
fabbrica sia nel sociale e soprattutto nelle scuole dove era arrivata una
generazione di professori e di insegnanti che, invece di contribuire a
riprodurre le classi dirigenti e i cittadini che aderiscono allo sviluppo
dell'economia e della democrazia borghesi, produceva ribelli. Vanno
fatti fuori: questa sostanzialmente era l'indicazione che dava la
commissione Trilateral, il grande potere sovranazionale delle tre aree più
industrializzate del mondo. E alla commissione Trilateral, com'è ovvio,
per l'Italia ci partecipavano gli Agnelli, i Pirelli, le élites industriali
insieme ad élites militari dello Stato italiano. Tutta questa situazione mise
in moto quel processo che provocò l'afflusso di massa nei gruppi armati e
che, per quanto mi riguarda, ebbe come conseguenza un aumento dei
controlli della polizia nella libreria e nell'abitazione mia e di mia moglie.
Qual era il clima che si era venuto a creare in libreria e tra i
compagni a causa dl questo processo di criminalizzazione?
Tra i compagni era iniziato un periodo che definirei del silenzio e
degli sguardi, un periodo in cui non c'è più comunicazione politica
perché una parte di compagni adopera il luogo-libreria per incontri e
danno per scontato che tu sai che loro sanno che tu sai e viceversa, il
che cambia tutto il clima intorno. Non sto facendo una critica, dico solo
che si determina un clima molto difficile, che pretende grande attenzione
e grande disponibilità. Da un altro lato invece, il processo repressivo
dello Stato determina un ritorno fortissimo al privato dei soggetti sociali
che hanno avuto le grandi esperienze nei gruppi politici organizzati e ai
quali sono saltati una serie di strumenti interpretativi: non c'è più il
riferimento operaio, le organizzazione sono dissolte, i nuovi soggetti
metropolitani sono difficili da capire e in più c'è quell'elemento
devastante dell'azione femminista che incide sulle loro vite. Quindi si
produce una fortissima separazione tra tutte queste scelte. Ad aggiungersi
a ciò vi è poi la diffusione, con una rapidità assolutamente straordinaria,
dell'eroina nelle periferie. Una parte dei Circoli del proletariato giovanile
si sfaldano proprio a causa dell'eroina. E' come se ai giovani non
venissero lasciate altre possibilità se non la lotta armata, l'omologazione
e il ritorno a un ipotetico privato o l'eroina. In più vengono poste in
campo leggi durissime che, per la prima volta nella storia del Paese-Italia,
vedono concordi tutta la magistratura, salvo minoranze di Magistratura
Democratica, tutte le forze di polizia e dei carabinieri e tutto il sistema
dei partiti. L'intero sistema è schierato per far fuori il movimento. Non
tanto per combattere il terrorismo che, come dicevo, in realtà quando
nascono le leggi non è ancora di massa e, anzi, lo diventa proprio in
conseguenza delle leggi repressive. In realtà l'obiettivo è ristrutturare le
fabbriche, ristrutturare lo Stato con la partecipazione possibile o ipotetica
del Partito comunista. E' una fase che avrebbe richiesto da parte di tutti
noi una grande intelligenza politica, una capacità di fare il punto come
diceva Gianfranco Manfredi nella sua canzone Un tranquillo festival di
paura: e siamo tutti insieme ma ognuno sta per sé / la ricomposizione
si sogna ma non c'è / si sta sfasciando tutto persino la teoria / perché il
nuovo soggetto pare che non ci sia / è tutta una gran merda / la colpa di
chi è / lo Stato, il riformismo, i gruppi, non so che. La canzone è
dedicata al festival del Parco Lambro del 1976. Un evento veramente
drammatico: doveva essere una grande festa del nuovo proletariato
giovanile e invece si trasformò in uno scontro tra vecchia composizione
politica e nuovi soggetti giovanili. Il Parco Lambro segna in modo
irreversibile un passaggio che Manfredi sintetizzò in modo splendido in
quella canzone. C'è un enorme e straordinario disagio, un periodo
veramente lungo e difficilissimo in cui si rompono le amicizie perché
spariscono gli amici, perché gli armati ritengono di avere il diritto di
adoperarti, un diritto politico intendo dire, sostengono che qualsiasi
forma di critica che fai nei loro confronti potrebbe essere
desolidarizzazione, come si usava dire al tempo. In effetti quel pericolo
comunque c'era. I resti di Lotta Continua riuniti attorno al giornale
scelgono, per esempio, una linea che non ho mai condiviso, quella del né
con le BR né con lo Stato, che era una linea di neutralità quando invece
proprio in quel momento occorreva una grande battaglia politica di
riflessione su questo argomento. Era in atto, come scrivevamo noi della
libreria sulla rivista Primo Maggio già alla fine del '78, un processo
distruttivo nei confronti dei movimenti che quasi sicuramente si sarebbe
concretato a breve in una grande operazione repressiva. Non era possibile
la neutralità né con gli uni né con gli altri. E fu per questo motivo che
riprendemmo le pubblicazioni di CONTROinformazione, rivista sulla
quale demmo spazio a tutti i comunicati dei gruppi armati: per noi
significava farne un problema di comunicazione radicale. Si era rotta,
però, quella che abbiamo sempre chiamato la comunità reale. La
comunità reale voleva dire che tu sapevi esattamente con chi avevi a che
fare: la lealtà della comunicazione pur nella differenza politica produceva
un humus, un modo di stare nel mondo che generava affettività oltre che
identità politica, iniziativa culturale o sociale. Tutto ciò si frantuma in
moltissime parti. Non a caso è un periodo in cui vivevi in prima persona
le storie di moltissimi suicidi. Solo per quanto riguarda l'area della
libreria io ho conosciuto trentacinque persone che in quel periodo si sono
tolte la vita. Per esempio ve n'è uno famoso, un ex di Avanguardia
Operaia su cui è nato un libro della Feltrinelli. Tra i molti particolarmente
drammatica e dolorosa è per noi la vicenda di Giancarlo Buonfino, uno
dei nostri di Primo Maggio. Era forse uno dei più geniali grafici
europei e aveva scelto di mettere i suoi saperi a disposizione del
movimento invece di mercificarli nella professione o nella carriera. Era
stato anche uno dei maestri di Zamarin, l'inventore di Gasparazzo, il
personaggio operaio dei fumetti che pubblicava il quotidiano Lotta
Continua (a sua volta morto mentre di notte faceva la distribuzione del
giornale). E' difficile persino spiegare l'enorme capacità creativa di
Buonfino. Famoso, per esempio, è un suo film d'animazione intitolato
Totem che realizzò praticamente da solo con una cinepresa a passo uno
e decine di migliaia di disegni, o ancora una sua straordinaria ricerca
sulla grafica e la propaganda operaia agli inizi del secolo che peraltro è
rimasta per larga parte impubblicata. E così Zamarin che muore nella
nebbia mentre svolge un compito militante o Buonfino che si interroga
fino all'autodistruzione sul ruolo del lavoro intellettuale nella società
del capitale, sono tutte espressioni della radicalità con cui ognuno doveva
confrontarsi nel processo rivoluzionario. Distruggere il ruolo del tecnico
o dello scienziato come forza ostile alla liberazione della classe e
ricomporre il rapporto tra lavoro manuale e intellettuale assumevano in
questa direzione valenze estreme. D'altronde il tragico esito delle
esistenze di alcuni collaboratori di Frigidaire (e prima de Il Male)
negli anni Ottanta dimostra quanto profondi fossero gli interrogativi sulla
funzione del lavoro creativo e con quanta radicalità gli stessi venissero
vissuti. Molti anni dopo ne parlai con Andrea Pazienza (geniale artista e
autore di strip del movimento '77 e anch'egli travolto dalla morte
giovanissimo) e lui mi ha disegnato un volto carico di orgoglio, rabbia e
forse pazzia con sotto scritto: Non sarà la paura della follia a
costringerci a tenere a mezz'asta la bandiera dell'immaginazione. Con
questo voglio dire che era difficile capire fino in fondo questa frattura
della comunità reale e soprattutto come starci dentro, con quali
strumenti. Molti scappavano: dopo il '79 poi la fuga era diventata di
massa. D'altra parte, per parlare solo della mia esperienza, in un anno e
mezzo, c'erano stati, solo tra quelli segnati nello schedario della libreria,
681 arrestati. Una parte di questi erano anche molto amici e compagni
della mia vita. Se si mettono insieme questi amici agli amici morti, credo
che risulti chiaro e comprensibile il perché per un certo periodo abbiamo
rischiato un po' tutti di stare sospesi tra la follia e la ragione. Anzi credo
che non ci siamo mai ripresi del tutto da quel periodo. C'era mia figlia
Maysa, allora aveva dieci anni, che vedeva alla televisione passare le
immagini degli arrestati accompagnate dalle definizioni assassino,
terrorista, e mi diceva: ma papà questi non sono nostri amici?, come
per dire che cazzo succede, è mai possibile che i miei migliori amici
siano così?. Molte volte ha anche pianto e Sabina che era addolorata e
disorientata quanto lei, doveva trattenere a sua volta le lacrime e lo
sconforto. Molti di questi compagni erano abituali frequentatori della
nostra casa, con molti avevamo fatto le ferie insieme e Maysa li
considerava come una grande collettività dolce e protettiva.
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